La giurisdizione nel caso di trasferimento della sede legale di una società
Con la sentenza 17 dicembre 2020, n. 28981, la Cass. Civ. a Sez. Unite si è pronunciata su un caso di insolvenza transfrontaliera, specificando la portata dell’art. 3 Reg. (UE) n. 2015/848.
Il regolamento in questione stabilisce che, ai fini dell’individuazione del giudice competente a dichiarare il fallimento di una società, è necessario prendere in considerazione il luogo in cui ha sede il centro degli interessi principali del debitore.
L’art 3 del Reg. (UE) n. 2015/848 dispone che:
“Il centro degli interessi principali è il luogo in cui il debitore esercita la gestione dei suoi interessi in modo abituale e riconoscibile dai terzi”.
Al riguardo opera la presunzione semplice, secondo cui il centro degli interessi del debitore coincide con il luogo in cui si trova la sede legale della società. Tale presunzione non opera, però, se la sede legale della società è stata spostata nei 3 mesi antecedenti la domanda di apertura della procedura d’insolvenza (cfr. art 3, n. 1 del Reg. UE n. 2015/848).
Nel caso di specie, il Tribunale di Reggio Emilia aveva dichiarato il fallimento di una società, la quale, nei tre mesi antecedenti alla presentazione della domanda di fallimento, aveva trasferito la propria sede all’estero.
Contro tale sentenza dichiarativa di fallimento, la società aveva proposto reclamo alla Corte d’Appello di Bologna, deducendo il difetto di giurisdizione del giudice italiano.
La Corte d’Appello di Bologna, aveva però respinto il reclamo, confermando la giurisdizione del giudice italiano e ciò, in quanto, in conformità alla normativa sopra citata, il trasferimento della sede all’estero era avvenuto nei tre mesi precedenti la domanda di apertura della procedura concorsuale e, di conseguenza, era da escludere l’operatività della presunzione legale di cui all’art 3 Reg. (UE) n. 2015/848.
Inoltre, la Corte ribadiva la sussistenza di elementi di fatto tali da far ritenere l’avvenuto trasferimento della sede legale all’estero come meramente fittizio e che, dunque, fosse nel caso di specie superabile la presunzione di coincidenza tra il centro degli interessi principali del debitore e la sede legale.
In particolare, il trasferimento della sede sociale non era stato seguito dal trasferimento dell’attività, la quale risultava essere svolta ancora in Italia, sede originaria e, per di più, erano stati stipulati tre contratti di affitto di azienda conclusi dal socio e legale rappresentate con soggetti ricollegabili alla società.
Avverso la sentenza della Corte d’Appello, la società fallita proponeva ricorso in Cassazione per violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto e difetto di giurisdizione del giudice italiano, ai sensi della L.Fall., art 9 e dell’art 3 Reg. UE n. 1346/2000.
La società ricorrente, pertanto, nel suo ricorso per Cassazione, sosteneva che si dovesse applicare, al caso di specie, non il Reg. (UE) 2015/848 – che all’art. 3 prevedeva la suddetta eccezione alla presunzione di coincidenza tra sede legale e centro degli interessi principali del debitore – quanto piuttosto l’art. 3 del precedente Reg. UE n. 1346/2000 (ormai non più in vigore), il quale prevedeva che il superamento della presunzione in discorso fosse possibile solo in caso di prova contraria fornita dal creditore istante per il fallimento.
In particolare, la società ricorrente sosteneva che, avendo la Corte d’Appello fondato la propria decisone sull’inidoneità e insufficienza degli elementi di fatto riportati dalla società per dimostrare il trasferimento del centro degli interessi principali del debitore, quest’ultima avesse operato in violazione della presunzione di cui all’art 3 Reg. UE 1346/2000.
Infatti, sosteneva ancora la ricorrente, spettava ai creditori dimostrare che, nonostante il trasferimento della società all’estero, quest’ultima continuava ad esercitare la propria attività d’impresa in Italia.
La Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso inammissibile.
La stessa, infatti, oltre ad evidenziare il fatto che il ricorrente aveva invocato il regolamento 1346/2000, non più in vigore, in quanto sostituito dal nuovo regolamento (UE) 2015/848, ha chiarito i seguenti punti fondamentali:
- La presunzione stabilita dal nuovo Regolamento è sempre superabile se viene data prova che il centro degli interessi principali non ha seguito il cambiamento di sede statutaria, in linea con quanto stabilito dalla giurisprudenza della Corte di giustizia.
- La presunzione di cui sopra, non opera quando il trasferimento della sede legale avviene nei tre mesi antecedenti alla domanda di apertura della procedura di insolvenza, e dunque non era applicabile nel caso di specie.
- Infine, la Corte ha anche ribadito l’ulteriore principio secondo cui l’accertamento in ordine all’individuazione del COMI spetta al giudice di merito e non è, pertanto, sindacabile in sede di legittimità.
Il ricorso è stato, dunque, dichiarato inammissibile, anche perché finalizzato a rimettere in discussione questioni di fatto già definite legittimamente dalla Corte d’Appello.
