Published On: 28 Maggio 2018Categories: Articoli, Diritto civile, Giulia Vozzolo

La responsabilità civile del professionista sanitario

Con la sentenza n. 10608/2018, la Corte di Cassazione, sez. III Civile, si è pronunciata sulla risarcibilità del danno da lesione del diritto all’autodeterminazione, cagionato dalla violazione del dovere del medico di informare il paziente in merito ai trattamenti sanitari.

Il tema è stato affrontato in occasione di un ricorso promosso per “falsa applicazione di norme di diritto” ex. art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.

Nella fattispecie, l’attrice citava in giudizio il medico e la ASL, per ottenere il risarcimento dei danni che affermava di aver subito a causa di trattamenti sanitari inadeguati ai quali era stata sottoposta, presso la struttura ospedaliera civile, senza previa indagine e informazione. In corso di giudizio, citava altresì la Regione, la Gestione Liquidatoria della USL e le società assicuratrici dei convenuti principali. Il Tribunale di Torre Annunziata rigettava in parte le domande proposte e in altre parte le dichiarava assorbite, e la decisione veniva confermata dalla Corte d’Appello di Napoli. La soccombente promuoveva così ricorso per Cassazione, avanzando come unico motivo la “falsa applicazione di norme di diritto”, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.

La Suprema Corte dichiarava inammissibile il ricorso stante l’eccessiva genericità della censura, formulata senza specificare le norme che si assumevano violate, e la non pertinenza di questa rispetto alla ratio decidendi della sentenza impugnata. Inoltre, in relazione alla domanda di risarcimento del danno da mancata informazione al paziente, in astratto chiedibile dal ricorrente, la Corte osservava che questa non era stata proposta in termini sufficientemente chiari, né tantomeno era stata provata la fattispecie lesiva.

Nella pronuncia, i Giudici di legittimità ribadivano diversi e rilevanti principi di diritto. Confermando l’orientamento giurisprudenziale già consolidato, invero, affermavano che la violazione del dovere di informazione a carico del medico era suscettibile di produrre, oltre ai danni alla salute che si ritenevano sussistenti se il paziente leso avesse provato che, in presenza dell’informativa, non avrebbe acconsentito al trattamento medico, anche danni per violazione del diritto all’autodeterminazione, determinati da una carenza informativa. Nello specifico, ci si riferiva alle conseguenze, di natura patrimoniale e non patrimoniale, distinte da quelle attinenti alla lesione del diritto alla salute e derivanti da una non corretta esecuzione della prestazione medica, peraltro non sussistenti nel caso di specie.

Il rispetto della persona umana e delle convinzioni morali, religiose, culturali e filosofiche che sorreggono le sue determinazioni volitive, sosteneva la Corte, legittimava la pretesa del paziente di conoscere precisamente le probabili conseguenze degli interventi medici per affrontarle con maggior consapevolezza. Di talché, pur in assenza di pregiudizi alla salute, la lesione del diritto all’autodeterminazione si configurava come autonomamente risarcibile in via equitativa, purché ne ricorressero le seguenti condizioni: l’incisione oltre un certo livello minimo di tollerabilità, determinato dal giudice nel bilanciamento con il principio di solidarietà; l’allegazione, da parte del paziente, del concreto pregiudizio subito; la prova di quest’ultimo, fornita anche mediante presunzioni.

La corte, dunque, è stata obbligata a dichiarare l’inammissibilità del ricorso a causa della formulazione di un motivo di gravame non preciso e non pertinente, evidenziando, in uno, l’importanza della specificità nella stesura delle censure e la doverosità di una completa attività informativa da parte del professionista sanitario.

Dott.ssa Giulia Vozzolo

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La responsabilità civile del professionista sanitario

Con la sentenza n. 10608/2018, la Corte di Cassazione, sez. III Civile, si è pronunciata sulla risarcibilità del danno da lesione del diritto all’autodeterminazione, cagionato dalla violazione del dovere del medico di informare il paziente in merito ai trattamenti sanitari.

Il tema è stato affrontato in occasione di un ricorso promosso per “falsa applicazione di norme di diritto” ex. art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.

Nella fattispecie, l’attrice citava in giudizio il medico e la ASL, per ottenere il risarcimento dei danni che affermava di aver subito a causa di trattamenti sanitari inadeguati ai quali era stata sottoposta, presso la struttura ospedaliera civile, senza previa indagine e informazione. In corso di giudizio, citava altresì la Regione, la Gestione Liquidatoria della USL e le società assicuratrici dei convenuti principali. Il Tribunale di Torre Annunziata rigettava in parte le domande proposte e in altre parte le dichiarava assorbite, e la decisione veniva confermata dalla Corte d’Appello di Napoli. La soccombente promuoveva così ricorso per Cassazione, avanzando come unico motivo la “falsa applicazione di norme di diritto”, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.

La Suprema Corte dichiarava inammissibile il ricorso stante l’eccessiva genericità della censura, formulata senza specificare le norme che si assumevano violate, e la non pertinenza di questa rispetto alla ratio decidendi della sentenza impugnata. Inoltre, in relazione alla domanda di risarcimento del danno da mancata informazione al paziente, in astratto chiedibile dal ricorrente, la Corte osservava che questa non era stata proposta in termini sufficientemente chiari, né tantomeno era stata provata la fattispecie lesiva.

Nella pronuncia, i Giudici di legittimità ribadivano diversi e rilevanti principi di diritto. Confermando l’orientamento giurisprudenziale già consolidato, invero, affermavano che la violazione del dovere di informazione a carico del medico era suscettibile di produrre, oltre ai danni alla salute che si ritenevano sussistenti se il paziente leso avesse provato che, in presenza dell’informativa, non avrebbe acconsentito al trattamento medico, anche danni per violazione del diritto all’autodeterminazione, determinati da una carenza informativa. Nello specifico, ci si riferiva alle conseguenze, di natura patrimoniale e non patrimoniale, distinte da quelle attinenti alla lesione del diritto alla salute e derivanti da una non corretta esecuzione della prestazione medica, peraltro non sussistenti nel caso di specie.

Il rispetto della persona umana e delle convinzioni morali, religiose, culturali e filosofiche che sorreggono le sue determinazioni volitive, sosteneva la Corte, legittimava la pretesa del paziente di conoscere precisamente le probabili conseguenze degli interventi medici per affrontarle con maggior consapevolezza. Di talché, pur in assenza di pregiudizi alla salute, la lesione del diritto all’autodeterminazione si configurava come autonomamente risarcibile in via equitativa, purché ne ricorressero le seguenti condizioni: l’incisione oltre un certo livello minimo di tollerabilità, determinato dal giudice nel bilanciamento con il principio di solidarietà; l’allegazione, da parte del paziente, del concreto pregiudizio subito; la prova di quest’ultimo, fornita anche mediante presunzioni.

La corte, dunque, è stata obbligata a dichiarare l’inammissibilità del ricorso a causa della formulazione di un motivo di gravame non preciso e non pertinente, evidenziando, in uno, l’importanza della specificità nella stesura delle censure e la doverosità di una completa attività informativa da parte del professionista sanitario.

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