Crisi d’impresa. I principi per la redazione dei piani di risanamento
Predisporre un “piano di risanamento” è tutt’altro che facile in quanto l’imprenditore dovrà:
- preliminarmente individuare il “pericolo di crisi”, lo “stato di crisi” della propria azienda e le relative cause;
- percepirne la gravità: valutare quindi se vi è solo il pericolo che l’azienda entri in crisi o se invece la crisi è già in corso, nel quale ultimo caso dovrà valutare se la stessa non si è medio tempore tramutata in insolvenza;
- predisporre, ovviamente assistito da un professionista non generico ma esperto in materia, il “piano di risanamento” ritenuto maggiormente idoneo a risanare la crisi di impresa e, quindi, fissare degli obiettivi da raggiungere e programmare tutte le attività occorrenti per il raggiungimento di tali obiettivi;
- stabilire i termini di durata del piano;
- prevedere nel piano di risanamento strumenti che consentano, lungo il percorso, di testare l’efficienza o meno del “piano di risanamento” al fine di essere in grado di apportare allo stesso gli opportuni aggiustamenti e correttivi;
- prevedere strumenti che consentano, durante il percorso, di testare la resistenza del piano di risanamento rispetto a tutte le modificazione che possono intervenire nell’ambiente esterno o nella struttura dell’impresa;
- prevedere l’incidenza del piano di risanamento sui livelli della produzione a medio e lungo termine e sui livelli occupazionali dell’impresa;
- scegliere se limitarsi a proporre il piano di risanamento ai propri creditori o se far divenire il predisposto “piano di risanamento” parte integrante, e punto centrale, di uno dei procedimenti oggi predisposti dal legislatore proprio per la composizione della crisi di impresa: concordato preventivo, accordo di ristrutturazione, transazione fiscale);
- in tale ultimo caso individuare, sempre a seconda della gravità della crisi, lo strumento maggiormente idoneo in cui far confluire il “piano di risanamento”.
A complicare maggiormente le cose ci sta che il piano deve essere elaborato dall’organo delegato o dal management dell’impresa e sottoposto all’approvazione dell’organo amministrativo (stando a quanto disposto dall’art. 2381 del codice civile).
La responsabilità del piano, in ogni caso, rimane in capo all’organo amministrativo anche se lo stesso ha ritenuto di dover chiedere per la relativa elaborazione l’ausilio di professionisti, esperti e consulenti.
Al fine di venire incontro ad una tale esigenza, il 5 settembre 2017 il CNDCEC (ovvero il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili) ha approvato un apposito documento denominato “Principi per la redazione dei piani di risanamento”.
Il documento in esame è stato predisposto, in collaborazione tra di loro, da importanti associazioni ed organismi che da sempre si occupano ad elevati livelli della crisi di impresa e, nello specifico: l’AIDEA (ovvero l’Accademia Italiana di Economia Aziendale), l’ANDAF (Associazione Nazionale Direttori Amministrativi e Finanziari), l’APRI (Associazione Professionisti Risanamento Imprese), l’OCRI (Osservatorio Crisi e Risanamento delle Imprese) ed, infine, l’AIAF (Associazione Italiana Analisti e Consulenti Finanziari).
I “Principi per la redazione dei piani di risanamento” sono stati elaborati proprio al fine di orientare imprenditori e professionisti nel difficile compito di elaborare il piano di risanamento che si palesa necessario in relazione alla singola realtà aziendale.
