Pubblico impiego: le prestazioni rese oltre il debito orario devono essere retribuite
Una prestazione straordinaria, ovvero eseguita oltre l’orario lavorativo dovrebbe, sempre e comunque, essere retribuita.
Tale affermazione si evince da un principio costituzionale di cui all’art.36 e ribadito da una recente sentenza della Cassazione Sezione Lavoro, la n. 17913 del 28 giugno 2024 con cui, in linea con il principio costituzione suindicato, ha riconosciuto il diritto alla retribuzione del lavoratore che abbia svolto prestazioni straordinarie in ambito pubblico anche in assenza di autorizzazioni formali.
In particolare, la sentenza in questione riguardava il ricorso di un lavoratore in ambito di pubblico impiego in merito alla richiesta di remunerazione di attività svolte oltre l’orario lavorativo del ricorrente e che la Corte d’appello aveva disatteso per l’omissione di prove in merito a “fatti costitutivi”, come un’autorizzazione regionale e una disciplina contrattuale specifica sui compensi.
A riguardo, la Corte ha fatto riferimento principalmente all’art. 2126 c.c. che statuisce come “il lavoro prestato con il consenso del datore di lavoro deve essere retribuito” e sul punto la sentenza citata ha chiarito come il principio in questione debba essere applicato anche nel caso in cui il consenso non sia stato espresso in maniera formale ma che, piuttosto, venga desunto implicitamente nel comportamento del datore di lavoro.
A tal riguardo e sempre con la stessa sentenza la Cassazione ha affermato come non si possa negare il diritto alla retribuzione straordinaria nel caso in cui vi siano state eventuali irregolarità amministrative, come il caso di violazioni sui limiti della spesa pubblica, e chiarendo in proposito come debba essere rispettata, invece, la contrattazione collettiva che stabilisce le modalità e le condizioni della retribuzione del lavoro straordinario in ogni specifico settore.
La Corte evidenzia, difatti, come il risultato della mancata conformità a tetti di spesa e vincoli di bilancio debba fondare una responsabilità unica dei preposti, ovvero dei dirigenti e funzionari competenti, ritenuti soli responsabili delle irregolarità amministrative senza che queste possano ricadere invece sul lavoratore che ha dovuto svolgere il suo dovere su richiesta dell’azienda.
A tal fine, i giudici di legittimità ne hanno dato una lettura in conformità con quanto già statuito da un’altra sentenza della Corte, ovvero, la n. 8 del 27 gennaio 2023.
Con tale sentenza la Corte, nel considerare la legittimità dell’art. 2033 c.c in riferimento alla ripetizione di pagamenti indebiti nell’ambito del pubblico impiego privatizzato, ha evidenziato come l’art. 2126 c.c. in virtù della protezione da esso assicurata alla causa dell’attribuzione costituita di fatto da un’attività lavorativa concretamente prestata anche se giuridicamente non dovuta possa giustificare sia la pretesa a conseguire il corrispettivo sia l’irripetibilità del medesimo qualora sia stato già erogato.
Dott.ssa Serenella Angelini
Pubblico impiego: le prestazioni rese oltre il debito orario devono essere retribuite
Una prestazione straordinaria, ovvero eseguita oltre l’orario lavorativo dovrebbe, sempre e comunque, essere retribuita.
Tale affermazione si evince da un principio costituzionale di cui all’art.36 e ribadito da una recente sentenza della Cassazione Sezione Lavoro, la n. 17913 del 28 giugno 2024 con cui, in linea con il principio costituzione suindicato, ha riconosciuto il diritto alla retribuzione del lavoratore che abbia svolto prestazioni straordinarie in ambito pubblico anche in assenza di autorizzazioni formali.
In particolare, la sentenza in questione riguardava il ricorso di un lavoratore in ambito di pubblico impiego in merito alla richiesta di remunerazione di attività svolte oltre l’orario lavorativo del ricorrente e che la Corte d’appello aveva disatteso per l’omissione di prove in merito a “fatti costitutivi”, come un’autorizzazione regionale e una disciplina contrattuale specifica sui compensi.
A riguardo, la Corte ha fatto riferimento principalmente all’art. 2126 c.c. che statuisce come “il lavoro prestato con il consenso del datore di lavoro deve essere retribuito” e sul punto la sentenza citata ha chiarito come il principio in questione debba essere applicato anche nel caso in cui il consenso non sia stato espresso in maniera formale ma che, piuttosto, venga desunto implicitamente nel comportamento del datore di lavoro.
A tal riguardo e sempre con la stessa sentenza la Cassazione ha affermato come non si possa negare il diritto alla retribuzione straordinaria nel caso in cui vi siano state eventuali irregolarità amministrative, come il caso di violazioni sui limiti della spesa pubblica, e chiarendo in proposito come debba essere rispettata, invece, la contrattazione collettiva che stabilisce le modalità e le condizioni della retribuzione del lavoro straordinario in ogni specifico settore.
La Corte evidenzia, difatti, come il risultato della mancata conformità a tetti di spesa e vincoli di bilancio debba fondare una responsabilità unica dei preposti, ovvero dei dirigenti e funzionari competenti, ritenuti soli responsabili delle irregolarità amministrative senza che queste possano ricadere invece sul lavoratore che ha dovuto svolgere il suo dovere su richiesta dell’azienda.
A tal fine, i giudici di legittimità ne hanno dato una lettura in conformità con quanto già statuito da un’altra sentenza della Corte, ovvero, la n. 8 del 27 gennaio 2023.
Con tale sentenza la Corte, nel considerare la legittimità dell’art. 2033 c.c in riferimento alla ripetizione di pagamenti indebiti nell’ambito del pubblico impiego privatizzato, ha evidenziato come l’art. 2126 c.c. in virtù della protezione da esso assicurata alla causa dell’attribuzione costituita di fatto da un’attività lavorativa concretamente prestata anche se giuridicamente non dovuta possa giustificare sia la pretesa a conseguire il corrispettivo sia l’irripetibilità del medesimo qualora sia stato già erogato.
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