Reati tributari, il sequestro preventivo diretto e per equivalente
I reati tributari
Gli illeciti tributari di rilevanza penale sono regolamentati dal D.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 che ha segnato una decisiva rivisitazione della materia, fino ad allora disciplinata dalla legge 7 agosto 1982, n. 516 e che è stato oggetto poi, di un’importante modifica ad opera del D.lgs. 24 settembre 2015 n. 158 con cui sono state introdotte nuove fattispecie di reato e variato alcune delle pene inizialmente previste.
Ha regolato cause di non punibilità da un lato e condizionato l’accesso al rito alternativo ex art.444 c.p.p. all’estinzione del debito tributario. Le fattispecie previste sin dall’originario impianto normativo sono caratterizzate, ad esclusione della dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, sanzionata per il solo fatto di essere stata posta in essere, dalla previsione di una soglia di punibilità riferita all’imponibile fiscale; quando è inferiore residua una mera fattispecie sanzionatoria amministrativa (secondo un meccanismo che si ritrova anche nel codice penale all’art. 316 ter c.p., anch’esso introdotto nell’anno 2000).
Le condotte poste in essere dall’agente si concretizzano, prevalentemente, nella mancata presentazione della dichiarazione dei redditi o nell’infedeltà della stessa, laddove l’imposta evasa superi, appunto, le specifiche soglie di punibilità. Ne è un esempio il reato di omessa dichiarazione, regolamentato dall’art. 5, che punisce con la reclusione da 1 a 3 anni “chiunque, al fine di evadere l’IVA e le imposte sui redditi, non rispetti l’obbligo della dichiarazione annuale, relativa a dette imposte, e quando l’imposta evasa è maggiore, rispetto a ogni singola imposta, a 30.000 euro”.
Il Decreto legislativo si preoccupa, attesa la tecnicità della materia e l’estraneità di alcune nozioni rispetto al vocabolario del codice penale, di specificarne il significato. Così l’art.1 definisce le nozioni di fattura o altri documenti per operazioni inesistenti; di elementi attivi e passivi, ecc. L’imposta evasa, sopra richiamata dall’art.5, viene nitidamente descritta come “la differenza tra l’imposta effettivamente dovuta e quella indicata nella dichiarazione, ovvero l’intera imposta dovuta nel caso di omessa dichiarazione, al netto delle somme versate dal contribuente o da terzi a titolo di acconto, di ritenuta o comunque in pagamento di detta imposta prima della presentazione della dichiarazione o della scadenza del relativo termine”. Non può essere, invece, considerata imposta evasa, quella teorica e non effettivamente dovuta collegata a una rettifica in diminuzione di perdite dell’esercizio o di perdite pregresse spettanti e utilizzabili.
Il sequestro preventivo diretto e per equivalente
Le misure cautelari reali sono dei provvedimenti che gravano sul patrimonio e che creano limitazioni sulla disponibilità di cose o beni. A differenza delle misure cautelari personali non richiedono gravi indizi o particolari esigenze di individuazione, sicché, è necessario, che vi sia pertinenza astratta con il reato. L’oggetto del sequestro preventivo è disciplinato dall’art. 321 c.p.p. che al primo comma recita: “Quando vi è pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati, a richiesta del pubblico ministero il giudice competente a pronunciarsi nel merito ne dispone il sequestro con decreto motivato”.
Il sequestro preventivo quindi fa evincere la sua spiccata finalità cautelare dal momento che, appurata l’attendibilità del fumus del reato, su richiesta del pubblico ministero, il giudice si pronuncia con decreto motivato sulle cose pertinenti al reato. Nel consumare un reato tributario, l’esigenza cardine della misura cautelare reale è quella di congelare il vantaggio economico derivante dal collegamento tra il reato e la cosa sequestrata e non tra il reato ed una persona ancorché “la misura può colpire anche cose di proprietà di terzi estranei al reato, purché la loro libera disponibilità possa favorire la prosecuzione del reato” (Cass. Pen. Sez. II, n. 19105/11).