In linea generale, per la predisposizione dei piani di risanamento, il documento in esame raccomanda l
Predisporre un “piano di risanamento” è tutt’altro che facile in quanto l’imprenditore dovrà: 1) preliminarmente individuare il “pericolo di crisi”, lo “stato di crisi” della propria azienda e le relative cause; 2) percepirne la gravità: valutare quindi se vi è solo il pericolo che l’azienda entri in crisi o se invece la crisi è già in corso, nel quale ultimo caso dovrà valutare se la stessa non si è medio tempore tramutata in insolvenza; 3) predisporre, ovviamente assistito da un professionista non generico ma esperto in materia, il “piano di risanamento” ritenuto maggiormente idoneo a risanare la crisi di impresa e, quindi, fissare degli obiettivi da raggiungere e programmare tutte le attività occorrenti per il raggiungimento di tali obiettivi; 4) stabilire i termini di durata del piano; 5) prevedere nel piano di risanamento strumenti che consentano, lungo il percorso, di testare l’efficienza o meno del “piano di risanamento” al fine di essere in grado di apportare allo stesso gli opportuni aggiustamenti e correttivi; 6) prevedere strumenti che consentano, durante il percorso, di testare la resistenza del piano di risanamento rispetto a tutte le modificazione che possono intervenire nell’ambiente esterno o nella struttura dell’impresa; 7) prevedere l’incidenza del piano di risanamento sui livelli della produzione a medio e lungo termine e sui livelli occupazionali dell’impresa; 8) scegliere se limitarsi a proporre il piano di risanamento ai propri creditori o se far divenire il predisposto “piano di risanamento” parte integrante, e punto centrale, di uno dei procedimenti oggi predisposti dal legislatore proprio per la composizione della crisi di impresa: concordato preventivo, accordo di ristrutturazione, transazione fiscale); 9) in tale ultimo caso individuare, sempre a seconda della gravità della crisi, lo strumento maggiormente idoneo in cui far confluire il “piano di risanamento”.
A complicare maggiormente le cose ci sta che il piano deve essere elaborato dall’organo delegato o dal management dell’impresa e sottoposto all’approvazione dell’organo amministrativo (stando a quanto disposto dall’art. 2381 del codice civile).
La responsabilità del piano, in ogni caso, rimane in capo all’organo amministrativo anche se lo stesso ha ritenuto di dover chiedere per la relativa elaborazione l’ausilio di professionisti, esperti e consulenti.
Al fine di venire incontro ad una tale esigenza, il 5 settembre 2017 il CNDCEC (ovvero il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili) ha approvato un apposito documento denominato “Principi per la redazione dei piani di risanamento”.
Il documento in esame è stato predisposto, in collaborazione tra di loro, da importanti associazioni ed organismi che da sempre si occupano ad elevati livelli della crisi di impresa e, nello specifico: l’AIDEA (ovvero l’Accademia Italiana di Economia Aziendale), l’ANDAF (Associazione Nazionale Direttori Amministrativi e Finanziari), l’APRI (Associazione Professionisti Risanamento Imprese), l’OCRI (Osservatorio Crisi e Risanamento delle Imprese) ed, infine, l’AIAF (Associazione Italiana Analisti e Consulenti Finanziari).
I “Principi per la redazione dei piani di risanamento” sono stati elaborati proprio al fine di orientare imprenditori e professionisti nel difficile compito di elaborare il piano di risanamento che si palesa necessario in relazione alla singola realtà aziendale.
In linea generale, per la predisposizione dei piani di risanamento, il documento in esame raccomanda l’osservanza dei principi di tempestività, sistematicità, coerenza ed attendibilità.
In conclusione si ritiene di dover svolgere le seguenti considerazioni.
La programmazione delle attività rappresenta l’elemento essenziale di qualunque iniziativa finalizzata a condurre l’impresa al di fuori dello stato di crisi.
La programmazione richiede, in ogni caso, l’elaborazione di un “piano di risanamento” che l’impresa in crisi dovrà predisporre nell’osservanza dei principi generali e delle direttive di forma previste dai “Principi per la redazione dei piani di risanamento”.
Una volta elaborato il piano di risanamento nella maniera che maggiormente si adatta alla realtà aziendale – oltre che alla natura e alla gravità dello stato di crisi – l’imprenditore dovrà quindi individuare, tra quelli predisposti dal legislatore, quale sia nel singolo caso lo strumento di composizione della crisi in cui eventualmente far confluire il piano.
