Minaccia a pubblico ufficiale, è reato anche con intimidazione indiretta
La Corte di Cassazione con sentenza n. 5545 del 10 febbraio 2016 ha ribadito che “per integrare il reato di violenza o minaccia a un pubblico ufficiale ex art. 336 del codice penale non è necessaria una intimidazione diretta o personale nei confronti del pubblico ufficiale.
Nel caso in esame il Tribunale di Firenze ha rigettato la richiesta di convalida dell’arresto in flagranza dell’imputato per il reato ex art. 336 del codice penale, ritenendo che la sua condotta, consistente nell’apparire determinato a compiere atti insani nei confronti dei suoi figli se non fosse stato portato in carcere, non abbia integrato una minaccia ai carabinieri intervenuti nella abitazione in cui l’uomo era ristretto in detenzione domiciliare.
Diversamente la Suprema Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Firenze, ha ribadito che “per integrare il reato ex art. 336 del codice penale è sufficiente l’impiego di qualsiasi forma di coazione, diretta o indiretta o soltanto morale, idonea a condizionare la sua libertà di scelta, anche comportamenti o propositi autolesivi del soggetto agente, che – per l’intrinseca ingiustizia del male che prospettano – risultino specificamente atti a intralciare l’esercizio della pubblica funzione”.
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La Corte di Cassazione con sentenza n. 5545 del 10 febbraio 2016 ha ribadito che “per integrare il reato di violenza o minaccia a un pubblico ufficiale ex art. 336 del codice penale non è necessaria una intimidazione diretta o personale nei confronti del pubblico ufficiale.
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