Published On: 17 Settembre 2017Categories: Articoli, Chiara Vaccaro, Diritto Penale

Minaccia di uccidere la sua ex via telefono: condannato

La Corte di Cassazione, sez. V Penale con sentenza n. 32368/2017, depositata il 5 luglio ha condannato un uomo a sei mesi di reclusione per minaccia grave e concreta contro la sua ex compagna.

L’uomo in questione aveva telefonato alla sua ex e madre di sua figlia perdendo ogni freno inibitorio minacciando di rapire la figlia e di uccidere la donna. 

Il difensore dell’imputato ha sminuito la condotta del cliente in quanto le espressioni minacciose erano state pronunciate per telefono,«a grande distanza» e dovute «al fatto che la donna non permetteva all’ex compagno di parlare con la figlia minore».

Questa condizione è stata ritenuta irrilevante dai giudici della Cassazione che hanno confermato la condanna dei giudici del Tribunale e della Corte d’Appello. 

Gli Ermellini hanno giudicato che non si può trascurare che «una minaccia di morte non deve essere circostanziata, potendo benissimo, ancorché pronunciata in modo generico, produrre un grave turbamento psichico». E in questa ottica i giudici sottolineano che l’uomo ha anche ipotizzato «il sequestro della figlia».

Quindi  «la serietà della minaccia» nei confronti della donna «non appare ridimensionata dal mezzo adoperato (il telefono) o dalla distanza», poiché l’uomo ha «considerato anche le conseguenze della condotta criminosa» sottolineando di «non avere paura dei carabinieri e del carcere».

Dott.ssa Chiara Vaccaro

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Published On: 17 Settembre 2017Categories: Articoli, Chiara Vaccaro, Diritto PenaleBy

Minaccia di uccidere la sua ex via telefono: condannato

La Corte di Cassazione, sez. V Penale con sentenza n. 32368/2017, depositata il 5 luglio ha condannato un uomo a sei mesi di reclusione per minaccia grave e concreta contro la sua ex compagna.

L’uomo in questione aveva telefonato alla sua ex e madre di sua figlia perdendo ogni freno inibitorio minacciando di rapire la figlia e di uccidere la donna. 

Il difensore dell’imputato ha sminuito la condotta del cliente in quanto le espressioni minacciose erano state pronunciate per telefono,«a grande distanza» e dovute «al fatto che la donna non permetteva all’ex compagno di parlare con la figlia minore».

Questa condizione è stata ritenuta irrilevante dai giudici della Cassazione che hanno confermato la condanna dei giudici del Tribunale e della Corte d’Appello. 

Gli Ermellini hanno giudicato che non si può trascurare che «una minaccia di morte non deve essere circostanziata, potendo benissimo, ancorché pronunciata in modo generico, produrre un grave turbamento psichico». E in questa ottica i giudici sottolineano che l’uomo ha anche ipotizzato «il sequestro della figlia».

Quindi  «la serietà della minaccia» nei confronti della donna «non appare ridimensionata dal mezzo adoperato (il telefono) o dalla distanza», poiché l’uomo ha «considerato anche le conseguenze della condotta criminosa» sottolineando di «non avere paura dei carabinieri e del carcere».

Dott.ssa Chiara Vaccaro

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