Published On: 9 Ottobre 2016Categories: Articoli, Carmen Giovannini, Diritto Penale

La sottile linea che divide critica e diffamazione in ambito giudiziario

La Corte di Cassazione, sez. V Penale, con la sentenza n. 41671/16, depositata il 4 ottobre, ha stabilito che “l’esercizio del diritto di critica giudiziaria non può trasmodare nell’accusa di malafede all’organo inquirente, non essendo consentito ledere la reputazione professionale e la sfera di onorabilità della persona offesa”.

Questa sentenza fa riferimento agli spiacevoli avvenimenti che segnarono il G8 di Genova del 2001, uno su tutti quello dell’uccisione di un ragazzo da parte di un carabiniere durante una guerriglia urbana. Dieci anni dopo quegli episodi, in occasione di un incontro pubblico per ricordarli ed evitare che si ripetano in futuro, un avvocato ha rivolto durissime critiche al PM che era a capo dell’ufficio inquirente incaricato di indagare su tali vicende, accusandolo di aver portato avanti una “pseudo-indagine”; queste affermazioni sono state poi riportate su un quotidiano nazionale e da qui è sorta la querela per diffamazione.

Il ricorrente, dopo essere stato condannato sia in primo che in secondo grado, ha adito la Suprema Corte che, pronunciandosi sulla sentenza impugnata, ha affrontato il tema della possibilità di critica anche fuori da un contesto che non sia meramente processuale. Dal testo della sentenza, si evince che, secondo i giudici, in un regime in cui dovrebbe regnare la libertà di manifestazione di pensiero è ovviamente concessa e, anzi, dovuta, la libertà di muovere delle critiche o delle contestazioni al modo in cui è stata condotta un’indagine o ad un provvedimento giudiziario, tant’è che nel testo di un atto d’impugnazione è quasi scontato che queste ci siano. Vero è, però, che bisogna pur sempre rispettare dei limiti, senza mai trasformare una semplice critica in una più importante accusa, per esempio, di aver condotto le indagini «in base ad un’idea precostituita e preconcetta», come è avvenuto in questo caso. La critica giudiziaria, quindi è sì consentita, ma senza che si trasformi in un’accusa di malafede che vada ad intaccare l’onore e la sfera professionale dell’organo giudiziario.

Dott.ssa Carmela Giovannini

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La sottile linea che divide critica e diffamazione in ambito giudiziario

La Corte di Cassazione, sez. V Penale, con la sentenza n. 41671/16, depositata il 4 ottobre, ha stabilito che “l’esercizio del diritto di critica giudiziaria non può trasmodare nell’accusa di malafede all’organo inquirente, non essendo consentito ledere la reputazione professionale e la sfera di onorabilità della persona offesa”.

Questa sentenza fa riferimento agli spiacevoli avvenimenti che segnarono il G8 di Genova del 2001, uno su tutti quello dell’uccisione di un ragazzo da parte di un carabiniere durante una guerriglia urbana. Dieci anni dopo quegli episodi, in occasione di un incontro pubblico per ricordarli ed evitare che si ripetano in futuro, un avvocato ha rivolto durissime critiche al PM che era a capo dell’ufficio inquirente incaricato di indagare su tali vicende, accusandolo di aver portato avanti una “pseudo-indagine”; queste affermazioni sono state poi riportate su un quotidiano nazionale e da qui è sorta la querela per diffamazione.

Il ricorrente, dopo essere stato condannato sia in primo che in secondo grado, ha adito la Suprema Corte che, pronunciandosi sulla sentenza impugnata, ha affrontato il tema della possibilità di critica anche fuori da un contesto che non sia meramente processuale. Dal testo della sentenza, si evince che, secondo i giudici, in un regime in cui dovrebbe regnare la libertà di manifestazione di pensiero è ovviamente concessa e, anzi, dovuta, la libertà di muovere delle critiche o delle contestazioni al modo in cui è stata condotta un’indagine o ad un provvedimento giudiziario, tant’è che nel testo di un atto d’impugnazione è quasi scontato che queste ci siano. Vero è, però, che bisogna pur sempre rispettare dei limiti, senza mai trasformare una semplice critica in una più importante accusa, per esempio, di aver condotto le indagini «in base ad un’idea precostituita e preconcetta», come è avvenuto in questo caso. La critica giudiziaria, quindi è sì consentita, ma senza che si trasformi in un’accusa di malafede che vada ad intaccare l’onore e la sfera professionale dell’organo giudiziario.

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