Interpretazione estensiva del concetto di “abuso di autorità” nella violenza sessuale
L’abuso di autorità è uno dei mezzi previsti per la commissione del reato di violenza sessuale ex art 609-bis, primo comma, c.p. ed indica il contesto relazionale esistente tra soggetto attivo e passivo. In particolare, quest’ultimo risulta relegato ad una posizione di soggezione il cui approfittamento da parte dell’agente ne comporta la lesione della libertà di autodeterminazione e di quella sessuale. Ciò permette all’autore del reato di usare la sua posizione di preminenza come metodo coercitivo per estorcere alla vittima atti sessuali o sottoporla alla soggezione degli stessi.
Con la pronuncia n. 27326 del 2020 le Sezioni Unite hanno affrontato la questione relativa la corretta interpretazione del concetto di “abuso di autorità”, esigenza originata dalla divisione giurisprudenziale esistente sul tema, nata dalle diverse interpretazioni circa la specifica posizione richiesta all’agente.
Da una parte infatti, secondo l’interpretazione maggiormente seguita nel tempo (Cass., S.U., 31 maggio 2000 n. 13; Cass. pen., Sez. IV, 19 gennaio 2012, n. 6982) la locuzione fa riferimento ad una funzione autoritativa di tipo formale pubblicistico della quale il soggetto si avvale per commettere il reato. A sostegno della tesi vi è la convinzione per cui l’espressione in questione sarebbe coincidente con quella di “abuso della qualità di pubblico ufficiale” presente negli artt. 519, comma 1 e 520 c.p. oggi abrogati.
Secondo questo primo orientamento dunque il potere in possesso dell’agente, ora strumentalizzato può avere solo natura formale e pubblicistica tale da coartare psicologicamente la vittima costringendola agli atti in questione.
Secondo un orientamento differente, ai fini della realizzazione del reato, l’autorità in questione può assumere connotati più ampi, prendendo in considerazione qualsiasi tipo di rapporto anche privatistico. L’elemento peculiare richiesto in questo caso non è soltanto l’esistenza di una posizione di preminenza sulla vittima ma l’abuso che di questa viene fatto. L’autorità cui fa riferimento questo orientamento più recente prevede quindi la possibilità per l’agente di rivestire una posizione di natura privata, intendendo non solo quella prevista dalla legge ma anche quella di fatto, oggettivamente sussistente. L’interpretazione estensiva permette dunque di non escludere tutte quelle fattispecie in cui sussiste una posizione di autorità seppur in ambiti differenti a quelli istituzionali, ad esempio in quelli professionali, come nel caso specifico dell’insegnante che impartiva lezioni private, sportivi e religiosi.
Inoltre, a sostegno di questo orientamento la locuzione abuso di autorità non risulta sovrapponibile a quella di pubblico ufficiale né tanto meno un richiamo a quest’ultima in quanto il legislatore ogni volta che ha voluto prendere in considerazione questa categoria ne ha fatto espressa menzione.
Non è sostenibile neanche il confronto con l’art. 609-quater, c.p., rubricato “atti sessuali con minorenne” «per la diversa conformazione della condotta sanzionata che non richiede, come si è fatto rilevare in più occasioni, la costrizione del minore, il quale è ritenuto non capace di esprimere un valido consenso (in ragione dell’età o del rapporto che lo lega al soggetto attivo), tanto è vero che il bene giuridico del reato non è la libertà di autodeterminazione del minore ma la sua integrità fisio-psichica nella prospettiva di un corretto sviluppo della propria sessualità» (Cass., Sez. un., 16 luglio 2020, n. 27326).
Le Sezioni Unite, intervenute a comporre il contrasto hanno aderito all’interpretazione estensiva espandendo la portata dell’articolo 609-bis, comma primo, c.p., prendendo in considerazione qualsiasi tipo di soggezione tale da coartare la volontà della persona offesa, costringendola al rapporto sessuale.
