Privacy: i danni da esposizione mediatica non autorizzata del proprio nome
“In tema di lesione dell’interesse al rispetto dei propri dati personali, deve essere riconosciuto il danno consistente nella sofferenza morale patita da un soggetto in seguito alla diffusione senza consenso, nel corso di una trasmissione televisiva, del proprio nominativo, peraltro evocato anche in associazione alla localizzazione del proprio studio professionale, in un contesto totalmente estraneo a quello strettamente professionale. (Nel caso di specie, la S.C. ha confermato la sentenza della corte d’appello, che aveva fondato il riscontro del danno causato dall’esposizione mediatica non autorizzata del nominativo del soggetto coinvolto, sulla base dell’estensione a quest’ultimo del fatto positivo rappresentato dalla ricorrenza di una condizione di sofferenza legata alla lesione dell’interesse della generalità dei consociati al rispetto della propria riservatezza, considerato alla stregua di una nozione di comune esperienza, rilevante ai sensi del comma 2 dell’ art. 115 c.p.c.,).”
È quanto stabilito dalla Suprema Corte di Cassazione sez. III con sentenza n 3426/2018.
La pronuncia in commento ha preso avvio dalle doglianze di un soggetto il quale adiva il Tribunale di Roma lamentando di aver sofferto un danno a seguito della diffusione del suo nominativo, nonché di ulteriori informazioni che permettevano la localizzazione del proprio studio professionale, durante una trasmissione televisiva, senza aver prestato alcun consenso ed in un contesto non attinente al proprio ambito professionale.
Il Tribunale di primo grado decideva in favore dell’attore condannando le società convenute, in solido tra loro, al risarcimento del danno in suo favore.
La Corte di appello confermava la decisione del Giudice di prime cure, sicché, avverso tale pronuncia le suddette società proponevano ricorso per Cassazione.
Gli Ermellini con la sentenza in oggetto hanno espresso l’importante principio secondo cui è da riconoscersi alla generalità dei consociati “la sussistenza di un intimo desiderio/necessità di riservatezza, costituente il principale dei valori che le norme sulla privacy riconoscono ed intendono tutelare” salvo la manifestazione esteriore da parte del soggetto interessato di un contegno diverso che lasci trasparire in modo non equivoco “esibizionismo e/o intromissione in campi ed ambienti diversi da quello strettamente professionali“.
Nel caso di specie, dunque, non essendo stato evidenziato dai Giudici di merito alcun comportamento da parte dell’attore contrastante con il principio generale sancito dalla Corte nella sentenza in oggetto e non avendo, lo stesso, autorizzato l’esposizione mediatica del proprio nome, è stata riconosciuta la lesione dell’interesse al rispetto dei propri dati personali.
Dott. Elio Pino
Privacy: i danni da esposizione mediatica non autorizzata del proprio nome
“In tema di lesione dell’interesse al rispetto dei propri dati personali, deve essere riconosciuto il danno consistente nella sofferenza morale patita da un soggetto in seguito alla diffusione senza consenso, nel corso di una trasmissione televisiva, del proprio nominativo, peraltro evocato anche in associazione alla localizzazione del proprio studio professionale, in un contesto totalmente estraneo a quello strettamente professionale. (Nel caso di specie, la S.C. ha confermato la sentenza della corte d’appello, che aveva fondato il riscontro del danno causato dall’esposizione mediatica non autorizzata del nominativo del soggetto coinvolto, sulla base dell’estensione a quest’ultimo del fatto positivo rappresentato dalla ricorrenza di una condizione di sofferenza legata alla lesione dell’interesse della generalità dei consociati al rispetto della propria riservatezza, considerato alla stregua di una nozione di comune esperienza, rilevante ai sensi del comma 2 dell’ art. 115 c.p.c.,).”
È quanto stabilito dalla Suprema Corte di Cassazione sez. III con sentenza n 3426/2018.
La pronuncia in commento ha preso avvio dalle doglianze di un soggetto il quale adiva il Tribunale di Roma lamentando di aver sofferto un danno a seguito della diffusione del suo nominativo, nonché di ulteriori informazioni che permettevano la localizzazione del proprio studio professionale, durante una trasmissione televisiva, senza aver prestato alcun consenso ed in un contesto non attinente al proprio ambito professionale.
Il Tribunale di primo grado decideva in favore dell’attore condannando le società convenute, in solido tra loro, al risarcimento del danno in suo favore.
La Corte di appello confermava la decisione del Giudice di prime cure, sicché, avverso tale pronuncia le suddette società proponevano ricorso per Cassazione.
Gli Ermellini con la sentenza in oggetto hanno espresso l’importante principio secondo cui è da riconoscersi alla generalità dei consociati “la sussistenza di un intimo desiderio/necessità di riservatezza, costituente il principale dei valori che le norme sulla privacy riconoscono ed intendono tutelare” salvo la manifestazione esteriore da parte del soggetto interessato di un contegno diverso che lasci trasparire in modo non equivoco “esibizionismo e/o intromissione in campi ed ambienti diversi da quello strettamente professionali“.
Nel caso di specie, dunque, non essendo stato evidenziato dai Giudici di merito alcun comportamento da parte dell’attore contrastante con il principio generale sancito dalla Corte nella sentenza in oggetto e non avendo, lo stesso, autorizzato l’esposizione mediatica del proprio nome, è stata riconosciuta la lesione dell’interesse al rispetto dei propri dati personali.
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