Guida in stato d'ebbrezza: quali sono i poteri accertativi dei pubblici ufficiali
La quarta sezione della Suprema Corte di Cassazione si è pronunciata il 25 Marzo 2014 con la sentenza n. 13999 in merito alle modalità di accertamento dello stato di ebbrezza, facendo riferimento al reato previsto dall’art. 186 del D.lgs. del 30 Aprile 1992 n.285 (Nuovo codice della strada). Il ricorrente aveva impugnato la sentenza per vizio di motivazione, inosservanza ed erronea applicazione del comma 2 lettera C dell’art. 186 del Codice della strada.
Tra i motivi di ricorso si evidenziava che la misurazione compiuta tramite alcol test non fosse attendibile, poiché aveva prodotto risultati diversi nell’arco di pochi minuti. Pertanto il ricorrente sosteneva che facendo riferimento esclusivamente a tali misurazioni da non ritenersi attendibili, non si poteva esser certi del suo stato di ebbrezza.
Alla luce di tale considerazione, il giudice: “avrebbe dovuto… ravvisare l’ipotesi più lieve, non essendo possibile sostenere, al di là di ogni ragionevole dubbio, che la condotta dell’agente rientrasse nell’ambito di una delle altre due previste dalla norma“.
I giudici di legittimità hanno confermato un principio espresso più volte, ovvero hanno affermato che lo stato di ebbrezza possa essere accertato “per tutte le ipotesi attualmente previste dall’art. 186 C.d.S., con qualsiasi mezzo, e quindi anche su base sintomatica, indipendentemente dall’accertamento strumentale, dovendosi comunque ravvisare l’ipotesi più lieve, priva di rilievo penale, quando, pur risultando accertato il superamento della soglia minima, non sia possibile affermare, oltre ogni ragionevole dubbio, che la condotta dell’agente rientri nell’ambito di una delle altre ipotesi che conservano rilievo penale“.
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