Indagini preliminari, termine durata decorre dall'iscrizione della persona nel registro degli indagati
Riaffermato il principio di diritto secondo il quale il termine di durata delle indagini preliminari decorre dalla data in cui il P.M. ha iscritto, nel registro delle notizie di reato, il nome della persona cui il reato è attribuito.
Affermato il principio di diritto secondo il quale è compito del P.M. iscrivere l’indagato nel relativo registro essendo consentito al giudice operare solo una verifica sulla data di iscrizione dell’indagato nel relativo registro e ciò al fine di valutare, su sollecitazione della difesa, se gli atti di indagine siano utilizzabili in quanto compiuti nell’ambito dei termini di durata massima delle indagini stabiliti dall’articolo 407 c.p.p.
La seconda sezione penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 2248/2018 è nuovamente intervenuta sul tema relativo alla utilizzabilità o meno degli atti di indagine compiuti al di fuori dei termini massimi di durata delle indagini stesse affermando che il dies a quo , per il computo del suddetto termine, deve farsi coincidere con la data di iscrizione dell’indagato nel relativo registro senza che sia consentito al GIP o al Tribunale per il Riesame – che siano investiti della relativa questione – di stabilire una diversa decorrenza; sicché gli eventuali ritardi indebiti nell’iscrizione, tanto della notizia di reato che del nome della persona cui il reato è attribuito, pur se abnormi, sono privi di conseguenze agli effetti di quanto previsto dall’articolo 407 comma terzo c.p.p. , fermi restando gli eventuali profili di responsabilità disciplinare o penale del magistrato del P.M. che abbia ritardato l’iscrizione (orientamento di legittimità oramai fortemente consolidato).
Il caso posto all’esame della Corte di Cassazione riguardava l’eccezione, sollevata dalla difesa degli indagati (attinti da un’ordinanza di custodia cautelare personale e reale fondata sulla contestazione del reato associativo e della quale gli stessi indagati avevano chiesto la revoca poi negata dal GIP di Brescia con ordinanza che era stata confermata successivamente dal Tribunale del Riesame di Brescia; rigetti che avevano, quindi, determinato la difesa a presentare il ricorso per Cassazione qui in discussione), di inutilizzabilità di tutti gli atti di indagine compiuti in ordine alla contestazione del reato associativo in mancanza dell’iscrizione della notizia criminis nel registro delle notizie di reato e in mancanza dell’iscrizione degli indagati nel relativo registro.
La questione, già sottoposta al GIP di Brescia, prima, ed al Tribunale del Riesame, successivamente, era stata rigettata sul presupposto che si era sostenuto quale periodo di iscrizione della notizia di reato quello intorno al 29.01.2015 (coincidente con la data del provvedimento del GIP con il quale era stata autorizzata l’attività di intercettazione delle conversazioni telefoniche), o quello coincidente con il giorno 09.01.2014 (data in cui sarebbe stato per la prima volta accertato il reato associativo) o, infine, quello coincidente con il giorno 23.09.2014 (data desunta dalla richiesta di proroga delle indagini datata 22.09.2015).
Diversamente, da quanto era stato ritenuto dai Giudici bresciani, la Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza qui in esame, ha affermato il principio secondo il quale è precluso al Giudice di desumere la data di iscrizione della notizia di reato o la data di iscrizione dell’indagato nel relativo registro in quanto spetta piuttosto al P.M. di trasmettere, a fronte di eccezioni di inutilizzabilità degli atti di indagine per decorrenza dei termini massimi delle stesse, la certificazione della data di iscrizione del procedimento o, comunque, elementi idonei per risalire alla sua individuazione.
Di conseguenza, la Suprema Corte di Cassazione stabiliva che, nel caso di specie, in mancanza di allegazione da parte del P.M. della documentazione relativa alla data di iscrizione del reato associativo ma, soprattutto, in mancanza di qualsiasi elemento utile per risalire alla sua individuazione il Tribunale per il Riesame di Brescia non aveva potuto effettuare il controllo, sollecitato dalla difesa, in merito all’ utilizzabilità degli atti di indagine che erano stati posti a fondamento della misura cautelare in discussione; altresì, si affermava, con la medesima sentenza, che le date indicate dai Giudici (ai fini del computo dei termini di durata massima delle indagini preliminari e utilizzate per il rigetto delle eccezioni difensive in tema di inutilizzabilità degli atti compiuti fuori termine ) erano state semplicemente desunte (anzi presunte) non avendo potuto effettuare i suddetti Giudici alcuna verifica effettiva.
