Il focus: dies a quo per proporre l’impugnazione penale
Tra gli oneri del buon operatore di diritto e del diligente professionista non può mancare, tra gli altri, quello di “aggiornamento” della propria banca dati circa i sempre più rapidi e drastici pronunciamenti di legittimità su temi “scottanti”, quale è sicuramente quello dell’utile e corretta individuazione del termine per proporre l’impugnazione.
E’ vero, infatti, che il “diritto vivente” può riservare inaspettate, e talvolta spiacevoli, sorprese a chi non sappia che la normativa codicistica vada oggi, più che mai, rigorosamente interpretata nell’ottica della funzione nomofilattica della giurisprudenza della Corte di Cassazione.
Si fa nota, infatti, che a mente dell’art.65 della Legge sull’Ordinamento Giudiziario (R.D. 30 gennaio 1941 n. 12) alla Corte di Cassazione viene attribuito proprio il compito di “garantire l’esatta osservanza e la uniforme interpretazione della legge, l’unità del diritto oggettivo nazionale”, con ciò dovendo tanto garantire l’attuazione della legge del caso concreto quanto fornire indirizzi interpretativi uniformi per mantenere una sostanziale omogeneità della giurisprudenza.
Premesso ciò, la normativa di riferimento è rimasta sostanzialmente immutata, e la sentenza in commento, Cassazione Penale Sezione Terza n.17416/2016, opera il discrimine tra un precedente e consolidato orientamento giurisprudenziale, più estensivo, ed uno più recente e restrittivo, già a partire dalla sentenza a SS.UU.n.155 del 29.09.2011, in tema di individuazione del dies a quo ai fini dell’impugnazione.
La Corte muove i suoi passi partendo proprio dal ribadire la regola generale fissata dall’art. 172, 4 co c.p. secondo la quale – nel caso di termini ordinatori, quale è sicuramente quello previsto per il deposito della sentenza da parte del Giudice ex art. 544 c.p.p. (il discorso è diverso in tema di termini perentori per i quali sono sorti dubbi circa l’applicabilità di tale regola) – “nel termine non si computa l’ora o il giorno in cui è iniziata la decorrenza, salvo che la legge disponga altrimenti”.
Per l’utile individuazione del dies a quo occorrerà, quindi, distinguere, il primo termine di decorrenza, previsto per il deposito della sentenza appunto, da un secondo termine, previsto per la decorrenza della impugnazione.
Orbene, la Corte ritiene che la regola generale viga con riguardo al primo termine di scadenza ovvero quello fissato dal giudice o dalla legge per il deposito della sentenza, mentre diversamente non viga con riguardo al computo del secondo termine per la proposizione dell’impugnazione ciò in quanto ritiene doversi intendere che l’art. 585 co.2 lett. C) detti una disciplina derogatoria rispetto al regime generale. Infatti, argomenta sempre la Corte, l’art. 585 co. 2 lett. C) testualmente individua la decorrenza “dalla scadenza del termine stabilito dalla legge o determinato dal giudice per il deposito della sentenza”, in tal modo avendo specificamente individuato lo stesso dies a quo del termine per l’impugnazione nel momento della scadenza del termine per il deposito. Ciò con l’evidente conseguenza che tale dies a quo andrà computato nel calcolo anticipando di un giorno la scadenza processuale.
In tal senso si è espressa anche la Corte di Cassazione Penale in Seduta Plenaria con la sent. 155/2012 già citata che (allineandosi all’orientamento delle Sezioni Unite Civili in materia di computo dei termini ex art.155 c.p.c.) ha stabilito che la regola prevista dall’art.172 co.3 c.p.p. (dello slittamento del termine al giorno successivo al giorno festivo) si applica anche agli atti e ai provvedimenti provenienti dal giudice e perciò anche al termine per la redazione della sentenza (primo termine) stabilendo che, ove questo cada in un giorno festivo, detto termine sarà prorogato di diritto al giorno successivo, con conseguenti effetti sull’inizio della decorrenza del termine previsto per impugnare.
Ha, peraltro, precisato e chiarito significativamente che dal primo giorno non festivo decorre proprio il secondo termine (quello utile per la presentazione della impugnazione) giacché si legge testualmente “il giorno iniziale di decorrenza del secondo termine coincide con quello in cui scade il primo termine“.
