Il focus: la ritardata o mancata iscrizione dell’indagato nel registro delle notizie di reato
L’omessa annotazione della “notitia criminis“, da parte del Pubblico Ministero, all’interno del registro previsto dall’art. 335 c.p.p., rappresenta, senza dubbio alcuno, uno dei temi tradizionali di approfondimento da parte della dottrina e della giurisprudenza penale.
Ai sensi e per gli effetti della disposizione contenuta all’art. 112 Cost., il Pubblico Ministero è tenuto all’esercizio dell’azione penale ogni qual volta venga a conoscenza di una notizia di reato e in qualsiasi modo gli derivi questa conoscenza. Tale obbligo, dunque, imporrebbe in teoria che, fosse data pari dignità e tempestivo seguito ad ogni sopravvenuta notizia di reato, con la conseguenza pratica di determinare una sostanziale elusione del dettato costituzionale; difatti, se per un verso sarebbe impossibile pretendere la piena realizzazione di tale generalizzata solerzia, per l’altro, il buon senso che regola i criteri di trattazione delle diverse fattispecie, opera, di fatto, al di fuori di tale disposto.
Non risulta semplice per l’interprete, allora, orientarsi all’interno di tale quadro, stante la circostanza che, come se non bastasse, non è consentito al Giudice per le indagini preliminari di esercitare alcun tipo controllo sul momento dell’iscrizione della notizia di reato e del nome del sottoposto ad indagini. Vero è che, in forza di detta previsione in combinato disposto all’art. 3 Cost, i margini di discrezionalità in merito all’avvio delle indagini del P.M. risultano pressoché nulli, garantendo al tempo stesso l’indipendenza dei requirenti nell’esercizio delle proprie funzioni e il fondamentale principio di eguaglianza di ogni cittadino di fronte alla legge; tuttavia, detta previsione, getta un’ombra di sospetto e solleva non poche preoccupazioni riguardo la possibile compressione del diritto di difesa dell’indagato, così come previsto all’art. 24 della nostra Carta fondamentale.
Il P. M., infatti, “ha un potere discrezionale insindacabile circa l’an e il quando effettuare l’iscrizione”, per cui il ritardo, rilevante ai fini della decorrenza del termine per le indagini preliminari, non può essere censurato in sede processuale, fatta salva ovviamente la responsabilità disciplinare ed eventualmente penale del magistrato inquirente, ricorrendone i presupposti. (cfr. Cass., SS. UU. n. 16 del 21–30 giugno 2000, Tammaro).
Alcune preoccupazioni sono fondate e meritano approfondimento, in considerazione del fatto che, l’indebita omissione ovvero il ritardo nell’iscrizione del nominativo all’interno del registro delle notizie di reato, potrebbe ledere, oltre ai principi fondanti già citati, anche quello della ragionevole durata del processo (art. 111, co. II, Cost.), posto che, dal compimento di tale atto decorre il dies a quo della massima durata delle indagini preliminari (Cass. Pen., Sez. V, n. 45725, del 22.09.2005).
A più riprese, allora, quasi in funzione di bilanciamento degli interessi in gioco, si è ventilata, rimanendo sempre disattesa e censurata, la possibilità di comminare a tale violazione la pena dell’inutilizzabilità – in alcuni casi della nullità -, nei confronti di quegli atti d’indagine che fossero stati compiuti prima della formale iscrizione del nominativo, come richiesto dall’art. 335 c.p.p..
Tale istanza, è stata costantemente disattesa e osteggiata sia dal Giudice delle Leggi, che mai ha ritenuto ammissibili le doglianze di chi adiva la Corte per denunciare l’illegittimità costituzionale della disciplina del computo dei termini per le indagini preliminari, nella misura in cui non fosse prevista la fattibilità di far retroagire la decorrenza dei termini stessi, sia dalla Suprema Corte, che ha sempre escluso tale approdo ermeneutico.
Con riguardo al loro costante atteggiamento di censura, si segnala che, gli Ermellini, senza soluzione di continuità, hanno escluso che potesse comminarsi la sanzione della inutilizzabilità degli atti d’indagine compiuti sino al momento dell’effettiva iscrizione, sul presupposto, già ricordato, che il termine di durata delle indagini preliminari decorre dalla data in cui il pubblico ministero ha iscritto, nel registro delle notizie di reato, il nome della persona cui il reato è attribuito, senza che al G.i.p. sia consentito stabilire una diversa decorrenza, sicché gli eventuali ritardi indebiti nella iscrizione, tanto della notizia di reato che del nome della persona, pur se abnormi, sono privi di conseguenze agli effetti di quanto previsto dall’art. 407 c.p.p., co. III, fermi restando gli eventuali profili di responsabilità disciplinare o penale del magistrato del P.M. che abbia ritardato l’iscrizione” (così SS. UU., n. 40538 del 24.09.2009 – dep. 20.10.2009, Lattanzi).
