Giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, la chiamata in causa di un terzo
Con la sentenza n. 10218, la Corte di Cassazione, sez. I Civ., in data 11.04.2019 ha chiarito come opera la chiamata del terzo in un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo.
Il fatto, a fondamento della pronuncia, riguardava un decreto ingiuntivo promosso da un privato nei confronti di un’amministrazione comunale. Quest’ultima, si opponeva al decreto, eccependo l’insussistenza di un contratto vincolante avente come l’amministrazione. Tale eccezione, aveva fatto nascere l’interesse del privato a reclamare il pagamento nei confronti dei singoli amministratori che avevano personalmente firmato gli atti. Dunque, all’interno di un procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, il privato citava in giudizio i terzi funzionari attraverso una chiamato del terzo.
La Corte d’Appello, confermando la pronuncia del tribunale di primo grado, dichiarava inammissibile la domanda presentata nei confronti dei terzi- funzionari, considerandola come una domanda nuova. Secondo tale Corte non ricorrevano i presupposti nemmeno per una “reconventio reconventionis”, la quale opera solo nei rapporti tra opponente e opposto.
La Corte di Cassazione, contrariamente, chiarisce che la domanda proposta verso i terzi, non è da qualificarsi né come riconvenzionale, né come nuova. A fondamento della domanda, vi è la medesima richiesta di condanna al pagamento presentata in fasi monitoria. Dunque, si tratterebbe di una mera estensione a terzi di domanda già avanzata.
La Corte – accogliendo la denuncia di violazione/falsa applicazione degli artt. 106, 107 e 167 c.p.c., oltreché degli artt. 28 e 111 Cost. – precisa che il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo nasce naturalmente per dare definizione ai rapporti tra creditore e debitore, ma ciò non prevede l’inammissibilità di ogni diversa domanda introdotta nei confronti di terzi; iniziativa che sottopone semmai la stessa alle regole del rito ordinario.
A tale riguardo bisogna precisare che, l’opposizione al decreto ingiuntivo dà luogo ad un ordinario, autonomo giudizio di cognizione, che, sovrapponendosi allo speciale e sommario procedimento monitorio si svolge secondo le norme del procedimento ordinario (art. 645 c.p.c.). in esso però si assiste ad un’inversione delle parti, in cui l’opponente diventa attore; egli infatti cita in giudizio l’iniziale creditore. In virtù di tale inversione, il creditore- opposto può presentare non solo domande riconvenzionali ed eccezioni, ma anche chiamare in giudizio un terzo ex. art. 106 e 269 c.p.c. quando ciò sia una conseguenza delle difese presentate dell’opponente-debitore nel corso del giudizio.
In conclusione, la Corte di Cassazione registra un errore nell’interpretare l’art. 183 c.p.c., co.5 il quale dispone “Nella stessa udienza l’attore può proporre le domande e le eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto. Può altresì chiedere di essere autorizzato a chiamare un terzo ai sensi degli articoli 106 e 269, terzo comma, se l’esigenza è sorta dalle difese del convenuto . Le parti possono precisare e modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni già formulate”. La Corte di Appello si sarebbe limitata a considerare la legittimità dell’attore a proporre la riconvenzionale alla riconvenzionale del convenuto, cioè alle eccezioni dell’opponente, – c.d. reconventio reconventionis – dimenticando che la norma consente all’attore la chiamata in giudizio di terzi quando ciò sorga come conseguenza delle difese del convenuto.
Diana De Gaetani
Giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, la chiamata in causa di un terzo
Con la sentenza n. 10218, la Corte di Cassazione, sez. I Civ., in data 11.04.2019 ha chiarito come opera la chiamata del terzo in un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo.
Il fatto, a fondamento della pronuncia, riguardava un decreto ingiuntivo promosso da un privato nei confronti di un’amministrazione comunale. Quest’ultima, si opponeva al decreto, eccependo l’insussistenza di un contratto vincolante avente come l’amministrazione. Tale eccezione, aveva fatto nascere l’interesse del privato a reclamare il pagamento nei confronti dei singoli amministratori che avevano personalmente firmato gli atti. Dunque, all’interno di un procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, il privato citava in giudizio i terzi funzionari attraverso una chiamato del terzo.
La Corte d’Appello, confermando la pronuncia del tribunale di primo grado, dichiarava inammissibile la domanda presentata nei confronti dei terzi- funzionari, considerandola come una domanda nuova. Secondo tale Corte non ricorrevano i presupposti nemmeno per una “reconventio reconventionis”, la quale opera solo nei rapporti tra opponente e opposto.
La Corte di Cassazione, contrariamente, chiarisce che la domanda proposta verso i terzi, non è da qualificarsi né come riconvenzionale, né come nuova. A fondamento della domanda, vi è la medesima richiesta di condanna al pagamento presentata in fasi monitoria. Dunque, si tratterebbe di una mera estensione a terzi di domanda già avanzata.
La Corte – accogliendo la denuncia di violazione/falsa applicazione degli artt. 106, 107 e 167 c.p.c., oltreché degli artt. 28 e 111 Cost. – precisa che il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo nasce naturalmente per dare definizione ai rapporti tra creditore e debitore, ma ciò non prevede l’inammissibilità di ogni diversa domanda introdotta nei confronti di terzi; iniziativa che sottopone semmai la stessa alle regole del rito ordinario.
A tale riguardo bisogna precisare che, l’opposizione al decreto ingiuntivo dà luogo ad un ordinario, autonomo giudizio di cognizione, che, sovrapponendosi allo speciale e sommario procedimento monitorio si svolge secondo le norme del procedimento ordinario (art. 645 c.p.c.). in esso però si assiste ad un’inversione delle parti, in cui l’opponente diventa attore; egli infatti cita in giudizio l’iniziale creditore. In virtù di tale inversione, il creditore- opposto può presentare non solo domande riconvenzionali ed eccezioni, ma anche chiamare in giudizio un terzo ex. art. 106 e 269 c.p.c. quando ciò sia una conseguenza delle difese presentate dell’opponente-debitore nel corso del giudizio.
In conclusione, la Corte di Cassazione registra un errore nell’interpretare l’art. 183 c.p.c., co.5 il quale dispone “Nella stessa udienza l’attore può proporre le domande e le eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto. Può altresì chiedere di essere autorizzato a chiamare un terzo ai sensi degli articoli 106 e 269, terzo comma, se l’esigenza è sorta dalle difese del convenuto . Le parti possono precisare e modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni già formulate”. La Corte di Appello si sarebbe limitata a considerare la legittimità dell’attore a proporre la riconvenzionale alla riconvenzionale del convenuto, cioè alle eccezioni dell’opponente, – c.d. reconventio reconventionis – dimenticando che la norma consente all’attore la chiamata in giudizio di terzi quando ciò sorga come conseguenza delle difese del convenuto.
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