Il sequestro preventivo diretto
In materia penale tributaria è disposto solitamente con riferimento all’ammontare dell’imposta evasa, in quanto quest’ultima costituisce un indubbio vantaggio patrimoniale direttamente derivante dalla condotta illecita e, come tale, riconducibile alla nozione di “profitto” del reato in questione. Il sequestro diretto è possibile in quanto vi siano elementi probatori che attestino la riconducibilità delle somme/disponibilità sequestrate proprio al profitto del reato specificamente ascritto (Cass. Pen., sez. VI, sentenza 30 luglio 2007, n. 30966).
Il sequestro preventivo per equivalente
La funzione è quella di impedire che il colpevole si assicuri il profitto criminoso sequestrando il denaro disponibile o, in mancanza, beni per un valore equivalente ancorché non acquistati con il profitto o prezzo del reato. Ai fini dell’applicazione, non necessita di gravi indizi di reità, ma non può neppure ritenersi sufficiente la mera attribuzione ipotetica di un reato a taluno, essendo invece necessario verificare fondata la sussistenza delle condotte criminose legittimanti l’intervento cautelare.
Tale controllo non deve risolversi in un mero controllo formale e cartolare ma, al contrario, deve essere concreto e condotto secondo il parametro del reato ipotizzato, anche con riferimento all’eventuale difetto dell’elemento soggettivo (Cass. pen., sez. III, 11.5.2011).
La Corte di cassazione ha precisato che il profitto è costituito dal risparmio economico da cui consegue l’effettiva sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale, di cui certamente beneficia il reo (Sez. 3, Sentenza n. 1199 del 02/12/2011). In linea con la filosofia complessiva che ispira il d.lgs. 24/09/2015, n. 158, ovvero quella di agevolare la possibilità per l’Erario di soddisfare le proprie pretese nei confronti dei debitori, eventualmente anche favorendo, da parte degli stessi, forme lato sensu definibili come di ravvedimento attuoso, che comportano limitazioni all’operatività delle norme incriminatrici e alla connessa potestà punitiva statale, la giurisprudenza è pacificamente orientata nel senso che lo stesso vada ridotto in misura corrispondente alle somme di volta in volta restituite all’amministrazione finanziaria.
Dott. Enzo Maria Iasiello
Reati tributari, il sequestro preventivo diretto e per equivalente
I reati tributari
Gli illeciti tributari di rilevanza penale sono regolamentati dal D.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 che ha segnato una decisiva rivisitazione della materia, fino ad allora disciplinata dalla legge 7 agosto 1982, n. 516 e che è stato oggetto poi, di un’importante modifica ad opera del D.lgs. 24 settembre 2015 n. 158 con cui sono state introdotte nuove fattispecie di reato e variato alcune delle pene inizialmente previste.
Ha regolato cause di non punibilità da un lato e condizionato l’accesso al rito alternativo ex art.444 c.p.p. all’estinzione del debito tributario. Le fattispecie previste sin dall’originario impianto normativo sono caratterizzate, ad esclusione della dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, sanzionata per il solo fatto di essere stata posta in essere, dalla previsione di una soglia di punibilità riferita all’imponibile fiscale; quando è inferiore residua una mera fattispecie sanzionatoria amministrativa (secondo un meccanismo che si ritrova anche nel codice penale all’art. 316 ter c.p., anch’esso introdotto nell’anno 2000).
Le condotte poste in essere dall’agente si concretizzano, prevalentemente, nella mancata presentazione della dichiarazione dei redditi o nell’infedeltà della stessa, laddove l’imposta evasa superi, appunto, le specifiche soglie di punibilità. Ne è un esempio il reato di omessa dichiarazione, regolamentato dall’art. 5, che punisce con la reclusione da 1 a 3 anni “chiunque, al fine di evadere l’IVA e le imposte sui redditi, non rispetti l’obbligo della dichiarazione annuale, relativa a dette imposte, e quando l’imposta evasa è maggiore, rispetto a ogni singola imposta, a 30.000 euro”.
