“Ottobre Fallimentare”: cause in corso non impediscono chiusura fallimento
Il Decreto Legge n. 83 del 27 giugno 2015 recante “Misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale civile e di organizzazione e funzionamento dell’amministrazione giudiziaria”, convertito in legge con modifiche con la legge 6 agosto 2015, n. 132, ha sostanzialmente risolto l’annoso problema relativo alla situazione di stallo in cui, sovente, vengono a trovarsi le procedure fallimentare a causa della pendenza di giudizi in corso e finalizzati all’acquisizione di attivo fallimentare.
Con l’art. 7 del D.L. di riforma in discorso viene modificato il testo dell’art. 118 della Legge Fallimentare relativo alla chiusura del fallimento.
Anche tale modifica è ispirata dall’esigenza, avvertita dal legislatore, di agevolare l’accelerazione delle procedure fallimentari rimuovendo una delle più frequenti cause di ritardo nella definizione di esse, rilevata anche statisticamente e rappresentata dalla pendenza di controversie giudiziarie riguardanti diritti dell’impresa fallita verso terzi.
Tali controversie, infatti, sono quasi sempre di lunga durata.
Per soddisfare tale finalità acceleratoria l’art. 7 della riforma ha modificato il testo dell’art. 118 della Legge Fallimentare (“casi di chiusura”), integrandone l’ultimo comma con le disposizioni secondo cui: 1) la chiusura del fallimento per “compiuta ripartizione finale dell’attivo” (art. 118, primo comma, n. 3) non è impedita dalla pendenza di giudizi aventi l’oggetto innanzi menzionato; 2) il curatore fallimentare può mantenere la sua legittimazione processuale anche nei successivi stati e gradi di tali giudizi, ai sensi dell’art. 43 della Legge Fallimentare e deve trattenere le somme necessarie per provvedere alle spese processuali relative ai giudizi pendenti e quelle ricevute per effetto di provvedimenti provvisoriamente esecutivi e non ancora passati in giudicato. È importante rilevare, riguardo a questa modifica normativa dell’art. 118 L.F., che essa introduce, sostanzialmente, l’ultrattività della legittimazione processuale del curatore fallimentare rispetto alla chiusura del fallimento (per il caso, sopra specificato, di chiusura per compiuta ripartizione dell’attivo); 3) la riforma, inoltre, conseguentemente alle precedenti modifiche normative, ha previsto che – dopo la chiusura del fallimento per avvenuta ripartizione dell’attivo – tutte le somme ricevute dal curatore per effetto di provvedimenti definitivi adottati nei giudizi pendenti alla data di chiusura del fallimento e gli eventuali residui accantonamenti debbono essere oggetto di riparto supplementare tra i creditori, secondo le modalità disposte dal Tribunale con il decreto di chiusura emesso a norma dell’art. 119 della Legge Fallimentare, senza farsi luogo alla riapertura del fallimento; 4) nel caso in cui, per effetto dei riparti supplementari di cui innanzi, i creditori siano stati, anche in parte, soddisfatti, viene meno l’impedimento all’esdebitazione previsto dall’art. 142, comma secondo della Legge Fallimentare, secondo cui l’esdebitazione non può essere concessa qualora non siano stati soddisfatti, neppure in parte, i creditori concorsuali.
In virtù di tale modifica normativa si consente l’esdebitazione tardiva.
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Anche tale modifica è ispirata dall’esigenza, avvertita dal legislatore, di agevolare l’accelerazione delle procedure fallimentari rimuovendo una delle più frequenti cause di ritardo nella definizione di esse, rilevata anche statisticamente e rappresentata dalla pendenza di controversie giudiziarie riguardanti diritti dell’impresa fallita verso terzi.
Tali controversie, infatti, sono quasi sempre di lunga durata.
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