Incasso giuridico: la Corte di Cassazione cambia orientamento
Con la recentissima sentenza n. 16595 del 12 giugno 2023, la Suprema Corte di Cassazione ha rivisto le proprie posizioni in merito alla tesi dell’incasso giuridico.
Innanzitutto, l’incasso giuridico è una costruzione giuridica, di natura antielusiva, che stabilisce che, se si rinuncia ad un credito relativo a redditi soggetti al criterio di cassa, si presume che il credito sia stato pagato e quindi si devono pagare le tasse sul suo importo anche applicando una ritenuta d’imposta.
Secondo l’Amministrazione finanziaria, i redditi soggetti al criterio di cassa consentono ai contribuenti di adottare comportamenti elusivi che producono delle variazioni d’imposta non consentite nel nostro sistema tributario e ciò si verificherebbe ogni volta che un contribuente rinunci a un credito il cui pagamento avrebbe generato un reddito soggetto al criterio di cassa.
Tale impostazione, peraltro discussa, si giustificava con la necessità di evitare salti d’imposta: infatti a seguito alla rinuncia di un socio ad un credito nei confronti della società si veniva a creare una situazione paradossale in cui in capo alla società non sarebbe emersa nessuna sopravvenienza tassabile pur a fronte di una precedente deduzione per competenza. Dall’altra parte il socio avrebbe visto aumentare il valore della sua partecipazione, per effetto dell’incremento del patrimonio netto, ma senza sottoporre a tassazione il credito in quanto non materialmente percepito come invece richiedono, in tema di redditi di capitale, di lavoro dipendente “assimilato” e di lavoro autonomo, gli articoli 45, 50 e 54 del TUIR.
La tesi dell’Amministrazione, però, è divenuta insostenibile allorché l’articolo 13 del c.d. decreto internalizzazione, Dlgs 147/2015, ha introdotto nell’articolo 88 del Tuir un nuovo comma 4-bis, secondo cui “la rinuncia dei soci ai crediti si considera sopravvenienza attiva per la parte che eccede il relativo valore fiscale”.
Proprio in forza del citato comma 4-bis, la norma di comportamento n. 201/2018 dell’Associazione italiana Dottori commercialisti ed esperti contabili ha contestato nuovamente l’indirizzo di prassi e così, anche in dottrina si è ritenuto che la posizione dell’Amministrazione, già arbitraria prima del Dlgs 147/2015 , dovesse ritenersi “definitivamente caducata” per effetto delle nuove disposizioni, in quanto la rinuncia a un credito con valore fiscale nullo comporta la rilevanza integrale della sopravvenienza attiva: in altri termini, nell’attuale regime, “l’imposizione è sistematicamente trasferita in capo alla società partecipata debitrice”.
La Corte ha infatti enucleato il seguente principio di diritto: “in tema di imposte sui redditi di capitale – in ragione di quanto previsto dall’art. 88, comma 4-bis, art. 94, comma 6, art. 101, comma 5, t.u.i.r. a seguito delle modifiche di cui alla L. 14 settembre 2015, n. 147, art. 13 – la rinuncia, operata da un socio nei confronti della società, al credito avente ad oggetto interessi maturati su finanziamenti erogati nei confronti di una società partecipata, non comporta l’obbligo di sottoporne a tassazione il relativo ammontare, con applicazione, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 26, comma 5, della ritenuta fiscale, cui la società è tenuta quale sostituto d’imposta, avendo le nuove disposizioni rimediato all’asimmetria fiscale o “salto d’imposta di cui al precedente regime”.
Con la sentenza in esame la Cassazione prende atto della nuova disposizione e, almeno per i periodi d’imposta successivi al 7 ottobre 2015, rivede le proprie posizioni, riconoscendo come la tesi dell’incasso giuridico possa giustificarsi solo ove la rinuncia al credito sia soggetta a un regime di non tassabilità, con conseguente necessità di evitare il, in realtà fisiologico, salto d’imposta.
Tuttavia, poiché, come detto, il “nuovo” comma 4-bis dell’articolo 88 Tuir prevede che la rinuncia al credito determini una sopravvenienza attiva tassabile per la società, per la parte che eccede il valore fiscale del credito, tale salto d’imposta non può più determinarsi.