In definitiva, quindi, se prima della sentenza n.17416 del 23.02. 2016 Cass. pen. Sez III ci si poteva ancora giovare dell’interpretazione più favorevole del computo per la proposizione del ricorso, non includendovi il dies a quo, a partire da tale pronunciamento – unitamente alla Sentenza a SS.UU n.155/2012 – si è segnato un capovolgimento dell’interpretazione giurisprudenziale previgente ragion per cui il dies a quo andrà computato e incluso nel calcolo ai fini della corretta individuazione del termine di scadenza per la proposizione dell’impugnazione, spostando indietro di un giorno il termine utile per la proposizione dell’impugnazione.
Per completezza, può essere utile evidenziare che tale pronuncia, basandosi sulla considerazione della derogabilità dell’art.172 co 4 c.p.p., il quale, come detto, fa salvi i casi in cui la legge disponga altrimenti, a titolo esemplificativo individua un’altra fattispecie derogatoria analoga a quella dell’art. 585 c.p.p. ovvero l’art. 297co.1 c.p.p., ove è stabilito che “gli effetti della custodia cautelare decorrono dal momento della cattura, dell’arresto o del fermo” – giungendo la Corte a ritenere insita anche in tale norma una deroga alla previsione dell’art. 172 co.4 c.p.p., individuando appunto il dies a quo della decorrenza del termine in tali momenti e non nel giorno successivo (cfr. tra le altre Sez.6 n.22035/2012 Scanu e altri ; Sez.5 n 14317/10 Sez.5n 47979/2008, Giancola).
Dulcis in fundo, sempre in materia di termini e individuazione di disciplina derogatoria, non si potrà non tener conto anche di un’altra recente sentenza, pronunciata dalla Cass. Penale Sez. IV n.9171 del 28.02.2018, la cui massima stigmatizza proprio la negligenza del difensore nel calcolo del termine ad impugnare affermando che “non costituisce caso fortuito, né tanto meno forza maggiore, la semplice mancanza di diligenza del difensore nell’adempimento del mandato, né è sostenibile che laddove vi sia un errore del difensore nell’interpretazione della legge processuale ciò possa configurare una causa legittima di restituzione nel termine, in quanto la falsa rappresentazione della realtà da ciò indotta, era certamente evitabile con la normale attenzione”.
Nel caso di specie, i difensori avevano proposto ricorso in Cassazione avverso l’ordinanza con cui la Corte di Appello di Palermo aveva respinto l’istanza di restituzione in termini al fine di proporre impugnazione, che poi era stata presentata con due giorni di ritardo, basandosi sia su un’(asserita) interpretazione analogica del disposto di cui all’art. 155 c.p.c. in materia penale, sia su un (errato) computo, in mesi anziché in giorni, per il deposito della motivazione.
I ricorrenti avendo, altresì, rilevato nel ricorso la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 172 co.3 c.p.p. nella parte in cui escluderebbe, in violazione dell’art.3 della Costituzione, la proroga dei termini che scadono di sabato al primo giorno non festivo, hanno in tal modo provocato una pronuncia degli ermellini sul detto ulteriore profilo.
La Corte ha ritenuto la questione manifestamente infondata in quanto, in coerenza con le scelte discrezionali del legislatore, “deve ritenersi che il processo civile abbia ad oggetto interessi eminentemente privati che consentono, per questo solo la, seppur breve, dilazione. Pertanto, la mancata previsione dell’art. 172 di una regola che parifichi il sabato alla domenica non corrisponde affatto ad un vuoto normativo quanto piuttosto alla precisa volontà legislativa di assicurare una diversa disciplina per situazioni processuali del tutto diverse e non sovrapponibili quali sono il processo civile e quello penale, anche in relazione al computo dei termini”.
In conclusione, facendo buona regola di questi nuovi orientamenti, si dovrà valutare, scrupolosamente e caso per caso, se la materia, in cui il provvedimento interviene, costituisca eccezione alla disciplina generale, e operare sempre gli adeguati calcoli prudenziali per non incorrere in rischiosissime quanto evitabili inammissibilità nei confronti di fondati e vincenti ricorsi.
Avv. Silvia Carlei
Il focus: dies a quo per proporre l’impugnazione penale
Tra gli oneri del buon operatore di diritto e del diligente professionista non può mancare, tra gli altri, quello di “aggiornamento” della propria banca dati circa i sempre più rapidi e drastici pronunciamenti di legittimità su temi “scottanti”, quale è sicuramente quello dell’utile e corretta individuazione del termine per proporre l’impugnazione.
E’ vero, infatti, che il “diritto vivente” può riservare inaspettate, e talvolta spiacevoli, sorprese a chi non sappia che la normativa codicistica vada oggi, più che mai, rigorosamente interpretata nell’ottica della funzione nomofilattica della giurisprudenza della Corte di Cassazione.
