Non c'è spazio per l’impugnazione se l’atto prodromico è definitivo
A cura dell’avv. Martina Macrì
Come è noto, quando l’esattore deve intimare il pagamento al contribuente, invia una cartella esattoriale, dal momento della ricezione il destinatario ha 60 giorni di tempo per adempiere o impugnarla, viceversa, la cartella diventa definitiva.
Spirato il termine di 60 giorni l’esattore potrà procedere all’esecuzione forzata, tuttavia, se ciò avverrà trascorso un anno dal ricevimento della sopraindicata cartella, dovrà preliminarmente notificare un sollecito di pagamento, denominato intimazione di pagamento.
Purtroppo, quando arriva un’intimazione di pagamento non è più possibile per il destinatario contestare nel merito la pretesa esattoriale, ossia i conteggi fatti dall’ente titolare del credito, l’esistenza del credito o il presupposto dell’imposta, atteso che, tali censure dovevano essere rappresentante dal contribuente in sede giudiziaria al momento della ricezione della cartella di pagamento, c.d. “ atto prodromico”.
Difatti, nell’impugnazione avverso la cartella è possibile sollevare eccezioni in merito a vizi formali dell’atto di riscossione, così come l’intimazione di pagamento può essere impugnata solo per “vizi propri”, come ad esempio la mancanza dell’indicazione del responsabile del procedimento.
Sulla materia, è recentemente intervenuta la Suprema Corte, con particolare riferimento alla questione inerente alla legittimità o meno dell’impugnazione di un atto di intimazione di pagamento notificato dall’amministrazione giudiziaria, nel caso in cui il contribuente eccepisca dei vizi relativi all’atto prodromico (la cartella di pagamento) che non è stato impugnato nei termini, e quindi, è divenuto definitivo.
La questione esaminata dalla Cassazione ha origine da una controversia avente ad oggetto l’impugnazione di un’intimazione al pagamento di somme inerenti ad una cartella esattoriale proposta dal Socio di una società SNC.
In vero l’Agenzia delle Entrate aveva notificato la cartella prodromica dapprima al debitore principale, la Società SNC e, successivamente al socio, il quale non proponeva opposizione né adempieva al pagamento.
Ricevuta l’Intimazione di pagamento il socio proponeva opposizione, con successo in primo e secondo grado Tributario, assumendo la prescrizione del credito fiscale, maturato in conseguenza della dedotta irregolarità della notifica alla società della cartella di pagamento a questa diretta, come tale inidonea ad interrompere il termine prescrizionale decorrente dalla pronuncia giudiziale sulla base del quale era stata emessa detta cartella.
L’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per Cassazione, deducendo l’erroneità della Sentenza emessa dalla Commissione Tributaria Regionale, per aver ritenuto ammissibile ed accolto l’eccezione di prescrizione del credito, nonostante l’espresso riconoscimento da parte del Socio ricorrente, circa la regolarità della notifica dell’atto prodromico ( la cartella di pagamento), che non era stato impugnato.
La Suprema Corte, con Ordinanza n. 3005/2020 del 7 Febbraio 2020, accoglieva il ricorso proposto dall’Agenzia dell’Entrate, rigettando l’originario ricorso del contribuente.
Nella specie, secondo gli Ermellini, la mancata impugnazione dell’atto presupposto, in tal caso la cartella di pagamento, preclude al contribuente qualsiasi eccezione relativa all’atto prodromico, ivi compresa l’eccezione circa l’intervenuta prescrizione del credito erariale, in applicazione del principio affermato dalla Stessa Corte di Cassazione in altre precedenti pronunce, secondo il quale: “ l’intimazione di pagamento che faccia seguito ad un atto impositivo divenuto definitivo per mancata impugnazione, non integra un nuovo ed autonomo atto impositivo, con la conseguenza che, in base all’art. 19, comma 3 del D.lgs 31 Dicembre 1992. N. 546, esso resta sindacabile solo per vizi propri e non per questioni attinenti all’atto impositivo da cui è sorto il debito. Ne consegue che tali ultimi vizi non possono essere fatti valere con l’impugnazione dell’intimazione di pagamento, salvo che il contribuente non sia venuto a conoscenza della pretesa impositiva solo con la notificazione dell’imposizione predetta”( Cass. Ordinanza n. 3005/20).
