Il sequestro preventivo dei crediti da superbonus
La corretta valutazione del nesso di pertinenza che intercorre tra i crediti da superbonus e le eventuali condotte di falso risulta essere indispensabile ai fini di un eventuale sequestro preventivo in merito.
Questo è quanto appurato dalla Corte di Cassazione che non contempla i sequestri preventivi immotivati. A tal riguardo, si ricorda come in base all’art. 321, c.1 c.p.p. sia necessaria la prova di un legame pertinenziale tra la res e il reato, ovvero una correlazione che comprenda non soltanto le cose sulle quali o a mezzo delle quali il reato è stato commesso o che ne costituisce il prezzo il prodotto o il profitto ma anche quelle legate solo alla fattispecie criminosa.
Con la recente sentenza del 15 febbraio 2024, n. 7021, sez. VI penale, la Corte di Cassazione annulla con rinvio un’ordinanza di sequestro preventivo in riferimento a crediti fiscali da Superbonus 110% nei confronti di un’impresa i quali risultano, di fatto, essere correlati a ristrutturazioni inesistenti.
Le condotte false in questione avevano a oggetto l’emissione di fatture che riguardavano interventi edilizi ammessi agli incentivi ma che nella realtà poi non si sarebbero mai realizzati, come anche all’attestazione falsa degli stessi per la realizzazione del 30% dei lavori commissionati e alla conseguente cessione dei crediti d’imposta maturati dai clienti committenti in favore della società d’impianti elettrici protagonista della vicenda.
Nello specifico, un general contractor della società in questione aveva affidato l’esecuzione dei suddetti lavori all’interno di alcuni appartamenti che secondo il giudice delle indagini preliminari non sarebbero mai concretamente stati eseguiti dalla società e, in ogni caso, non nella percentuale minima del 30% come previsto dalla normativa del Decreto Aiuti (D.L. n. 50/2022) in cui viene prevista come condizione la data del 30/09/2022 per la realizzazione dei lavori.
In conseguenza di ciò, dunque, e ai crediti d’imposta relativamente maturati a riguardo e legati al Superbonus, il Tribunale ne aveva disposto il sequestro preventivo, ma la Suprema Corte ne aveva rilevato alcune lacune motivazionali da parte dello stesso Tribunale con riferimento all’ordinanza emessa.
In via principale, palesava l’aver omesso d’illustrare la concreta deduzione causale intercorrente tra detti crediti e quelli fiscali oggetto di sequestro.
In riferimento alla relativa mancanza dei lavori commissionati al 30% si rilevava, invece, una generica valutazione degli stessi sulla base solamente di alcune dichiarazioni rese della Commissione consultiva per il monitoraggio del D.M. 58/2017 e da parte di solo alcuni dei committenti che, tra l’altro, includevano osservazioni da parte di direttori dei lavori reputate risolutivamente false, in riferimento alla loro iscrizione nel registro degli indagati; senza far riferimento, invece, ad altre difensive argomentazioni riguardo alle differenti attività effettuate nei singoli cantieri, come anche alla loro eventuale possibile rilevanza delle attività non agevolate documentate dai ricorrenti (ai sensi del comma 8 bis del citato art. 119).
In questo modo la Cassazione, dichiarando l’annullamento del sequestro preventivo, ha ritenuto fondato il ricorso, rinviando la relativa ordinanza al Tribunale per un nuovo giudizio, sulla base delle motivazioni ritenute carenti, e che non riescono bene a giustificare la falsità della totalità delle operazioni sottese ai crediti d’imposta vantati dalla società in questione.
Dott.ssa Serenella Angelini
Il sequestro preventivo dei crediti da superbonus
La corretta valutazione del nesso di pertinenza che intercorre tra i crediti da superbonus e le eventuali condotte di falso risulta essere indispensabile ai fini di un eventuale sequestro preventivo in merito.
Questo è quanto appurato dalla Corte di Cassazione che non contempla i sequestri preventivi immotivati. A tal riguardo, si ricorda come in base all’art. 321, c.1 c.p.p. sia necessaria la prova di un legame pertinenziale tra la res e il reato, ovvero una correlazione che comprenda non soltanto le cose sulle quali o a mezzo delle quali il reato è stato commesso o che ne costituisce il prezzo il prodotto o il profitto ma anche quelle legate solo alla fattispecie criminosa.
Con la recente sentenza del 15 febbraio 2024, n. 7021, sez. VI penale, la Corte di Cassazione annulla con rinvio un’ordinanza di sequestro preventivo in riferimento a crediti fiscali da Superbonus 110% nei confronti di un’impresa i quali risultano, di fatto, essere correlati a ristrutturazioni inesistenti.
Le condotte false in questione avevano a oggetto l’emissione di fatture che riguardavano interventi edilizi ammessi agli incentivi ma che nella realtà poi non si sarebbero mai realizzati, come anche all’attestazione falsa degli stessi per la realizzazione del 30% dei lavori commissionati e alla conseguente cessione dei crediti d’imposta maturati dai clienti committenti in favore della società d’impianti elettrici protagonista della vicenda.
Nello specifico, un general contractor della società in questione aveva affidato l’esecuzione dei suddetti lavori all’interno di alcuni appartamenti che secondo il giudice delle indagini preliminari non sarebbero mai concretamente stati eseguiti dalla società e, in ogni caso, non nella percentuale minima del 30% come previsto dalla normativa del Decreto Aiuti (D.L. n. 50/2022) in cui viene prevista come condizione la data del 30/09/2022 per la realizzazione dei lavori.
In conseguenza di ciò, dunque, e ai crediti d’imposta relativamente maturati a riguardo e legati al Superbonus, il Tribunale ne aveva disposto il sequestro preventivo, ma la Suprema Corte ne aveva rilevato alcune lacune motivazionali da parte dello stesso Tribunale con riferimento all’ordinanza emessa.
In via principale, palesava l’aver omesso d’illustrare la concreta deduzione causale intercorrente tra detti crediti e quelli fiscali oggetto di sequestro.
In riferimento alla relativa mancanza dei lavori commissionati al 30% si rilevava, invece, una generica valutazione degli stessi sulla base solamente di alcune dichiarazioni rese della Commissione consultiva per il monitoraggio del D.M. 58/2017 e da parte di solo alcuni dei committenti che, tra l’altro, includevano osservazioni da parte di direttori dei lavori reputate risolutivamente false, in riferimento alla loro iscrizione nel registro degli indagati; senza far riferimento, invece, ad altre difensive argomentazioni riguardo alle differenti attività effettuate nei singoli cantieri, come anche alla loro eventuale possibile rilevanza delle attività non agevolate documentate dai ricorrenti (ai sensi del comma 8 bis del citato art. 119).
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