D’altronde, l’obbligo d’iscrizione facente capo al P.M. si manifesta con l’emersione, a carico del sottoposto ad indagini, di specifici elementi indizianti e non per la venuta ad esistenza di semplici indizi, dacché, tanto l’apprezzamento della tempestività dell’iscrizione, quanto la facoltà di fissare autonomamente la data nella quale detta iscrizione avrebbe dovuto essere effettuata, esulano da qualsivoglia sindacato di legittimità (Cass., Sez. V, n. 11441 del 27.03.1999 – dep. 07.10.1999).
E’ parimenti da escludere che la patologia che ci occupa, possa trasformarsi in una causa di nullità degli atti d’indagine compiuti in violazione dell’obbligo di immediata iscrizione della notitia criminis, in ossequio al principio di tassatività di cui all’art. 177 c.p.p., solo potendo determinare, ricorrendone i presupposti, sanzioni disciplinari o penali per il P.M. che, procrastini indebitamente, con l’unico fine di eludere o dilazionare, il compimento di tale atto.
Tale indebita condotta integra, difatti, la fattispecie prevista all’art. 2, co. I, lett. g) del D. Lgs. n. 109 del 2006, rubricato “Illeciti disciplinari nell’esercizio delle funzioni”, la quale postula la grave violazione di legge determinata da ignoranza o negligenza inescusabile, rivestendo, tale obbligo la forma dell’adempimento, seppur stringente, per il quale non sussiste alcun margine di discrezionalità (cfr. Cass. SS. UU, 12.10.2011, n. 20936). Costituisce, poi, apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità laddove sia sorretto da motivazione congrua, stabilire se gli elementi raccolti in sede di indagine siano o meno sufficienti ad imporre l’iscrizione del nominativo della persona, oggetto dell’indagine, nel registro medesimo.
Avv. Salvatore Tripodi
Il focus: la ritardata o mancata iscrizione dell’indagato nel registro delle notizie di reato
L’omessa annotazione della “notitia criminis“, da parte del Pubblico Ministero, all’interno del registro previsto dall’art. 335 c.p.p., rappresenta, senza dubbio alcuno, uno dei temi tradizionali di approfondimento da parte della dottrina e della giurisprudenza penale.
Ai sensi e per gli effetti della disposizione contenuta all’art. 112 Cost., il Pubblico Ministero è tenuto all’esercizio dell’azione penale ogni qual volta venga a conoscenza di una notizia di reato e in qualsiasi modo gli derivi questa conoscenza. Tale obbligo, dunque, imporrebbe in teoria che, fosse data pari dignità e tempestivo seguito ad ogni sopravvenuta notizia di reato, con la conseguenza pratica di determinare una sostanziale elusione del dettato costituzionale; difatti, se per un verso sarebbe impossibile pretendere la piena realizzazione di tale generalizzata solerzia, per l’altro, il buon senso che regola i criteri di trattazione delle diverse fattispecie, opera, di fatto, al di fuori di tale disposto.
Non risulta semplice per l’interprete, allora, orientarsi all’interno di tale quadro, stante la circostanza che, come se non bastasse, non è consentito al Giudice per le indagini preliminari di esercitare alcun tipo controllo sul momento dell’iscrizione della notizia di reato e del nome del sottoposto ad indagini. Vero è che, in forza di detta previsione in combinato disposto all’art. 3 Cost, i margini di discrezionalità in merito all’avvio delle indagini del P.M. risultano pressoché nulli, garantendo al tempo stesso l’indipendenza dei requirenti nell’esercizio delle proprie funzioni e il fondamentale principio di eguaglianza di ogni cittadino di fronte alla legge; tuttavia, detta previsione, getta un’ombra di sospetto e solleva non poche preoccupazioni riguardo la possibile compressione del diritto di difesa dell’indagato, così come previsto all’art. 24 della nostra Carta fondamentale.