Infine, secondo gli Ermellini, sussiste abuso di autorità anche nel caso in cui «la posizione di preminenza dell’agente sia venuta meno, permanendo tuttavia una condizione di soggezione psicologica derivante dall’autorità da questi già esercitata, quanto in quello di relazione di dipendenza indiretta tra autore e vittima del reato, quando il primo, abusando della sua autorità, concorre con un terzo che compie l’atto sessuale non voluto dalla persona offesa». (Cass., Sez. un., 16 luglio 2020, n. 27326).
Dott. Mauro Giallombardo
Fonte foto: database freepik
Interpretazione estensiva del concetto di “abuso di autorità” nella violenza sessuale
L’abuso di autorità è uno dei mezzi previsti per la commissione del reato di violenza sessuale ex art 609-bis, primo comma, c.p. ed indica il contesto relazionale esistente tra soggetto attivo e passivo. In particolare, quest’ultimo risulta relegato ad una posizione di soggezione il cui approfittamento da parte dell’agente ne comporta la lesione della libertà di autodeterminazione e di quella sessuale. Ciò permette all’autore del reato di usare la sua posizione di preminenza come metodo coercitivo per estorcere alla vittima atti sessuali o sottoporla alla soggezione degli stessi.
Con la pronuncia n. 27326 del 2020 le Sezioni Unite hanno affrontato la questione relativa la corretta interpretazione del concetto di “abuso di autorità”, esigenza originata dalla divisione giurisprudenziale esistente sul tema, nata dalle diverse interpretazioni circa la specifica posizione richiesta all’agente.
Da una parte infatti, secondo l’interpretazione maggiormente seguita nel tempo (Cass., S.U., 31 maggio 2000 n. 13; Cass. pen., Sez. IV, 19 gennaio 2012, n. 6982) la locuzione fa riferimento ad una funzione autoritativa di tipo formale pubblicistico della quale il soggetto si avvale per commettere il reato. A sostegno della tesi vi è la convinzione per cui l’espressione in questione sarebbe coincidente con quella di “abuso della qualità di pubblico ufficiale” presente negli artt. 519, comma 1 e 520 c.p. oggi abrogati.
Secondo questo primo orientamento dunque il potere in possesso dell’agente, ora strumentalizzato può avere solo natura formale e pubblicistica tale da coartare psicologicamente la vittima costringendola agli atti in questione.
Secondo un orientamento differente, ai fini della realizzazione del reato, l’autorità in questione può assumere connotati più ampi, prendendo in considerazione qualsiasi tipo di rapporto anche privatistico. L’elemento peculiare richiesto in questo caso non è soltanto l’esistenza di una posizione di preminenza sulla vittima ma l’abuso che di questa viene fatto. L’autorità cui fa riferimento questo orientamento più recente prevede quindi la possibilità per l’agente di rivestire una posizione di natura privata, intendendo non solo quella prevista dalla legge ma anche quella di fatto, oggettivamente sussistente. L’interpretazione estensiva permette dunque di non escludere tutte quelle fattispecie in cui sussiste una posizione di autorità seppur in ambiti differenti a quelli istituzionali, ad esempio in quelli professionali, come nel caso specifico dell’insegnante che impartiva lezioni private, sportivi e religiosi.
Inoltre, a sostegno di questo orientamento la locuzione abuso di autorità non risulta sovrapponibile a quella di pubblico ufficiale né tanto meno un richiamo a quest’ultima in quanto il legislatore ogni volta che ha voluto prendere in considerazione questa categoria ne ha fatto espressa menzione.
Non è sostenibile neanche il confronto con l’art. 609-quater, c.p., rubricato “atti sessuali con minorenne” «per la diversa conformazione della condotta sanzionata che non richiede, come si è fatto rilevare in più occasioni, la costrizione del minore, il quale è ritenuto non capace di esprimere un valido consenso (in ragione dell’età o del rapporto che lo lega al soggetto attivo), tanto è vero che il bene giuridico del reato non è la libertà di autodeterminazione del minore ma la sua integrità fisio-psichica nella prospettiva di un corretto sviluppo della propria sessualità» (Cass., Sez. un., 16 luglio 2020, n. 27326).
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