Dott. Nicola Coscia
Incasso giuridico: la Corte di Cassazione cambia orientamento
Con la recentissima sentenza n. 16595 del 12 giugno 2023, la Suprema Corte di Cassazione ha rivisto le proprie posizioni in merito alla tesi dell’incasso giuridico.
Innanzitutto, l’incasso giuridico è una costruzione giuridica, di natura antielusiva, che stabilisce che, se si rinuncia ad un credito relativo a redditi soggetti al criterio di cassa, si presume che il credito sia stato pagato e quindi si devono pagare le tasse sul suo importo anche applicando una ritenuta d’imposta.
Secondo l’Amministrazione finanziaria, i redditi soggetti al criterio di cassa consentono ai contribuenti di adottare comportamenti elusivi che producono delle variazioni d’imposta non consentite nel nostro sistema tributario e ciò si verificherebbe ogni volta che un contribuente rinunci a un credito il cui pagamento avrebbe generato un reddito soggetto al criterio di cassa.
Tale impostazione, peraltro discussa, si giustificava con la necessità di evitare salti d’imposta: infatti a seguito alla rinuncia di un socio ad un credito nei confronti della società si veniva a creare una situazione paradossale in cui in capo alla società non sarebbe emersa nessuna sopravvenienza tassabile pur a fronte di una precedente deduzione per competenza. Dall’altra parte il socio avrebbe visto aumentare il valore della sua partecipazione, per effetto dell’incremento del patrimonio netto, ma senza sottoporre a tassazione il credito in quanto non materialmente percepito come invece richiedono, in tema di redditi di capitale, di lavoro dipendente “assimilato” e di lavoro autonomo, gli articoli 45, 50 e 54 del TUIR.
La tesi dell’Amministrazione, però, è divenuta insostenibile allorché l’articolo 13 del c.d. decreto internalizzazione, Dlgs 147/2015, ha introdotto nell’articolo 88 del Tuir un nuovo comma 4-bis, secondo cui “la rinuncia dei soci ai crediti si considera sopravvenienza attiva per la parte che eccede il relativo valore fiscale”.
Proprio in forza del citato comma 4-bis, la norma di comportamento n. 201/2018 dell’Associazione italiana Dottori commercialisti ed esperti contabili ha contestato nuovamente l’indirizzo di prassi e così, anche in dottrina si è ritenuto che la posizione dell’Amministrazione, già arbitraria prima del Dlgs 147/2015 , dovesse ritenersi “definitivamente caducata” per effetto delle nuove disposizioni, in quanto la rinuncia a un credito con valore fiscale nullo comporta la rilevanza integrale della sopravvenienza attiva: in altri termini, nell’attuale regime, “l’imposizione è sistematicamente trasferita in capo alla società partecipata debitrice”.
La Corte ha infatti enucleato il seguente principio di diritto: “in tema di imposte sui redditi di capitale – in ragione di quanto previsto dall’art. 88, comma 4-bis, art. 94, comma 6, art. 101, comma 5, t.u.i.r. a seguito delle modifiche di cui alla L. 14 settembre 2015, n. 147, art. 13 – la rinuncia, operata da un socio nei confronti della società, al credito avente ad oggetto interessi maturati su finanziamenti erogati nei confronti di una società partecipata, non comporta l’obbligo di sottoporne a tassazione il relativo ammontare, con applicazione, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 26, comma 5, della ritenuta fiscale, cui la società è tenuta quale sostituto d’imposta, avendo le nuove disposizioni rimediato all’asimmetria fiscale o “salto d’imposta di cui al precedente regime”.
Con la sentenza in esame la Cassazione prende atto della nuova disposizione e, almeno per i periodi d’imposta successivi al 7 ottobre 2015, rivede le proprie posizioni, riconoscendo come la tesi dell’incasso giuridico possa giustificarsi solo ove la rinuncia al credito sia soggetta a un regime di non tassabilità, con conseguente necessità di evitare il, in realtà fisiologico, salto d’imposta.
Tuttavia, poiché, come detto, il “nuovo” comma 4-bis dell’articolo 88 Tuir prevede che la rinuncia al credito determini una sopravvenienza attiva tassabile per la società, per la parte che eccede il valore fiscale del credito, tale salto d’imposta non può più determinarsi.
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