Le considerazioni sopra esposte rendono evidente che l’imprenditore, ai fini della predisposizione del piano di risanamento che sia maggiormente adatto all’impresa e alla gravità del relativo stato di crisi, deve necessariamente rivolgersi ad un professionista esperto e in grado di assisterlo in tutte le fasi di corretta predisposizione e di gestione del programma.
In conclusione si ritiene di dover svolgere le seguenti considerazioni.
- La programmazione delle attività rappresenta l’elemento essenziale di qualunque iniziativa finalizzata a condurre l’impresa al di fuori dello stato di crisi.
- La programmazione richiede, in ogni caso, l’elaborazione di un “piano di risanamento” che l’impresa in crisi dovrà predisporre nell’osservanza dei principi generali e delle direttive di forma previste dai “Principi per la redazione dei piani di risanamento”.
- Una volta elaborato il piano di risanamento nella maniera che maggiormente si adatta alla realtà aziendale – oltre che alla natura e alla gravità dello stato di crisi – l’imprenditore dovrà quindi individuare, tra quelli predisposti dal legislatore, quale sia nel singolo caso lo strumento di composizione della crisi in cui eventualmente far confluire il piano.
Le considerazioni sopra esposte rendono evidente che l’imprenditore, ai fini della predisposizione del piano di risanamento che sia maggiormente adatto all’impresa e alla gravità del relativo stato di crisi, deve necessariamente rivolgersi ad un professionista esperto e in grado di assisterlo in tutte le fasi di corretta predisposizione e di gestione del programma.
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Predisporre un “piano di risanamento” è tutt’altro che facile in quanto l’imprenditore dovrà:
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- percepirne la gravità: valutare quindi se vi è solo il pericolo che l’azienda entri in crisi o se invece la crisi è già in corso, nel quale ultimo caso dovrà valutare se la stessa non si è medio tempore tramutata in insolvenza;
- predisporre, ovviamente assistito da un professionista non generico ma esperto in materia, il “piano di risanamento” ritenuto maggiormente idoneo a risanare la crisi di impresa e, quindi, fissare degli obiettivi da raggiungere e programmare tutte le attività occorrenti per il raggiungimento di tali obiettivi;
- stabilire i termini di durata del piano;
- prevedere nel piano di risanamento strumenti che consentano, lungo il percorso, di testare l’efficienza o meno del “piano di risanamento” al fine di essere in grado di apportare allo stesso gli opportuni aggiustamenti e correttivi;
- prevedere strumenti che consentano, durante il percorso, di testare la resistenza del piano di risanamento rispetto a tutte le modificazione che possono intervenire nell’ambiente esterno o nella struttura dell’impresa;
- prevedere l’incidenza del piano di risanamento sui livelli della produzione a medio e lungo termine e sui livelli occupazionali dell’impresa;
- scegliere se limitarsi a proporre il piano di risanamento ai propri creditori o se far divenire il predisposto “piano di risanamento” parte integrante, e punto centrale, di uno dei procedimenti oggi predisposti dal legislatore proprio per la composizione della crisi di impresa: concordato preventivo, accordo di ristrutturazione, transazione fiscale);
- in tale ultimo caso individuare, sempre a seconda della gravità della crisi, lo strumento maggiormente idoneo in cui far confluire il “piano di risanamento”.
A complicare maggiormente le cose ci sta che il piano deve essere elaborato dall’organo delegato o dal management dell’impresa e sottoposto all’approvazione dell’organo amministrativo (stando a quanto disposto dall’art. 2381 del codice civile).
La responsabilità del piano, in ogni caso, rimane in capo all’organo amministrativo anche se lo stesso ha ritenuto di dover chiedere per la relativa elaborazione l’ausilio di professionisti, esperti e consulenti.
Al fine di venire incontro ad una tale esigenza, il 5 settembre 2017 il CNDCEC (ovvero il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili) ha approvato un apposito documento denominato “Principi per la redazione dei piani di risanamento”.