Pertanto, secondo le conclusioni riportate, l’eccezione di prescrizione del credito tributarioa vrebbe dovuto essere sollevata solo con l’impugnazione della cartella di pagamento, a meno che il contribuente non dimostri di non aver mai ricevutola notifica dell’atto prodromico (cd actio recuperatoria)
Fonte foto: Database Freepik
Non c'è spazio per l’impugnazione se l’atto prodromico è definitivo
A cura dell’avv. Martina Macrì
Come è noto, quando l’esattore deve intimare il pagamento al contribuente, invia una cartella esattoriale, dal momento della ricezione il destinatario ha 60 giorni di tempo per adempiere o impugnarla, viceversa, la cartella diventa definitiva.
Spirato il termine di 60 giorni l’esattore potrà procedere all’esecuzione forzata, tuttavia, se ciò avverrà trascorso un anno dal ricevimento della sopraindicata cartella, dovrà preliminarmente notificare un sollecito di pagamento, denominato intimazione di pagamento.
Purtroppo, quando arriva un’intimazione di pagamento non è più possibile per il destinatario contestare nel merito la pretesa esattoriale, ossia i conteggi fatti dall’ente titolare del credito, l’esistenza del credito o il presupposto dell’imposta, atteso che, tali censure dovevano essere rappresentante dal contribuente in sede giudiziaria al momento della ricezione della cartella di pagamento, c.d. “ atto prodromico”.
Difatti, nell’impugnazione avverso la cartella è possibile sollevare eccezioni in merito a vizi formali dell’atto di riscossione, così come l’intimazione di pagamento può essere impugnata solo per “vizi propri”, come ad esempio la mancanza dell’indicazione del responsabile del procedimento.
Sulla materia, è recentemente intervenuta la Suprema Corte, con particolare riferimento alla questione inerente alla legittimità o meno dell’impugnazione di un atto di intimazione di pagamento notificato dall’amministrazione giudiziaria, nel caso in cui il contribuente eccepisca dei vizi relativi all’atto prodromico (la cartella di pagamento) che non è stato impugnato nei termini, e quindi, è divenuto definitivo.
La questione esaminata dalla Cassazione ha origine da una controversia avente ad oggetto l’impugnazione di un’intimazione al pagamento di somme inerenti ad una cartella esattoriale proposta dal Socio di una società SNC.
In vero l’Agenzia delle Entrate aveva notificato la cartella prodromica dapprima al debitore principale, la Società SNC e, successivamente al socio, il quale non proponeva opposizione né adempieva al pagamento.
Ricevuta l’Intimazione di pagamento il socio proponeva opposizione, con successo in primo e secondo grado Tributario, assumendo la prescrizione del credito fiscale, maturato in conseguenza della dedotta irregolarità della notifica alla società della cartella di pagamento a questa diretta, come tale inidonea ad interrompere il termine prescrizionale decorrente dalla pronuncia giudiziale sulla base del quale era stata emessa detta cartella.
L’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per Cassazione, deducendo l’erroneità della Sentenza emessa dalla Commissione Tributaria Regionale, per aver ritenuto ammissibile ed accolto l’eccezione di prescrizione del credito, nonostante l’espresso riconoscimento da parte del Socio ricorrente, circa la regolarità della notifica dell’atto prodromico ( la cartella di pagamento), che non era stato impugnato.
La Suprema Corte, con Ordinanza n. 3005/2020 del 7 Febbraio 2020, accoglieva il ricorso proposto dall’Agenzia dell’Entrate, rigettando l’originario ricorso del contribuente.
Nella specie, secondo gli Ermellini, la mancata impugnazione dell’atto presupposto, in tal caso la cartella di pagamento, preclude al contribuente qualsiasi eccezione relativa all’atto prodromico, ivi compresa l’eccezione circa l’intervenuta prescrizione del credito erariale, in applicazione del principio affermato dalla Stessa Corte di Cassazione in altre precedenti pronunce, secondo il quale: “ l’intimazione di pagamento che faccia seguito ad un atto impositivo divenuto definitivo per mancata impugnazione, non integra un nuovo ed autonomo atto impositivo, con la conseguenza che, in base all’art. 19, comma 3 del D.lgs 31 Dicembre 1992. N. 546, esso resta sindacabile solo per vizi propri e non per questioni attinenti all’atto impositivo da cui è sorto il debito. Ne consegue che tali ultimi vizi non possono essere fatti valere con l’impugnazione dell’intimazione di pagamento, salvo che il contribuente non sia venuto a conoscenza della pretesa impositiva solo con la notificazione dell’imposizione predetta”( Cass. Ordinanza n. 3005/20).
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