Il Decreto legislativo si preoccupa, attesa la tecnicità della materia e l’estraneità di alcune nozioni rispetto al vocabolario del codice penale, di specificarne il significato. Così l’art.1 definisce le nozioni di fattura o altri documenti per operazioni inesistenti; di elementi attivi e passivi, ecc. L’imposta evasa, sopra richiamata dall’art.5, viene nitidamente descritta come “la differenza tra l’imposta effettivamente dovuta e quella indicata nella dichiarazione, ovvero l’intera imposta dovuta nel caso di omessa dichiarazione, al netto delle somme versate dal contribuente o da terzi a titolo di acconto, di ritenuta o comunque in pagamento di detta imposta prima della presentazione della dichiarazione o della scadenza del relativo termine”. Non può essere, invece, considerata imposta evasa, quella teorica e non effettivamente dovuta collegata a una rettifica in diminuzione di perdite dell’esercizio o di perdite pregresse spettanti e utilizzabili.
Il sequestro preventivo diretto e per equivalente
Le misure cautelari reali sono dei provvedimenti che gravano sul patrimonio e che creano limitazioni sulla disponibilità di cose o beni. A differenza delle misure cautelari personali non richiedono gravi indizi o particolari esigenze di individuazione, sicché, è necessario, che vi sia pertinenza astratta con il reato. L’oggetto del sequestro preventivo è disciplinato dall’art. 321 c.p.p. che al primo comma recita: “Quando vi è pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati, a richiesta del pubblico ministero il giudice competente a pronunciarsi nel merito ne dispone il sequestro con decreto motivato”.
Il sequestro preventivo quindi fa evincere la sua spiccata finalità cautelare dal momento che, appurata l’attendibilità del fumus del reato, su richiesta del pubblico ministero, il giudice si pronuncia con decreto motivato sulle cose pertinenti al reato. Nel consumare un reato tributario, l’esigenza cardine della misura cautelare reale è quella di congelare il vantaggio economico derivante dal collegamento tra il reato e la cosa sequestrata e non tra il reato ed una persona ancorché “la misura può colpire anche cose di proprietà di terzi estranei al reato, purché la loro libera disponibilità possa favorire la prosecuzione del reato” (Cass. Pen. Sez. II, n. 19105/11).
Il sequestro preventivo diretto
In materia penale tributaria è disposto solitamente con riferimento all’ammontare dell’imposta evasa, in quanto quest’ultima costituisce un indubbio vantaggio patrimoniale direttamente derivante dalla condotta illecita e, come tale, riconducibile alla nozione di “profitto” del reato in questione. Il sequestro diretto è possibile in quanto vi siano elementi probatori che attestino la riconducibilità delle somme/disponibilità sequestrate proprio al profitto del reato specificamente ascritto (Cass. Pen., sez. VI, sentenza 30 luglio 2007, n. 30966).
Il sequestro preventivo per equivalente
La funzione è quella di impedire che il colpevole si assicuri il profitto criminoso sequestrando il denaro disponibile o, in mancanza, beni per un valore equivalente ancorché non acquistati con il profitto o prezzo del reato. Ai fini dell’applicazione, non necessita di gravi indizi di reità, ma non può neppure ritenersi sufficiente la mera attribuzione ipotetica di un reato a taluno, essendo invece necessario verificare fondata la sussistenza delle condotte criminose legittimanti l’intervento cautelare.
Tale controllo non deve risolversi in un mero controllo formale e cartolare ma, al contrario, deve essere concreto e condotto secondo il parametro del reato ipotizzato, anche con riferimento all’eventuale difetto dell’elemento soggettivo (Cass. pen., sez. III, 11.5.2011).
La Corte di cassazione ha precisato che il profitto è costituito dal risparmio economico da cui consegue l’effettiva sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale, di cui certamente beneficia il reo (Sez. 3, Sentenza n. 1199 del 02/12/2011). In linea con la filosofia complessiva che ispira il d.lgs. 24/09/2015, n. 158, ovvero quella di agevolare la possibilità per l’Erario di soddisfare le proprie pretese nei confronti dei debitori, eventualmente anche favorendo, da parte degli stessi, forme lato sensu definibili come di ravvedimento attuoso, che comportano limitazioni all’operatività delle norme incriminatrici e alla connessa potestà punitiva statale, la giurisprudenza è pacificamente orientata nel senso che lo stesso vada ridotto in misura corrispondente alle somme di volta in volta restituite all’amministrazione finanziaria.
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