Il ricorso veniva quindi accolto e la gravata ordinanza veniva annullata con rinvio a diversa sezione del Tribunale per il Riesame di Brescia affinché provveda “ sulla scorta degli elementi desumibili dagli atti a motivare in merito alla data di iscrizione concernente il reato associativo”.
Indagini preliminari, termine durata decorre dall'iscrizione della persona nel registro degli indagati
Riaffermato il principio di diritto secondo il quale il termine di durata delle indagini preliminari decorre dalla data in cui il P.M. ha iscritto, nel registro delle notizie di reato, il nome della persona cui il reato è attribuito.
Affermato il principio di diritto secondo il quale è compito del P.M. iscrivere l’indagato nel relativo registro essendo consentito al giudice operare solo una verifica sulla data di iscrizione dell’indagato nel relativo registro e ciò al fine di valutare, su sollecitazione della difesa, se gli atti di indagine siano utilizzabili in quanto compiuti nell’ambito dei termini di durata massima delle indagini stabiliti dall’articolo 407 c.p.p.
La seconda sezione penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 2248/2018 è nuovamente intervenuta sul tema relativo alla utilizzabilità o meno degli atti di indagine compiuti al di fuori dei termini massimi di durata delle indagini stesse affermando che il dies a quo , per il computo del suddetto termine, deve farsi coincidere con la data di iscrizione dell’indagato nel relativo registro senza che sia consentito al GIP o al Tribunale per il Riesame – che siano investiti della relativa questione – di stabilire una diversa decorrenza; sicché gli eventuali ritardi indebiti nell’iscrizione, tanto della notizia di reato che del nome della persona cui il reato è attribuito, pur se abnormi, sono privi di conseguenze agli effetti di quanto previsto dall’articolo 407 comma terzo c.p.p. , fermi restando gli eventuali profili di responsabilità disciplinare o penale del magistrato del P.M. che abbia ritardato l’iscrizione (orientamento di legittimità oramai fortemente consolidato).
Il caso posto all’esame della Corte di Cassazione riguardava l’eccezione, sollevata dalla difesa degli indagati (attinti da un’ordinanza di custodia cautelare personale e reale fondata sulla contestazione del reato associativo e della quale gli stessi indagati avevano chiesto la revoca poi negata dal GIP di Brescia con ordinanza che era stata confermata successivamente dal Tribunale del Riesame di Brescia; rigetti che avevano, quindi, determinato la difesa a presentare il ricorso per Cassazione qui in discussione), di inutilizzabilità di tutti gli atti di indagine compiuti in ordine alla contestazione del reato associativo in mancanza dell’iscrizione della notizia criminis nel registro delle notizie di reato e in mancanza dell’iscrizione degli indagati nel relativo registro.
La questione, già sottoposta al GIP di Brescia, prima, ed al Tribunale del Riesame, successivamente, era stata rigettata sul presupposto che si era sostenuto quale periodo di iscrizione della notizia di reato quello intorno al 29.01.2015 (coincidente con la data del provvedimento del GIP con il quale era stata autorizzata l’attività di intercettazione delle conversazioni telefoniche), o quello coincidente con il giorno 09.01.2014 (data in cui sarebbe stato per la prima volta accertato il reato associativo) o, infine, quello coincidente con il giorno 23.09.2014 (data desunta dalla richiesta di proroga delle indagini datata 22.09.2015).
Diversamente, da quanto era stato ritenuto dai Giudici bresciani, la Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza qui in esame, ha affermato il principio secondo il quale è precluso al Giudice di desumere la data di iscrizione della notizia di reato o la data di iscrizione dell’indagato nel relativo registro in quanto spetta piuttosto al P.M. di trasmettere, a fronte di eccezioni di inutilizzabilità degli atti di indagine per decorrenza dei termini massimi delle stesse, la certificazione della data di iscrizione del procedimento o, comunque, elementi idonei per risalire alla sua individuazione.
Di conseguenza, la Suprema Corte di Cassazione stabiliva che, nel caso di specie, in mancanza di allegazione da parte del P.M. della documentazione relativa alla data di iscrizione del reato associativo ma, soprattutto, in mancanza di qualsiasi elemento utile per risalire alla sua individuazione il Tribunale per il Riesame di Brescia non aveva potuto effettuare il controllo, sollecitato dalla difesa, in merito all’ utilizzabilità degli atti di indagine che erano stati posti a fondamento della misura cautelare in discussione; altresì, si affermava, con la medesima sentenza, che le date indicate dai Giudici (ai fini del computo dei termini di durata massima delle indagini preliminari e utilizzate per il rigetto delle eccezioni difensive in tema di inutilizzabilità degli atti compiuti fuori termine ) erano state semplicemente desunte (anzi presunte) non avendo potuto effettuare i suddetti Giudici alcuna verifica effettiva.
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