Fallimento, Tribunale Bologna respinge ricorso per sequestro conservativo
Con l’ordinanza in discorso il Tribunale di Bologna – Sezione Specializzata Diritto Societario ha inteso rigettare il ricorso per sequestro conservativo promosso, a norma dell’art. 671 del codice di procedura civile, da una procedura fallimentare nei confronti degli ex amministratori e sindaci della società fallita.
La curatela fallimentare infatti, ritenendo sussistenti ipotetici atti di mala gestio posti in essere in epoca antecedente alla dichiarazione di fallimento e tali da determinare il dissesto societario e la conseguente apertura della procedura concorsuale, intendeva promuovere, a noma dell’art. 146 della Legge Fallimentare, un’azione di responsabilità nei confronti degli ex componenti dell’organo amministrativo e di controllo della società fallita.
Per tale motivo, ritenendo che medio tempore e in attesa dell’avvio di una tale azione risarcitoria gli eventuali futuri debitori potessero porre in essere atti idonei a depauperare e disperdere il loro patrimonio e quindi la garanzia patrimoniale del futuro creditore, il fallimento riteneva opportuno presentare ante causam un ricorso per sequestro conservativo, finalizzato ad ottenere in via cautelare e preventiva il sequestro conservativo dei beni degli ex componenti dell’organo amministrativo e di controllo della società fallita.
I resistenti ex componenti dell’organo amministrativo e di controllo, costituitisi nell’intrapreso giudizio cautelare, contestavano la domanda e ne chiedevano l’integrale rigetto.
Nell’ambito dell’intrapreso giudizio cautelare la curatela fallimentare tentava di dimostrare la sussistenza dei requisiti del fumus boni iuris e del periculum in mora, quali presupposti di legge necessari per ottenere l’adozione di provvedimenti cautelari.
Il Tribunale di Bologna, non ravvisando la sussistenza di nessuno dei due requisiti sopra evidenziati, con ordinanza del 14 novembre 2016 ha inteso rigettare la richiesta della curatela fallimentare.
L’ordinanza in discorso merita un commento in quanto il Tribunale – relativamente al requisito del fumus boni iuris – ha ritenuto che nel caso sottoposto al suo esame fosse impossibile l’individuazione di un danno risarcibile che potesse essere ricondotto con nesso eziologico a specifiche asserite condotte di mala gestio eventualmente poste in essere dagli ex amministratori e dagli ex sindaci, richiamando al riguardo il principio affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza a S.U. n. 9100 del 2015 e sostenendo nella parte motiva dell’ordinanza di rigetto che “Sul punto è fermissimo l’insegnamento della Suprema Corte, da ultimo manifestatosi con la nota S.U.9100 del 2015, che impone una attenta selezione, secondo gli ordinari principi della causalità, definiti dagli artt.1223 ss cc., dei pregiudizi risarcibili in forza della illegittima condotta di amministratori e sindaci” ed anche che “La misura richiesta, conservativa, strumento di tutela della in via di urgenza della garanzia patrimoniale generica (vedi artt. 2740 e 2905 cc) e della fruttuosità di una futura esecuzione non può prescindere dalla rappresentazione di un danno raffigurato con ragionevole affidabilità, che costituisce l’apparenza del diritto, o fumus, e dalla prospettazione del rischio concretamente predicabile che nel tempo necessario per accertare tale diritto il patrimonio dei debitori, nella sua genericità, venga disperso o periculum”.
Occorre rammentare che la Corte di Cassazione, con la sentenza a S.U. n. 900 del 2015, si era pronunziata in ordine alla ripartizione dell’onere della prova nelle azioni di responsabilità promosse nei confronti degli ex amministratori e degli ex sindaci, disponendo che “Nell’azione di responsabilità promossa dal curatore del fallimento di una società di capitali nei confronti dell’amministratore della stessa, l’individuazione e la liquidazione del danno risarcibile dev’essere operata avendo riguardo agli specifici inadempimenti dell’amministratore, che l’attore ha l’onere di allegare, onde possa essere verificata l’esistenza di un rapporto di causalità tra tali inadempimenti ed il danno di cui si pretende il risarcimento” (Cass., S.U., 6 maggio 2015, n. 9100).
Orbene tale principio è stato ritenuto dal Tribunale di Bologna, con l’ordinanza in commento e con cui è stato rigettato il ricorso per sequestro conservativo ante causam proposto dalla curatela fallimentare ex art. 671 del codice di procedura civile, anche all’eventuale fase cautelare preventiva rispetto all’instaurazione del vero e proprio giudizio di responsabilità.
