Reati societari e qualifica di amministratore di fatto
Con la sentenza n. 34381/2022, la Suprema Corte di Cassazione, Sez. II penale, ha dichiarato inammissibile un ricorso proposto avverso l’ordinanza applicativa della misura cautelare degli arresti domiciliari, adottata nell’ambito di un procedimento penale in cui venivano contestati all’imputato le fattispecie di reato di cui agli artt. 512-bis cod. pen. e 8 D. Lgs. N. 74 del 2000.
Affrontando le questioni di diritto, la Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso in quanto ritenuto affetto da vizi di forma. Inoltre, i vizi di motivazione ivi lamentati ed inerenti alla mancata sussistenza del c.d. fumus commissi delicti per l’applicazione della suddetta misura cautelare, vengono giudicati dalla Corte meramente reiterativi di doglianze già correttamente disattese dal Tribunale.
Nel prosieguo dell’analisi delle questioni di diritto, la Suprema Corte si concentra sulla nozione giuridica dell’amministratore di fatto, arricchendo la giurisprudenza già intervenuta in materia.
In particolare, dopo aver confermato l’orientamento interpretativo adottato dal Tribunale e, dopo aver riconosciuto all’indagato la qualifica di amministratore di fatto, i Giudici di Legittimità hanno fornito la corretta definizione di tale figura, ripercorrendo e menzionando i contributi giurisprudenziali più rilevanti.
Partendo dalla nozione civilistica dell’amministratore di fatto come sancita dall’art. 2639 c.c., la Suprema Corte si è soffermata sui requisiti della “significatività” e “continuità”, imprescindibili ai fini dell’effettiva sussistenza di tale fattispecie.
Nel dettaglio, tali requisiti richiedono l’esercizio di un’apprezzabile attività gestoria svolta in modo non episodico o occasionale, da accertare in concreto verificando la sussistenza di elementi sintomatici dell’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive.
Citando la legge fallimentare, la Suprema Corte ha ricordato come la giurisprudenza di legittimità sia tradizionalmente orientata ad individuare la figura dell’amministratore di fatto con riferimento alle disposizioni civilistiche. Tale orientamento comporta che l’accertamento venga effettuato mediante l’analisi delle concrete funzioni esercitate in qualsiasi momento dell’iter organizzativo della società, dando rilevanza prevalentemente agli atti concretamente posti in essere e non solo alle mere qualifiche formali.
Conformandosi alla giurisprudenza tributaria intervenuta sul tema, la Suprema Corte ha stabilito che, ai fini dell’attribuzione ad un soggetto della qualifica di amministratore di fatto, non occorre il concreto esercizio da parte del soggetto stesso di “tutti” i poteri tipici, ma è necessaria una significativa e continuativa attività gestoria, svolta cioè in modo non episodico e occasionale.
Gli Ermellini, dunque, sono giunti all’affermazione del principio di diritto secondo cui «ai fini dell’attribuzione ad un soggetto della qualifica di amministratore “di fatto” di una società, può essere valorizzato l’esercizio, in modo continuativo significativo, e non meramente episodico od occasionale, di tutti i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione, od anche soltanto di alcuni di essi; in tale ultimo caso, peraltro, spetterà ai giudici del merito valutare la pregnanza, ai fini dell’attribuzione della qualifica o della funzione, dei singoli poteri in concreto esercitati».
Dott. Alessandro Lovelli
Reati societari e qualifica di amministratore di fatto
Con la sentenza n. 34381/2022, la Suprema Corte di Cassazione, Sez. II penale, ha dichiarato inammissibile un ricorso proposto avverso l’ordinanza applicativa della misura cautelare degli arresti domiciliari, adottata nell’ambito di un procedimento penale in cui venivano contestati all’imputato le fattispecie di reato di cui agli artt. 512-bis cod. pen. e 8 D. Lgs. N. 74 del 2000.
Affrontando le questioni di diritto, la Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso in quanto ritenuto affetto da vizi di forma. Inoltre, i vizi di motivazione ivi lamentati ed inerenti alla mancata sussistenza del c.d. fumus commissi delicti per l’applicazione della suddetta misura cautelare, vengono giudicati dalla Corte meramente reiterativi di doglianze già correttamente disattese dal Tribunale.
Nel prosieguo dell’analisi delle questioni di diritto, la Suprema Corte si concentra sulla nozione giuridica dell’amministratore di fatto, arricchendo la giurisprudenza già intervenuta in materia.
In particolare, dopo aver confermato l’orientamento interpretativo adottato dal Tribunale e, dopo aver riconosciuto all’indagato la qualifica di amministratore di fatto, i Giudici di Legittimità hanno fornito la corretta definizione di tale figura, ripercorrendo e menzionando i contributi giurisprudenziali più rilevanti.
Partendo dalla nozione civilistica dell’amministratore di fatto come sancita dall’art. 2639 c.c., la Suprema Corte si è soffermata sui requisiti della “significatività” e “continuità”, imprescindibili ai fini dell’effettiva sussistenza di tale fattispecie.
Nel dettaglio, tali requisiti richiedono l’esercizio di un’apprezzabile attività gestoria svolta in modo non episodico o occasionale, da accertare in concreto verificando la sussistenza di elementi sintomatici dell’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive.
Citando la legge fallimentare, la Suprema Corte ha ricordato come la giurisprudenza di legittimità sia tradizionalmente orientata ad individuare la figura dell’amministratore di fatto con riferimento alle disposizioni civilistiche. Tale orientamento comporta che l’accertamento venga effettuato mediante l’analisi delle concrete funzioni esercitate in qualsiasi momento dell’iter organizzativo della società, dando rilevanza prevalentemente agli atti concretamente posti in essere e non solo alle mere qualifiche formali.
Conformandosi alla giurisprudenza tributaria intervenuta sul tema, la Suprema Corte ha stabilito che, ai fini dell’attribuzione ad un soggetto della qualifica di amministratore di fatto, non occorre il concreto esercizio da parte del soggetto stesso di “tutti” i poteri tipici, ma è necessaria una significativa e continuativa attività gestoria, svolta cioè in modo non episodico e occasionale.
Gli Ermellini, dunque, sono giunti all’affermazione del principio di diritto secondo cui «ai fini dell’attribuzione ad un soggetto della qualifica di amministratore “di fatto” di una società, può essere valorizzato l’esercizio, in modo continuativo significativo, e non meramente episodico od occasionale, di tutti i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione, od anche soltanto di alcuni di essi; in tale ultimo caso, peraltro, spetterà ai giudici del merito valutare la pregnanza, ai fini dell’attribuzione della qualifica o della funzione, dei singoli poteri in concreto esercitati».
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