Si fa nota, infatti, che a mente dell’art.65 della Legge sull’Ordinamento Giudiziario (R.D. 30 gennaio 1941 n. 12) alla Corte di Cassazione viene attribuito proprio il compito di “garantire l’esatta osservanza e la uniforme interpretazione della legge, l’unità del diritto oggettivo nazionale”, con ciò dovendo tanto garantire l’attuazione della legge del caso concreto quanto fornire indirizzi interpretativi uniformi per mantenere una sostanziale omogeneità della giurisprudenza.
Premesso ciò, la normativa di riferimento è rimasta sostanzialmente immutata, e la sentenza in commento, Cassazione Penale Sezione Terza n.17416/2016, opera il discrimine tra un precedente e consolidato orientamento giurisprudenziale, più estensivo, ed uno più recente e restrittivo, già a partire dalla sentenza a SS.UU.n.155 del 29.09.2011, in tema di individuazione del dies a quo ai fini dell’impugnazione.
La Corte muove i suoi passi partendo proprio dal ribadire la regola generale fissata dall’art. 172, 4 co c.p. secondo la quale – nel caso di termini ordinatori, quale è sicuramente quello previsto per il deposito della sentenza da parte del Giudice ex art. 544 c.p.p. (il discorso è diverso in tema di termini perentori per i quali sono sorti dubbi circa l’applicabilità di tale regola) – “nel termine non si computa l’ora o il giorno in cui è iniziata la decorrenza, salvo che la legge disponga altrimenti”.
Per l’utile individuazione del dies a quo occorrerà, quindi, distinguere, il primo termine di decorrenza, previsto per il deposito della sentenza appunto, da un secondo termine, previsto per la decorrenza della impugnazione.
Orbene, la Corte ritiene che la regola generale viga con riguardo al primo termine di scadenza ovvero quello fissato dal giudice o dalla legge per il deposito della sentenza, mentre diversamente non viga con riguardo al computo del secondo termine per la proposizione dell’impugnazione ciò in quanto ritiene doversi intendere che l’art. 585 co.2 lett. C) detti una disciplina derogatoria rispetto al regime generale. Infatti, argomenta sempre la Corte, l’art. 585 co. 2 lett. C) testualmente individua la decorrenza “dalla scadenza del termine stabilito dalla legge o determinato dal giudice per il deposito della sentenza”, in tal modo avendo specificamente individuato lo stesso dies a quo del termine per l’impugnazione nel momento della scadenza del termine per il deposito. Ciò con l’evidente conseguenza che tale dies a quo andrà computato nel calcolo anticipando di un giorno la scadenza processuale.
In tal senso si è espressa anche la Corte di Cassazione Penale in Seduta Plenaria con la sent. 155/2012 già citata che (allineandosi all’orientamento delle Sezioni Unite Civili in materia di computo dei termini ex art.155 c.p.c.) ha stabilito che la regola prevista dall’art.172 co.3 c.p.p. (dello slittamento del termine al giorno successivo al giorno festivo) si applica anche agli atti e ai provvedimenti provenienti dal giudice e perciò anche al termine per la redazione della sentenza (primo termine) stabilendo che, ove questo cada in un giorno festivo, detto termine sarà prorogato di diritto al giorno successivo, con conseguenti effetti sull’inizio della decorrenza del termine previsto per impugnare.
Ha, peraltro, precisato e chiarito significativamente che dal primo giorno non festivo decorre proprio il secondo termine (quello utile per la presentazione della impugnazione) giacché si legge testualmente “il giorno iniziale di decorrenza del secondo termine coincide con quello in cui scade il primo termine“.
In definitiva, quindi, se prima della sentenza n.17416 del 23.02. 2016 Cass. pen. Sez III ci si poteva ancora giovare dell’interpretazione più favorevole del computo per la proposizione del ricorso, non includendovi il dies a quo, a partire da tale pronunciamento – unitamente alla Sentenza a SS.UU n.155/2012 – si è segnato un capovolgimento dell’interpretazione giurisprudenziale previgente ragion per cui il dies a quo andrà computato e incluso nel calcolo ai fini della corretta individuazione del termine di scadenza per la proposizione dell’impugnazione, spostando indietro di un giorno il termine utile per la proposizione dell’impugnazione.