La decisione assunta, quindi, dalla Corte di Cassazione con la sentenza in commento, appare coerente con le disposizioni del Reg (UE) n. 2015/848, in tema di individuazione del giudice avente giurisdizione rispetto alla dichiarazione d’insolvenza.
La giurisdizione nel caso di trasferimento della sede legale di una società
Con la sentenza 17 dicembre 2020, n. 28981, la Cass. Civ. a Sez. Unite si è pronunciata su un caso di insolvenza transfrontaliera, specificando la portata dell’art. 3 Reg. (UE) n. 2015/848.
Il regolamento in questione stabilisce che, ai fini dell’individuazione del giudice competente a dichiarare il fallimento di una società, è necessario prendere in considerazione il luogo in cui ha sede il centro degli interessi principali del debitore.
L’art 3 del Reg. (UE) n. 2015/848 dispone che:
“Il centro degli interessi principali è il luogo in cui il debitore esercita la gestione dei suoi interessi in modo abituale e riconoscibile dai terzi”.
Al riguardo opera la presunzione semplice, secondo cui il centro degli interessi del debitore coincide con il luogo in cui si trova la sede legale della società. Tale presunzione non opera, però, se la sede legale della società è stata spostata nei 3 mesi antecedenti la domanda di apertura della procedura d’insolvenza (cfr. art 3, n. 1 del Reg. UE n. 2015/848).
Nel caso di specie, il Tribunale di Reggio Emilia aveva dichiarato il fallimento di una società, la quale, nei tre mesi antecedenti alla presentazione della domanda di fallimento, aveva trasferito la propria sede all’estero.
Contro tale sentenza dichiarativa di fallimento, la società aveva proposto reclamo alla Corte d’Appello di Bologna, deducendo il difetto di giurisdizione del giudice italiano.
La Corte d’Appello di Bologna, aveva però respinto il reclamo, confermando la giurisdizione del giudice italiano e ciò, in quanto, in conformità alla normativa sopra citata, il trasferimento della sede all’estero era avvenuto nei tre mesi precedenti la domanda di apertura della procedura concorsuale e, di conseguenza, era da escludere l’operatività della presunzione legale di cui all’art 3 Reg. (UE) n. 2015/848.
Inoltre, la Corte ribadiva la sussistenza di elementi di fatto tali da far ritenere l’avvenuto trasferimento della sede legale all’estero come meramente fittizio e che, dunque, fosse nel caso di specie superabile la presunzione di coincidenza tra il centro degli interessi principali del debitore e la sede legale.
In particolare, il trasferimento della sede sociale non era stato seguito dal trasferimento dell’attività, la quale risultava essere svolta ancora in Italia, sede originaria e, per di più, erano stati stipulati tre contratti di affitto di azienda conclusi dal socio e legale rappresentate con soggetti ricollegabili alla società.
Avverso la sentenza della Corte d’Appello, la società fallita proponeva ricorso in Cassazione per violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto e difetto di giurisdizione del giudice italiano, ai sensi della L.Fall., art 9 e dell’art 3 Reg. UE n. 1346/2000.
La società ricorrente, pertanto, nel suo ricorso per Cassazione, sosteneva che si dovesse applicare, al caso di specie, non il Reg. (UE) 2015/848 – che all’art. 3 prevedeva la suddetta eccezione alla presunzione di coincidenza tra sede legale e centro degli interessi principali del debitore – quanto piuttosto l’art. 3 del precedente Reg. UE n. 1346/2000 (ormai non più in vigore), il quale prevedeva che il superamento della presunzione in discorso fosse possibile solo in caso di prova contraria fornita dal creditore istante per il fallimento.
In particolare, la società ricorrente sosteneva che, avendo la Corte d’Appello fondato la propria decisone sull’inidoneità e insufficienza degli elementi di fatto riportati dalla società per dimostrare il trasferimento del centro degli interessi principali del debitore, quest’ultima avesse operato in violazione della presunzione di cui all’art 3 Reg. UE 1346/2000.
Infatti, sosteneva ancora la ricorrente, spettava ai creditori dimostrare che, nonostante il trasferimento della società all’estero, quest’ultima continuava ad esercitare la propria attività d’impresa in Italia.
La Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso inammissibile.
La stessa, infatti, oltre ad evidenziare il fatto che il ricorrente aveva invocato il regolamento 1346/2000, non più in vigore, in quanto sostituito dal nuovo regolamento (UE) 2015/848, ha chiarito i seguenti punti fondamentali:
- La presunzione stabilita dal nuovo Regolamento è sempre superabile se viene data prova che il centro degli interessi principali non ha seguito il cambiamento di sede statutaria, in linea con quanto stabilito dalla giurisprudenza della Corte di giustizia.
- La presunzione di cui sopra, non opera quando il trasferimento della sede legale avviene nei tre mesi antecedenti alla domanda di apertura della procedura di insolvenza, e dunque non era applicabile nel caso di specie.
- Infine, la Corte ha anche ribadito l’ulteriore principio secondo cui l’accertamento in ordine all’individuazione del COMI spetta al giudice di merito e non è, pertanto, sindacabile in sede di legittimità.
Il ricorso è stato, dunque, dichiarato inammissibile, anche perché finalizzato a rimettere in discussione questioni di fatto già definite legittimamente dalla Corte d’Appello.
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