Il P. M., infatti, “ha un potere discrezionale insindacabile circa l’an e il quando effettuare l’iscrizione”, per cui il ritardo, rilevante ai fini della decorrenza del termine per le indagini preliminari, non può essere censurato in sede processuale, fatta salva ovviamente la responsabilità disciplinare ed eventualmente penale del magistrato inquirente, ricorrendone i presupposti. (cfr. Cass., SS. UU. n. 16 del 21–30 giugno 2000, Tammaro).
Alcune preoccupazioni sono fondate e meritano approfondimento, in considerazione del fatto che, l’indebita omissione ovvero il ritardo nell’iscrizione del nominativo all’interno del registro delle notizie di reato, potrebbe ledere, oltre ai principi fondanti già citati, anche quello della ragionevole durata del processo (art. 111, co. II, Cost.), posto che, dal compimento di tale atto decorre il dies a quo della massima durata delle indagini preliminari (Cass. Pen., Sez. V, n. 45725, del 22.09.2005).
A più riprese, allora, quasi in funzione di bilanciamento degli interessi in gioco, si è ventilata, rimanendo sempre disattesa e censurata, la possibilità di comminare a tale violazione la pena dell’inutilizzabilità – in alcuni casi della nullità -, nei confronti di quegli atti d’indagine che fossero stati compiuti prima della formale iscrizione del nominativo, come richiesto dall’art. 335 c.p.p..
Tale istanza, è stata costantemente disattesa e osteggiata sia dal Giudice delle Leggi, che mai ha ritenuto ammissibili le doglianze di chi adiva la Corte per denunciare l’illegittimità costituzionale della disciplina del computo dei termini per le indagini preliminari, nella misura in cui non fosse prevista la fattibilità di far retroagire la decorrenza dei termini stessi, sia dalla Suprema Corte, che ha sempre escluso tale approdo ermeneutico.
Con riguardo al loro costante atteggiamento di censura, si segnala che, gli Ermellini, senza soluzione di continuità, hanno escluso che potesse comminarsi la sanzione della inutilizzabilità degli atti d’indagine compiuti sino al momento dell’effettiva iscrizione, sul presupposto, già ricordato, che il termine di durata delle indagini preliminari decorre dalla data in cui il pubblico ministero ha iscritto, nel registro delle notizie di reato, il nome della persona cui il reato è attribuito, senza che al G.i.p. sia consentito stabilire una diversa decorrenza, sicché gli eventuali ritardi indebiti nella iscrizione, tanto della notizia di reato che del nome della persona, pur se abnormi, sono privi di conseguenze agli effetti di quanto previsto dall’art. 407 c.p.p., co. III, fermi restando gli eventuali profili di responsabilità disciplinare o penale del magistrato del P.M. che abbia ritardato l’iscrizione” (così SS. UU., n. 40538 del 24.09.2009 – dep. 20.10.2009, Lattanzi).
D’altronde, l’obbligo d’iscrizione facente capo al P.M. si manifesta con l’emersione, a carico del sottoposto ad indagini, di specifici elementi indizianti e non per la venuta ad esistenza di semplici indizi, dacché, tanto l’apprezzamento della tempestività dell’iscrizione, quanto la facoltà di fissare autonomamente la data nella quale detta iscrizione avrebbe dovuto essere effettuata, esulano da qualsivoglia sindacato di legittimità (Cass., Sez. V, n. 11441 del 27.03.1999 – dep. 07.10.1999).
E’ parimenti da escludere che la patologia che ci occupa, possa trasformarsi in una causa di nullità degli atti d’indagine compiuti in violazione dell’obbligo di immediata iscrizione della notitia criminis, in ossequio al principio di tassatività di cui all’art. 177 c.p.p., solo potendo determinare, ricorrendone i presupposti, sanzioni disciplinari o penali per il P.M. che, procrastini indebitamente, con l’unico fine di eludere o dilazionare, il compimento di tale atto.
Tale indebita condotta integra, difatti, la fattispecie prevista all’art. 2, co. I, lett. g) del D. Lgs. n. 109 del 2006, rubricato “Illeciti disciplinari nell’esercizio delle funzioni”, la quale postula la grave violazione di legge determinata da ignoranza o negligenza inescusabile, rivestendo, tale obbligo la forma dell’adempimento, seppur stringente, per il quale non sussiste alcun margine di discrezionalità (cfr. Cass. SS. UU, 12.10.2011, n. 20936). Costituisce, poi, apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità laddove sia sorretto da motivazione congrua, stabilire se gli elementi raccolti in sede di indagine siano o meno sufficienti ad imporre l’iscrizione del nominativo della persona, oggetto dell’indagine, nel registro medesimo.
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