Gravi maltrattamenti in famiglia: condannato il marito
“Nessun ridimensionamento per i comportamenti tenuti a casa dall’imputato. Egli ha ripetutamente manifestato il proprio disprezzo verso la consorte, sottoponendola a continue vessazioni morali e fisiche”.
È quanto statuito dalla Suprema Corte di Cassazione sez. IV Penale con sentenza n. 29255/2018, depositata il 26 giugno, con la quale la stessa ha rigettato i motivi di ricorso proposti dall’imputato.
Nella fattispecie in esame, all’imputato veniva contestato il reato di maltrattamento contro familiari e conviventi ex art. 572 c.p., poiché aveva ripetutamente perpetrato, nei confronti della moglie convivente, un comportamento violento e molesto.
Sul merito della questione si era pronunciato, inizialmente, il Tribunale di Lecce che aveva condannato l’imputato per aver posto in essere gravi vessazioni e violenze fisiche e psichiche a danni del coniuge.
Nel caso de quo la sentenza di condanna veniva confermata dalla Corte d’Appello di Lecce che avvalorava quanto descritto nei capi di imputazione del Giudice di prime cure.
In extrema ratio l’imputato presentava ricorso per Cassazione lamentando violazione di legge e vizio di motivazione in relazione dell’inattendibilità dei testi escussi e dell’insufficienza delle prove utilizzate dal Collegio per pronunciare la sentenza di condanna.
Pertanto, secondo il ricorrente, il Giudice aveva omesso di accertare la veridicità dei testimoni che, invero, avevano mal interpretato alcune semplici liti coniugali ritenendole maltrattamenti e vessazioni.
Per gli Ermellini il motivo di ricorso proposto dall’imputato è da considerarsi privo di fondamento e, uniformandosi alle precedenti pronunce, hanno confermato quanto stabilito dal Tribunale e dalla Corte di Appello, osservando, come nel caso di specie, dalle testimonianze legittimamente assunte, risultasse un vero e proprio atteggiamento di prepotenza e disprezzo, volto a recare fastidio alla moglie.
Dott.ssa Chiara Cavallaro
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“Nessun ridimensionamento per i comportamenti tenuti a casa dall’imputato. Egli ha ripetutamente manifestato il proprio disprezzo verso la consorte, sottoponendola a continue vessazioni morali e fisiche”.
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Nella fattispecie in esame, all’imputato veniva contestato il reato di maltrattamento contro familiari e conviventi ex art. 572 c.p., poiché aveva ripetutamente perpetrato, nei confronti della moglie convivente, un comportamento violento e molesto.
Sul merito della questione si era pronunciato, inizialmente, il Tribunale di Lecce che aveva condannato l’imputato per aver posto in essere gravi vessazioni e violenze fisiche e psichiche a danni del coniuge.
Nel caso de quo la sentenza di condanna veniva confermata dalla Corte d’Appello di Lecce che avvalorava quanto descritto nei capi di imputazione del Giudice di prime cure.
In extrema ratio l’imputato presentava ricorso per Cassazione lamentando violazione di legge e vizio di motivazione in relazione dell’inattendibilità dei testi escussi e dell’insufficienza delle prove utilizzate dal Collegio per pronunciare la sentenza di condanna.
Pertanto, secondo il ricorrente, il Giudice aveva omesso di accertare la veridicità dei testimoni che, invero, avevano mal interpretato alcune semplici liti coniugali ritenendole maltrattamenti e vessazioni.
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