Quando si consuma l'indebita compensazione?
Al fine di tutelare l’interesse erariale e limitare il fenomeno dell’evasione da riscossione è stato introdotto nel nostro ordinamento, per il tramite del D.L. 223/2006, il reato di indebita compensazione il quale nella sua formulazione originaria ed in particolare riferimento all’art.10 bis del su menzionato decreto, sanzionava la condotta del contribuente che provvedeva a portare in compensazione nel modelli F24 crediti non spettanti o inesistenti, omettendo in tal modo i versamenti delle relative somme dovute.
A seguito poi dell’introduzione del d.lgs. 150/2015, il Legislatore ha scisso la norma in due fattispecie distinte di reato, una concernente crediti inesistenti per cui “ è punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, crediti non spettanti, per un importo annuo superiore a cinquantamila euro” e l’altra invece, avente ad oggetto crediti non spettanti, per cui “è punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, crediti inesistenti per un importo annuo superiore ai cinquantamila euro”.
Al di là del contrasto giurisprudenziale in ordine alla corretta individuazione delle “somme dovute”, risolto dalla giurisprudenza di legittimità (Cass., Sez. VI, sent. 28 settembre 2021, n. 37085) interpretando estensivamente la norma e riferendosi a tutte le tipologie di tributi erariali e locali, così come i contributi previdenziali, gli Ermellini sono tornati nuovamente sul punto, questa volta, sottolineando precisamente quando si consuma il reato di indebita compensazione.
Infatti, tramite la sentenza n. 10997 del 27.10.2022, la Corte di Cassazione – III sez. Penale ha stabilito che il reato si configura al momento della presentazione dell’ultimo modello F24 relativo all’anno interessato e non in quello della successiva dichiarazione dei redditi, in quanto, è in quel momento che si perfeziona la condotta ingannevole del contribuente, realizzandosi il mancato versamento per effetto dell’indebita compensazione di crediti in realtà non spettanti in base alla normativa fiscale. Orientamento peraltro già consolidato attraverso altre precedenti pronunce (Cass.Sez. 3, n. 23027 del 23/06/2020; Sez. 3, n. 4958 del 11/10/2018).
Questa pronuncia risulta essenziale al fine di differenziare tale fattispecie rispetto ad altre, che tutelano il medesimo interesse, come ad esempio la dichiarazione infedele disciplinata dall’art.4 D.Lgs. n. 74 del 2000, nella quale la condotta decettiva del contribuente si realizza tramite la dichiarazione annuale relativa alle imposte sui redditi o all’Iva.
Dott. Alberto Grassi
Laureando Emilio Brogna
Quando si consuma l'indebita compensazione?
Al fine di tutelare l’interesse erariale e limitare il fenomeno dell’evasione da riscossione è stato introdotto nel nostro ordinamento, per il tramite del D.L. 223/2006, il reato di indebita compensazione il quale nella sua formulazione originaria ed in particolare riferimento all’art.10 bis del su menzionato decreto, sanzionava la condotta del contribuente che provvedeva a portare in compensazione nel modelli F24 crediti non spettanti o inesistenti, omettendo in tal modo i versamenti delle relative somme dovute.
A seguito poi dell’introduzione del d.lgs. 150/2015, il Legislatore ha scisso la norma in due fattispecie distinte di reato, una concernente crediti inesistenti per cui “ è punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, crediti non spettanti, per un importo annuo superiore a cinquantamila euro” e l’altra invece, avente ad oggetto crediti non spettanti, per cui “è punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, crediti inesistenti per un importo annuo superiore ai cinquantamila euro”.
Al di là del contrasto giurisprudenziale in ordine alla corretta individuazione delle “somme dovute”, risolto dalla giurisprudenza di legittimità (Cass., Sez. VI, sent. 28 settembre 2021, n. 37085) interpretando estensivamente la norma e riferendosi a tutte le tipologie di tributi erariali e locali, così come i contributi previdenziali, gli Ermellini sono tornati nuovamente sul punto, questa volta, sottolineando precisamente quando si consuma il reato di indebita compensazione.
Infatti, tramite la sentenza n. 10997 del 27.10.2022, la Corte di Cassazione – III sez. Penale ha stabilito che il reato si configura al momento della presentazione dell’ultimo modello F24 relativo all’anno interessato e non in quello della successiva dichiarazione dei redditi, in quanto, è in quel momento che si perfeziona la condotta ingannevole del contribuente, realizzandosi il mancato versamento per effetto dell’indebita compensazione di crediti in realtà non spettanti in base alla normativa fiscale. Orientamento peraltro già consolidato attraverso altre precedenti pronunce (Cass.Sez. 3, n. 23027 del 23/06/2020; Sez. 3, n. 4958 del 11/10/2018).
Questa pronuncia risulta essenziale al fine di differenziare tale fattispecie rispetto ad altre, che tutelano il medesimo interesse, come ad esempio la dichiarazione infedele disciplinata dall’art.4 D.Lgs. n. 74 del 2000, nella quale la condotta decettiva del contribuente si realizza tramite la dichiarazione annuale relativa alle imposte sui redditi o all’Iva.
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