Per completezza, può essere utile evidenziare che tale pronuncia, basandosi sulla considerazione della derogabilità dell’art.172 co 4 c.p.p., il quale, come detto, fa salvi i casi in cui la legge disponga altrimenti, a titolo esemplificativo individua un’altra fattispecie derogatoria analoga a quella dell’art. 585 c.p.p. ovvero l’art. 297co.1 c.p.p., ove è stabilito che “gli effetti della custodia cautelare decorrono dal momento della cattura, dell’arresto o del fermo” – giungendo la Corte a ritenere insita anche in tale norma una deroga alla previsione dell’art. 172 co.4 c.p.p., individuando appunto il dies a quo della decorrenza del termine in tali momenti e non nel giorno successivo (cfr. tra le altre Sez.6 n.22035/2012 Scanu e altri ; Sez.5 n 14317/10 Sez.5n 47979/2008, Giancola).
Dulcis in fundo, sempre in materia di termini e individuazione di disciplina derogatoria, non si potrà non tener conto anche di un’altra recente sentenza, pronunciata dalla Cass. Penale Sez. IV n.9171 del 28.02.2018, la cui massima stigmatizza proprio la negligenza del difensore nel calcolo del termine ad impugnare affermando che “non costituisce caso fortuito, né tanto meno forza maggiore, la semplice mancanza di diligenza del difensore nell’adempimento del mandato, né è sostenibile che laddove vi sia un errore del difensore nell’interpretazione della legge processuale ciò possa configurare una causa legittima di restituzione nel termine, in quanto la falsa rappresentazione della realtà da ciò indotta, era certamente evitabile con la normale attenzione”.
Nel caso di specie, i difensori avevano proposto ricorso in Cassazione avverso l’ordinanza con cui la Corte di Appello di Palermo aveva respinto l’istanza di restituzione in termini al fine di proporre impugnazione, che poi era stata presentata con due giorni di ritardo, basandosi sia su un’(asserita) interpretazione analogica del disposto di cui all’art. 155 c.p.c. in materia penale, sia su un (errato) computo, in mesi anziché in giorni, per il deposito della motivazione.
I ricorrenti avendo, altresì, rilevato nel ricorso la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 172 co.3 c.p.p. nella parte in cui escluderebbe, in violazione dell’art.3 della Costituzione, la proroga dei termini che scadono di sabato al primo giorno non festivo, hanno in tal modo provocato una pronuncia degli ermellini sul detto ulteriore profilo.
La Corte ha ritenuto la questione manifestamente infondata in quanto, in coerenza con le scelte discrezionali del legislatore, “deve ritenersi che il processo civile abbia ad oggetto interessi eminentemente privati che consentono, per questo solo la, seppur breve, dilazione. Pertanto, la mancata previsione dell’art. 172 di una regola che parifichi il sabato alla domenica non corrisponde affatto ad un vuoto normativo quanto piuttosto alla precisa volontà legislativa di assicurare una diversa disciplina per situazioni processuali del tutto diverse e non sovrapponibili quali sono il processo civile e quello penale, anche in relazione al computo dei termini”.
In conclusione, facendo buona regola di questi nuovi orientamenti, si dovrà valutare, scrupolosamente e caso per caso, se la materia, in cui il provvedimento interviene, costituisca eccezione alla disciplina generale, e operare sempre gli adeguati calcoli prudenziali per non incorrere in rischiosissime quanto evitabili inammissibilità nei confronti di fondati e vincenti ricorsi.
Avv. Silvia Carlei
Recent posts.
Ritardo di 40 minuti al lavoro, vigilante licenziato: per la Cassazione il provvedimento è legittimo
Un uomo impiegato in attività di sicurezza presso una banca ha impugnato in tribunale il suo licenziamento, avvenuto a causa di un ritardo di 40 minuti. Se in primo grado il suo ricorso era stato [...]
Nella pronuncia del 4 Novembre la Suprema Corte di Cassazione ha dichiarato illegittimo sottoporre il personale sanitario a eccessivi turni di reperibilità. Questo viene annunciato dal Codacons che riporta un’ordinanza della Corte di Cassazione riconoscendo [...]
Con la sentenza n. 30532/24 RG. n. 3103/2024, la Corte di Cassazione Sez III. Penale si è pronunciata sul ricorso avverso la sentenza emessa dalla Corte di Appello di Lecce in data 05/07/2023, annullando quest'ultima [...]
Recent posts.
Ritardo di 40 minuti al lavoro, vigilante licenziato: per la Cassazione il provvedimento è legittimo
Un uomo impiegato in attività di sicurezza presso una banca ha impugnato in tribunale il suo licenziamento, avvenuto a causa di un ritardo di 40 minuti. Se in primo grado il suo ricorso era stato [...]
Nella pronuncia del 4 Novembre la Suprema Corte di Cassazione ha dichiarato illegittimo sottoporre il personale sanitario a eccessivi turni di reperibilità. Questo viene annunciato dal Codacons che riporta un’ordinanza della Corte di Cassazione riconoscendo [...]