Il documento in esame è stato predisposto, in collaborazione tra di loro, da importanti associazioni ed organismi che da sempre si occupano ad elevati livelli della crisi di impresa e, nello specifico: l’AIDEA (ovvero l’Accademia Italiana di Economia Aziendale), l’ANDAF (Associazione Nazionale Direttori Amministrativi e Finanziari), l’APRI (Associazione Professionisti Risanamento Imprese), l’OCRI (Osservatorio Crisi e Risanamento delle Imprese) ed, infine, l’AIAF (Associazione Italiana Analisti e Consulenti Finanziari).
I “Principi per la redazione dei piani di risanamento” sono stati elaborati proprio al fine di orientare imprenditori e professionisti nel difficile compito di elaborare il piano di risanamento che si palesa necessario in relazione alla singola realtà aziendale.
In linea generale, per la predisposizione dei piani di risanamento, il documento in esame raccomanda l
Predisporre un “piano di risanamento” è tutt’altro che facile in quanto l’imprenditore dovrà: 1) preliminarmente individuare il “pericolo di crisi”, lo “stato di crisi” della propria azienda e le relative cause; 2) percepirne la gravità: valutare quindi se vi è solo il pericolo che l’azienda entri in crisi o se invece la crisi è già in corso, nel quale ultimo caso dovrà valutare se la stessa non si è medio tempore tramutata in insolvenza; 3) predisporre, ovviamente assistito da un professionista non generico ma esperto in materia, il “piano di risanamento” ritenuto maggiormente idoneo a risanare la crisi di impresa e, quindi, fissare degli obiettivi da raggiungere e programmare tutte le attività occorrenti per il raggiungimento di tali obiettivi; 4) stabilire i termini di durata del piano; 5) prevedere nel piano di risanamento strumenti che consentano, lungo il percorso, di testare l’efficienza o meno del “piano di risanamento” al fine di essere in grado di apportare allo stesso gli opportuni aggiustamenti e correttivi; 6) prevedere strumenti che consentano, durante il percorso, di testare la resistenza del piano di risanamento rispetto a tutte le modificazione che possono intervenire nell’ambiente esterno o nella struttura dell’impresa; 7) prevedere l’incidenza del piano di risanamento sui livelli della produzione a medio e lungo termine e sui livelli occupazionali dell’impresa; 8) scegliere se limitarsi a proporre il piano di risanamento ai propri creditori o se far divenire il predisposto “piano di risanamento” parte integrante, e punto centrale, di uno dei procedimenti oggi predisposti dal legislatore proprio per la composizione della crisi di impresa: concordato preventivo, accordo di ristrutturazione, transazione fiscale); 9) in tale ultimo caso individuare, sempre a seconda della gravità della crisi, lo strumento maggiormente idoneo in cui far confluire il “piano di risanamento”.
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Al fine di venire incontro ad una tale esigenza, il 5 settembre 2017 il CNDCEC (ovvero il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili) ha approvato un apposito documento denominato “Principi per la redazione dei piani di risanamento”.
Il documento in esame è stato predisposto, in collaborazione tra di loro, da importanti associazioni ed organismi che da sempre si occupano ad elevati livelli della crisi di impresa e, nello specifico: l’AIDEA (ovvero l’Accademia Italiana di Economia Aziendale), l’ANDAF (Associazione Nazionale Direttori Amministrativi e Finanziari), l’APRI (Associazione Professionisti Risanamento Imprese), l’OCRI (Osservatorio Crisi e Risanamento delle Imprese) ed, infine, l’AIAF (Associazione Italiana Analisti e Consulenti Finanziari).
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- Una volta elaborato il piano di risanamento nella maniera che maggiormente si adatta alla realtà aziendale – oltre che alla natura e alla gravità dello stato di crisi – l’imprenditore dovrà quindi individuare, tra quelli predisposti dal legislatore, quale sia nel singolo caso lo strumento di composizione della crisi in cui eventualmente far confluire il piano.
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