L’incarico di amministratore si presume oneroso, ma il relativo credito ha natura chirografaria
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 1673 del 26/01/2021, ha risolto il dubbio riguardante l’esistenza o meno di un diritto al compenso dell’amministratore di società, sancendo il principio secondo cui “l’incarico di amministratore di una società ha natura presuntivamente onerosa; sicché egli, con l’accettazione della carica, acquisisce il diritto di essere compensato per l’attività svolta in esecuzione dell’incarico affidatogli”.
Nel caso di specie, il Tribunale ordinario aveva rigettato l’opposizione ex art. 98 L.F. proposta da un ex amministratore avverso lo stato passivo del fallimento di una s.r.l. con socio unico, dal quale era stato escluso il suo credito riguardante la retribuzione non corrisposta quale compenso di amministratore.
Avverso il decreto di rigetto dell’opposizione ex art. 98 della Legge Fallimentare l’ex amministratore ha, quindi, proposto ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione.
Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione ha ritenuto sussistente il diritto dell’ex amministratore a percepire il richiesto compenso e quindi di accogliere il ricorso, chiarendo che è sufficiente che l’amministratore accetti l’incarico per avere sempre diritto al compenso.
In tal guisa, è stata considerata legittima la pretesa avanzata dal creditore per ottenere l’ammissione del suo credito al passivo fallimentare.
Tale diritto, peraltro, secondo la Corte di Cassazione sarebbe “disponibile e, pertanto, derogabile da una clausola dello statuto della società, che condizioni lo stesso al conseguimento di utili, ovvero sancisca la gratuità dell’incarico”.
Da quanto affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza in commento deriva l’importante conseguenza che, in mancanza di uno specifico accordo o di una clausola statutaria che subordini il compenso al conseguimento degli utili o sancisca la gratuità della prestazione, la natura dell’incarico di amministratore di società si presume essere a titolo oneroso.
Inoltre, la Corte di Cassazione ha dichiarato che, in caso di fallimento della società, l’eventuale credito dell’amministratore relativo al compenso ha natura chirografaria.
Siffatto credito non è, infatti, assistito dal privilegio generale stabilito dall’art. 2751 bis, n. 2 c.c., per i crediti riguardanti “le retribuzioni dei professionisti, compresi il contributo integrativo da versare alla rispettiva cassa di previdenza ed assistenza e il credito di rivalsa per l’imposta sul valore aggiunto, e di ogni altro prestatore d’opera dovute per gli ultimi due anni di prestazione”.
La ragione di tale posizione, presa dalla Corte di Cassazione, risiede nel fatto che il credito di cui si discuteva non afferiva ad una prestazione d’opera intellettuale; né il contratto tipico tra amministratore e società può essere assimilato ad un contratto d’opera che, ai sensi dell’art. 2222 c.c., è il contratto con cui “una persona si obbliga a compiere, verso un corrispettivo, un’opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione, nei confronti del committente”.
Infatti, come ha illustrato la Corte di Cassazione, il contratto d’opera non presenta gli elementi del perseguimento di un risultato e della conseguente sopportazione del rischio. Inoltre, l’opus che l’amministratore si impegna a fornire non è, a differenza di quello del prestatore d’opera, determinato dai contraenti preventivamente, ne è determinabile aprioristicamente, identificandosi con la stessa attività d’impresa.
La Corte di Cassazione, nella sentenza n. 1673/2021, ha quindi ribadito la prevalenza della teoria organica rispetto alla teoria contrattualistica circa la natura giuridica del rapporto intercorrente tra l’amministratore e la società, ritenendo che “il vincolo che si istituisce tra l’amministratore unico o il consigliere di amministrazione e la società di capitali ha natura di rapporto di immedesimazione organica tra la persona fisica e l’ente”. Dunque, manca ogni dualismo tra amministratore e società; configurandosi, invece, un’immedesimazione dell’organo nella persona giuridica che rappresenta.
In conclusione, con tale sentenza, la Corte di Cassazione ha riconosciuto l’esistenza di una presunzione di onerosità dell’incarico di amministratore, derogabile con specifica clausola statutaria.
L’amministratore, infatti, acquisisce il diritto di essere compensato con l’accettazione della carica.
