Trasferimento sede legale all'estero: non basta a evitare fallimento in Italia
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 5919/2016, depositata in data 19 marzo del 2016, hanno affrontato il tema della competenza giurisdizionale nel caso di dichiarazione di fallimento di una società italiana che ha trasferito la sede legale all’estero.
Il caso di specie riguardava una S.r.l. che si opponeva alla dichiarazione di fallimento del Tribunale, sostenendo la nullità della notifica dell’istanza di fallimento e di conseguenza dell’intero procedimento per mancata instaurazione del contraddittorio. La S.r.l. eccepiva altresì, difetto di giurisdizione del Giudice italiano, per avere la società stessa trasferito la propria sede in Romania in epoca anteriore alla proposizione dello stato di insolvenza e, pertanto deduceva la mancata applicazione dell’articolo 3 del Regolamento CE 29.05.2000 n. 1346, il quale prevede che “sono competenti ad aprire la procedura di insolvenza i giudici dello Stato membro nel cui territorio è situato il centro degli interessi principali del debitore. Per le società e le persone giuridiche si presume che il centro degli interessi principali sia, fino a prova contraria, il luogo in cui si trova la sede statutaria”. La Corte d’appello confermava la sentenza di fallimento e la S.r.l. ricorreva in Cassazione.
La Corte di Cassazione a Sezioni Unite per definire la questione ha ricordato l’orientamento giurisprudenziale maggioritario della Corte di Giustizia Europea, secondo il quale “laddove il luogo dell’amministrazione principale della società non si trovi presso la sua sede statutaria, la presenza di valori sociali nonché l’esistenza di attività di gestione degli stessi in uno stato membro diverso da quello della sede statutaria di tale società possono essere considerati elementi sufficienti a superare detta presunzione, a condizione che una valutazione globale di tutti gli elementi rilevanti consenta di stabilire che, sempre in maniera riconoscibile dai terzi, il centro effettivo di direzione e di controllo della società stessa, nonché della gestione dei suoi interessi, situato in tale altro stato membro” (20.10.2011, n. 396/09 e 2.5.2006 n. 341/04).
Ove, quindi, al trasferimento formale della sede sociale non corrisponda il trasferimento reale ed effettivo dell’attività imprenditoriale, non può aversi nessuna eccezione di giurisdizione e permane la competenza del Giudice italiano per il fallimento.
Nel caso in esame, a parere dei Giudici il trasferimento in Romania della sede legale della Società non era coinciso con l’effettivo spostamento in tale Stato del centro principale degli interessi della società. Di fatto, nei gradi di merito era emerso che la sede estera non era operativa, non vi erano conti correnti aperti in quel Paese e l’amministratore della società risiedeva stabilmente in Italia.
Da ciò la Cassazione ha dedotto che lo spostamento fosse “fittizio” e volto ad evitare le conseguenze derivanti dalla dichiarazione di fallimento in Italia. Per questi motivi la Cassazione ha rigettato il ricorso e confermato la decisione della Corte d’Appello.
Dott. Ettore Salvatore Masullo
Trasferimento sede legale all'estero: non basta a evitare fallimento in Italia
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 5919/2016, depositata in data 19 marzo del 2016, hanno affrontato il tema della competenza giurisdizionale nel caso di dichiarazione di fallimento di una società italiana che ha trasferito la sede legale all’estero.
Il caso di specie riguardava una S.r.l. che si opponeva alla dichiarazione di fallimento del Tribunale, sostenendo la nullità della notifica dell’istanza di fallimento e di conseguenza dell’intero procedimento per mancata instaurazione del contraddittorio. La S.r.l. eccepiva altresì, difetto di giurisdizione del Giudice italiano, per avere la società stessa trasferito la propria sede in Romania in epoca anteriore alla proposizione dello stato di insolvenza e, pertanto deduceva la mancata applicazione dell’articolo 3 del Regolamento CE 29.05.2000 n. 1346, il quale prevede che “sono competenti ad aprire la procedura di insolvenza i giudici dello Stato membro nel cui territorio è situato il centro degli interessi principali del debitore. Per le società e le persone giuridiche si presume che il centro degli interessi principali sia, fino a prova contraria, il luogo in cui si trova la sede statutaria”. La Corte d’appello confermava la sentenza di fallimento e la S.r.l. ricorreva in Cassazione.
La Corte di Cassazione a Sezioni Unite per definire la questione ha ricordato l’orientamento giurisprudenziale maggioritario della Corte di Giustizia Europea, secondo il quale “laddove il luogo dell’amministrazione principale della società non si trovi presso la sua sede statutaria, la presenza di valori sociali nonché l’esistenza di attività di gestione degli stessi in uno stato membro diverso da quello della sede statutaria di tale società possono essere considerati elementi sufficienti a superare detta presunzione, a condizione che una valutazione globale di tutti gli elementi rilevanti consenta di stabilire che, sempre in maniera riconoscibile dai terzi, il centro effettivo di direzione e di controllo della società stessa, nonché della gestione dei suoi interessi, situato in tale altro stato membro” (20.10.2011, n. 396/09 e 2.5.2006 n. 341/04).
Ove, quindi, al trasferimento formale della sede sociale non corrisponda il trasferimento reale ed effettivo dell’attività imprenditoriale, non può aversi nessuna eccezione di giurisdizione e permane la competenza del Giudice italiano per il fallimento.
Nel caso in esame, a parere dei Giudici il trasferimento in Romania della sede legale della Società non era coinciso con l’effettivo spostamento in tale Stato del centro principale degli interessi della società. Di fatto, nei gradi di merito era emerso che la sede estera non era operativa, non vi erano conti correnti aperti in quel Paese e l’amministratore della società risiedeva stabilmente in Italia.
Da ciò la Cassazione ha dedotto che lo spostamento fosse “fittizio” e volto ad evitare le conseguenze derivanti dalla dichiarazione di fallimento in Italia. Per questi motivi la Cassazione ha rigettato il ricorso e confermato la decisione della Corte d’Appello.
Dott. Ettore Salvatore Masullo
Recent posts.
Ritardo di 40 minuti al lavoro, vigilante licenziato: per la Cassazione il provvedimento è legittimo
Un uomo impiegato in attività di sicurezza presso una banca ha impugnato in tribunale il suo licenziamento, avvenuto a causa di un ritardo di 40 minuti. Se in primo grado il suo ricorso era stato [...]
Nella pronuncia del 4 Novembre la Suprema Corte di Cassazione ha dichiarato illegittimo sottoporre il personale sanitario a eccessivi turni di reperibilità. Questo viene annunciato dal Codacons che riporta un’ordinanza della Corte di Cassazione riconoscendo [...]
Con la sentenza n. 30532/24 RG. n. 3103/2024, la Corte di Cassazione Sez III. Penale si è pronunciata sul ricorso avverso la sentenza emessa dalla Corte di Appello di Lecce in data 05/07/2023, annullando quest'ultima [...]
Recent posts.
Ritardo di 40 minuti al lavoro, vigilante licenziato: per la Cassazione il provvedimento è legittimo
Un uomo impiegato in attività di sicurezza presso una banca ha impugnato in tribunale il suo licenziamento, avvenuto a causa di un ritardo di 40 minuti. Se in primo grado il suo ricorso era stato [...]
Nella pronuncia del 4 Novembre la Suprema Corte di Cassazione ha dichiarato illegittimo sottoporre il personale sanitario a eccessivi turni di reperibilità. Questo viene annunciato dal Codacons che riporta un’ordinanza della Corte di Cassazione riconoscendo [...]