Il danno non patrimoniale
Al giorno d’oggi, la risarcibilità del danno non patrimoniale continua ad essere un argomento alquanto dibattuto, sia in dottrina che in giurisprudenza.
Numerose sono state le discussioni inerenti a tale tematica quali, ad esempio, la sua definizione normativa, a quale norma del codice questa categoria dovesse essere ricondotta ovvero l’interrogativo postosi circa la sua risarcibilità.
Sul punto, la prima svolta si ebbe con la sentenza della Corte Costituzionale n.184/1986 che analizzando l’art. 2059 c.c. e ponendo l’art. 2043 c.c. in correlazione agli articoli della Carta fondamentale (precisamente all’art. 32 Cost.), consentì di effettuare una lettura più ampia del concetto di patrimonio.
Ciò nonostante, come si può evincere dalle numerose pronunce riguardarti tale tema, nell’arco degli anni non sono mancate le polemiche nonché contraddizioni a riguardo. Ne sono un esempio la sentenza n. 233/2033 della Corte Costituzionale, e le sentenze nn.8827/2003 e 8828/2003 SS.UU., che hanno rettificato che i danni non patrimoniali non sono risarcibili mediante l’applicazione dell’art.2043 c.c., ma piuttosto questi dovrebbero essere ricondotti all’art.2059 c.c.
Appare dunque possibile affermare che tali classificazioni, talvolta contraddittorie tra loro, hanno generato un insieme di problematiche interpretative non di poco conto, che sono state chiarite solo nel 2008 con le sentenze nn.26972, 26973, 26974 e 26975 emesse dalla Suprema Corte a Sezioni Unite.
In particolare, dette sentenze hanno sottolineato l’unitarietà del danno non patrimoniale, considerandolo una vera e propria categoria omnicomprensiva.
Tuttavia, nel corso di detto dibattito giurisprudenziale e dottrinale, si sono formate diverse species riconducibili al genus più ampio di danno non patrimoniale, species che sono state più volte criticate dalla Corte di Cassazione che continua a sostenere l’autonomia del danno non patrimoniale.
Difatti di recente la Suprema Corte si è espressa nuovamente sul punto basandosi sull’inciso che il danno morale fa riferimento ad una realtà “in sé insuscettibile di alcun accertamento medico-legale” e corrispondente alla “rappresentazione di uno stato d’animo di sofferenza interiore del tutto autonomo e indipendente” rispetto agli avvenimenti “dinamico-relazionali della vita del danneggiato”. In tal modo, questa ha quindi confermato la piena autonomia del danno non patrimoniale rispetto a quello biologico sul piano normativo.
Più specificatamente, con la sentenza n. 15733/2022, la Corte rammenta l’ormai consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo cui i pregiudizi subiti da ciascun individuo a titolo di danno morale
“mantengono integralmente la propria autonomia rispetto ad ogni altra voce del c.d. danno non patrimoniale, non essendone in alcun modo giustificabile l’incorporazione nel c.d. danno biologico, trattandosi (con riguardo al danno morale) di sofferenza di natura del tutto interiore e non relazionale, meritevole di un compenso aggiuntivo al di là della personalizzazione prevista per la compromissione degli aspetti puramente dinamico-relazionali della vita individuale”.
In conclusione, nel giudizio de quo la Suprema Corte chiarisce in maniera definitiva la piena autonomia del danno morale in relazione ad ogni altra voce del c.d. danno non patrimoniale, poiché non risulta possibile ricondurlo a nessun’altra categoria, nemmeno a quella del c.d. danno biologico, poiché tratta di aspetti completamente differenti.
Dott.ssa Francesca Morelli
Il danno non patrimoniale
Al giorno d’oggi, la risarcibilità del danno non patrimoniale continua ad essere un argomento alquanto dibattuto, sia in dottrina che in giurisprudenza.
Numerose sono state le discussioni inerenti a tale tematica quali, ad esempio, la sua definizione normativa, a quale norma del codice questa categoria dovesse essere ricondotta ovvero l’interrogativo postosi circa la sua risarcibilità.
Sul punto, la prima svolta si ebbe con la sentenza della Corte Costituzionale n.184/1986 che analizzando l’art. 2059 c.c. e ponendo l’art. 2043 c.c. in correlazione agli articoli della Carta fondamentale (precisamente all’art. 32 Cost.), consentì di effettuare una lettura più ampia del concetto di patrimonio.
Ciò nonostante, come si può evincere dalle numerose pronunce riguardarti tale tema, nell’arco degli anni non sono mancate le polemiche nonché contraddizioni a riguardo. Ne sono un esempio la sentenza n. 233/2033 della Corte Costituzionale, e le sentenze nn.8827/2003 e 8828/2003 SS.UU., che hanno rettificato che i danni non patrimoniali non sono risarcibili mediante l’applicazione dell’art.2043 c.c., ma piuttosto questi dovrebbero essere ricondotti all’art.2059 c.c.
Appare dunque possibile affermare che tali classificazioni, talvolta contraddittorie tra loro, hanno generato un insieme di problematiche interpretative non di poco conto, che sono state chiarite solo nel 2008 con le sentenze nn.26972, 26973, 26974 e 26975 emesse dalla Suprema Corte a Sezioni Unite.
In particolare, dette sentenze hanno sottolineato l’unitarietà del danno non patrimoniale, considerandolo una vera e propria categoria omnicomprensiva.
Tuttavia, nel corso di detto dibattito giurisprudenziale e dottrinale, si sono formate diverse species riconducibili al genus più ampio di danno non patrimoniale, species che sono state più volte criticate dalla Corte di Cassazione che continua a sostenere l’autonomia del danno non patrimoniale.
Difatti di recente la Suprema Corte si è espressa nuovamente sul punto basandosi sull’inciso che il danno morale fa riferimento ad una realtà “in sé insuscettibile di alcun accertamento medico-legale” e corrispondente alla “rappresentazione di uno stato d’animo di sofferenza interiore del tutto autonomo e indipendente” rispetto agli avvenimenti “dinamico-relazionali della vita del danneggiato”. In tal modo, questa ha quindi confermato la piena autonomia del danno non patrimoniale rispetto a quello biologico sul piano normativo.
Più specificatamente, con la sentenza n. 15733/2022, la Corte rammenta l’ormai consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo cui i pregiudizi subiti da ciascun individuo a titolo di danno morale
“mantengono integralmente la propria autonomia rispetto ad ogni altra voce del c.d. danno non patrimoniale, non essendone in alcun modo giustificabile l’incorporazione nel c.d. danno biologico, trattandosi (con riguardo al danno morale) di sofferenza di natura del tutto interiore e non relazionale, meritevole di un compenso aggiuntivo al di là della personalizzazione prevista per la compromissione degli aspetti puramente dinamico-relazionali della vita individuale”.
In conclusione, nel giudizio de quo la Suprema Corte chiarisce in maniera definitiva la piena autonomia del danno morale in relazione ad ogni altra voce del c.d. danno non patrimoniale, poiché non risulta possibile ricondurlo a nessun’altra categoria, nemmeno a quella del c.d. danno biologico, poiché tratta di aspetti completamente differenti.
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