Tuttavia, la stessa Corte ha messo in chiaro che l’eventuale credito relativo al compenso ha natura chirografaria, non essendo assistito dal privilegio generale ammesso per i crediti riguardanti le retribuzioni dei professionisti e di ogni altro prestatore d’opera, dal momento che l’amministratore e la società non sono legati da un rapporto di tipo contrattuale, ma da una relazione di immedesimazione organica.
L’incarico di amministratore si presume oneroso, ma il relativo credito ha natura chirografaria
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 1673 del 26/01/2021, ha risolto il dubbio riguardante l’esistenza o meno di un diritto al compenso dell’amministratore di società, sancendo il principio secondo cui “l’incarico di amministratore di una società ha natura presuntivamente onerosa; sicché egli, con l’accettazione della carica, acquisisce il diritto di essere compensato per l’attività svolta in esecuzione dell’incarico affidatogli”.
Nel caso di specie, il Tribunale ordinario aveva rigettato l’opposizione ex art. 98 L.F. proposta da un ex amministratore avverso lo stato passivo del fallimento di una s.r.l. con socio unico, dal quale era stato escluso il suo credito riguardante la retribuzione non corrisposta quale compenso di amministratore.
Avverso il decreto di rigetto dell’opposizione ex art. 98 della Legge Fallimentare l’ex amministratore ha, quindi, proposto ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione.
Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione ha ritenuto sussistente il diritto dell’ex amministratore a percepire il richiesto compenso e quindi di accogliere il ricorso, chiarendo che è sufficiente che l’amministratore accetti l’incarico per avere sempre diritto al compenso.
In tal guisa, è stata considerata legittima la pretesa avanzata dal creditore per ottenere l’ammissione del suo credito al passivo fallimentare.
Tale diritto, peraltro, secondo la Corte di Cassazione sarebbe “disponibile e, pertanto, derogabile da una clausola dello statuto della società, che condizioni lo stesso al conseguimento di utili, ovvero sancisca la gratuità dell’incarico”.
Da quanto affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza in commento deriva l’importante conseguenza che, in mancanza di uno specifico accordo o di una clausola statutaria che subordini il compenso al conseguimento degli utili o sancisca la gratuità della prestazione, la natura dell’incarico di amministratore di società si presume essere a titolo oneroso.
Inoltre, la Corte di Cassazione ha dichiarato che, in caso di fallimento della società, l’eventuale credito dell’amministratore relativo al compenso ha natura chirografaria.
Siffatto credito non è, infatti, assistito dal privilegio generale stabilito dall’art. 2751 bis, n. 2 c.c., per i crediti riguardanti “le retribuzioni dei professionisti, compresi il contributo integrativo da versare alla rispettiva cassa di previdenza ed assistenza e il credito di rivalsa per l’imposta sul valore aggiunto, e di ogni altro prestatore d’opera dovute per gli ultimi due anni di prestazione”.
La ragione di tale posizione, presa dalla Corte di Cassazione, risiede nel fatto che il credito di cui si discuteva non afferiva ad una prestazione d’opera intellettuale; né il contratto tipico tra amministratore e società può essere assimilato ad un contratto d’opera che, ai sensi dell’art. 2222 c.c., è il contratto con cui “una persona si obbliga a compiere, verso un corrispettivo, un’opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione, nei confronti del committente”.
Infatti, come ha illustrato la Corte di Cassazione, il contratto d’opera non presenta gli elementi del perseguimento di un risultato e della conseguente sopportazione del rischio. Inoltre, l’opus che l’amministratore si impegna a fornire non è, a differenza di quello del prestatore d’opera, determinato dai contraenti preventivamente, ne è determinabile aprioristicamente, identificandosi con la stessa attività d’impresa.
La Corte di Cassazione, nella sentenza n. 1673/2021, ha quindi ribadito la prevalenza della teoria organica rispetto alla teoria contrattualistica circa la natura giuridica del rapporto intercorrente tra l’amministratore e la società, ritenendo che “il vincolo che si istituisce tra l’amministratore unico o il consigliere di amministrazione e la società di capitali ha natura di rapporto di immedesimazione organica tra la persona fisica e l’ente”. Dunque, manca ogni dualismo tra amministratore e società; configurandosi, invece, un’immedesimazione dell’organo nella persona giuridica che rappresenta.
In conclusione, con tale sentenza, la Corte di Cassazione ha riconosciuto l’esistenza di una presunzione di onerosità dell’incarico di amministratore, derogabile con specifica clausola statutaria.
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