Published On: 10 Settembre 2016Categories: Articoli, Diritto civile, Flavia Lucchetti

Pillola del giorno dopo, consultori sempre tenuti alla prescrizione

Il giorno 2 agosto 2016 il TAR Lazio si è pronunciato in senso sfavorevole al ricorso proposto dal Movimento per la Vita Italiano, dall’Associazione Nazionale dei Medici Cattolici e dall’Associazione Italiana Ginecologi Ostetrici Cattolici contro la Regione Lazio, che nel 2014 ha riordinato la disciplina dei Consultori Familiari regionali.

Le organizzazioni ricorrenti lamentavano una lesione, per i medici ginecologi obiettori, della libertà di coscienza ingenerata dal provvedimento avente ad oggetto la “Rete per la salute della Donna, della Coppia e del Bambino”.

Poiché, nell’ambito del percorso assistenziale della donna che richiede l’interruzione volontaria di gravidanza il medico del consultorio non può rifiutarsi di prescrivere la pillola del giorno dopo, i medici obiettori di coscienza sarebbero spinti a non chiedere l’assunzione in un Consultorio, o costretti a dimettersi da esso o a violare il dettato della propria coscienza, essendo gli stessi contrari alle pratiche abortive.

I giudici del tribunale amministrativo hanno incardinato la loro decisione sull’interpretazione della legge n. 194 del 1978, affermando che il personale operante nel consultorio familiare non è coinvolto direttamente nell’interruzione dello stato di gravidanza, bensì solo in attività di attestazione di tale stato e nella certificazione delle richieste di interruzione delle pazienti, nonché della prescrizione di contraccettivi. “L’obiezione di coscienza esonera

[…] dal compimento delle procedure e delle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza, e non dall’assistenza antecedente e conseguente all’intervento”. Il diritto del medico, sebbene tutelato dalla legge del 1978 (la quale prevede tra le altre che il diritto di obiezione di coscienza trova il suo limite nella tutela della salute della donna), non può intendersi in modo tale da esonerare il medico dall’intervenire durante l’intero procedimento di interruzione volontaria della gravidanza (Cassazione penale, sezione III, n. 14979/2013).

Tale principio è ormai consolidato in giurisprudenza e tanto l’Agenzia italiana del farmaco, quanto la European Medical Association,   hanno ormai chiarito che la pillola del giorno dopo è da ritenersi un contraccettivo e la sua assunzione non è azione assimilabile all’aborto; anche la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha affermato l’obbligo positivo degli Stati di strutturare il servizio sanitario nazionale in modo da non limitare la  possibilità di ottenere l’aborto, assicurando che il diritto all’obiezione di coscienza dei medici non impedisca il diritto di accesso ai servizi abortivi delle pazienti.

Avendo la legge prescritto di poter considerare “aborto” solo l’interruzione di gravidanza volontaria che interviene dopo la fecondazione dell’ovulo e in ossequio al principio di autodeterminazione dell’individuo, donna in questo caso, il Tribunale Amministrativo Regionale ha ritenuto di dover respingere il ricorso.

Dott.ssa Flavia Lucchetti

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Pillola del giorno dopo, consultori sempre tenuti alla prescrizione

Il giorno 2 agosto 2016 il TAR Lazio si è pronunciato in senso sfavorevole al ricorso proposto dal Movimento per la Vita Italiano, dall’Associazione Nazionale dei Medici Cattolici e dall’Associazione Italiana Ginecologi Ostetrici Cattolici contro la Regione Lazio, che nel 2014 ha riordinato la disciplina dei Consultori Familiari regionali.

Le organizzazioni ricorrenti lamentavano una lesione, per i medici ginecologi obiettori, della libertà di coscienza ingenerata dal provvedimento avente ad oggetto la “Rete per la salute della Donna, della Coppia e del Bambino”.

Poiché, nell’ambito del percorso assistenziale della donna che richiede l’interruzione volontaria di gravidanza il medico del consultorio non può rifiutarsi di prescrivere la pillola del giorno dopo, i medici obiettori di coscienza sarebbero spinti a non chiedere l’assunzione in un Consultorio, o costretti a dimettersi da esso o a violare il dettato della propria coscienza, essendo gli stessi contrari alle pratiche abortive.

I giudici del tribunale amministrativo hanno incardinato la loro decisione sull’interpretazione della legge n. 194 del 1978, affermando che il personale operante nel consultorio familiare non è coinvolto direttamente nell’interruzione dello stato di gravidanza, bensì solo in attività di attestazione di tale stato e nella certificazione delle richieste di interruzione delle pazienti, nonché della prescrizione di contraccettivi. “L’obiezione di coscienza esonera

[…] dal compimento delle procedure e delle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza, e non dall’assistenza antecedente e conseguente all’intervento”. Il diritto del medico, sebbene tutelato dalla legge del 1978 (la quale prevede tra le altre che il diritto di obiezione di coscienza trova il suo limite nella tutela della salute della donna), non può intendersi in modo tale da esonerare il medico dall’intervenire durante l’intero procedimento di interruzione volontaria della gravidanza (Cassazione penale, sezione III, n. 14979/2013).

Tale principio è ormai consolidato in giurisprudenza e tanto l’Agenzia italiana del farmaco, quanto la European Medical Association,   hanno ormai chiarito che la pillola del giorno dopo è da ritenersi un contraccettivo e la sua assunzione non è azione assimilabile all’aborto; anche la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha affermato l’obbligo positivo degli Stati di strutturare il servizio sanitario nazionale in modo da non limitare la  possibilità di ottenere l’aborto, assicurando che il diritto all’obiezione di coscienza dei medici non impedisca il diritto di accesso ai servizi abortivi delle pazienti.

Avendo la legge prescritto di poter considerare “aborto” solo l’interruzione di gravidanza volontaria che interviene dopo la fecondazione dell’ovulo e in ossequio al principio di autodeterminazione dell’individuo, donna in questo caso, il Tribunale Amministrativo Regionale ha ritenuto di dover respingere il ricorso.

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