Ne consegue che – indipendentemente dalla natura del giudizio cautelare ante causam come giudizio a cognizione sommaria nel quale è sufficiente fornire la prova del fumus boni iuris e quindi della probabile fondatezza della domanda che si intende proporre con il successivo giudizio di merito – nel caso in cui tale giudizio cautelare sia proposto da una procedura fallimentare, e sia strumentale rispetto ad un giudizio di merito diretto a far valere la responsabilità degli ex amministratori e sindaci della società fallita a norma dell’art. 146 della Legge Fallimentare, la curatela fallimentare avrà comunque l’onere, anche se ai fini della dimostrazione del fumus boni iuris, di allegare l’esistenza di un danno risarcibile ed eziologicamente riconducibile a specifiche condotte degli ex componenti dell’organo amministrativo e di controllo ritenute illecite.
In difetto la domanda verrebbe rigettata per mancato raggiungimento della prova in ordine al fumus boni iuris.
Fallimento, Tribunale Bologna respinge ricorso per sequestro conservativo
Con l’ordinanza in discorso il Tribunale di Bologna – Sezione Specializzata Diritto Societario ha inteso rigettare il ricorso per sequestro conservativo promosso, a norma dell’art. 671 del codice di procedura civile, da una procedura fallimentare nei confronti degli ex amministratori e sindaci della società fallita.
La curatela fallimentare infatti, ritenendo sussistenti ipotetici atti di mala gestio posti in essere in epoca antecedente alla dichiarazione di fallimento e tali da determinare il dissesto societario e la conseguente apertura della procedura concorsuale, intendeva promuovere, a noma dell’art. 146 della Legge Fallimentare, un’azione di responsabilità nei confronti degli ex componenti dell’organo amministrativo e di controllo della società fallita.
Per tale motivo, ritenendo che medio tempore e in attesa dell’avvio di una tale azione risarcitoria gli eventuali futuri debitori potessero porre in essere atti idonei a depauperare e disperdere il loro patrimonio e quindi la garanzia patrimoniale del futuro creditore, il fallimento riteneva opportuno presentare ante causam un ricorso per sequestro conservativo, finalizzato ad ottenere in via cautelare e preventiva il sequestro conservativo dei beni degli ex componenti dell’organo amministrativo e di controllo della società fallita.
I resistenti ex componenti dell’organo amministrativo e di controllo, costituitisi nell’intrapreso giudizio cautelare, contestavano la domanda e ne chiedevano l’integrale rigetto.
Nell’ambito dell’intrapreso giudizio cautelare la curatela fallimentare tentava di dimostrare la sussistenza dei requisiti del fumus boni iuris e del periculum in mora, quali presupposti di legge necessari per ottenere l’adozione di provvedimenti cautelari.
Il Tribunale di Bologna, non ravvisando la sussistenza di nessuno dei due requisiti sopra evidenziati, con ordinanza del 14 novembre 2016 ha inteso rigettare la richiesta della curatela fallimentare.
L’ordinanza in discorso merita un commento in quanto il Tribunale – relativamente al requisito del fumus boni iuris – ha ritenuto che nel caso sottoposto al suo esame fosse impossibile l’individuazione di un danno risarcibile che potesse essere ricondotto con nesso eziologico a specifiche asserite condotte di mala gestio eventualmente poste in essere dagli ex amministratori e dagli ex sindaci, richiamando al riguardo il principio affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza a S.U. n. 9100 del 2015 e sostenendo nella parte motiva dell’ordinanza di rigetto che “Sul punto è fermissimo l’insegnamento della Suprema Corte, da ultimo manifestatosi con la nota S.U.9100 del 2015, che impone una attenta selezione, secondo gli ordinari principi della causalità, definiti dagli artt.1223 ss cc., dei pregiudizi risarcibili in forza della illegittima condotta di amministratori e sindaci” ed anche che “La misura richiesta, conservativa, strumento di tutela della in via di urgenza della garanzia patrimoniale generica (vedi artt. 2740 e 2905 cc) e della fruttuosità di una futura esecuzione non può prescindere dalla rappresentazione di un danno raffigurato con ragionevole affidabilità, che costituisce l’apparenza del diritto, o fumus, e dalla prospettazione del rischio concretamente predicabile che nel tempo necessario per accertare tale diritto il patrimonio dei debitori, nella sua genericità, venga disperso o periculum”.
Occorre rammentare che la Corte di Cassazione, con la sentenza a S.U. n. 900 del 2015, si era pronunziata in ordine alla ripartizione dell’onere della prova nelle azioni di responsabilità promosse nei confronti degli ex amministratori e degli ex sindaci, disponendo che “Nell’azione di responsabilità promossa dal curatore del fallimento di una società di capitali nei confronti dell’amministratore della stessa, l’individuazione e la liquidazione del danno risarcibile dev’essere operata avendo riguardo agli specifici inadempimenti dell’amministratore, che l’attore ha l’onere di allegare, onde possa essere verificata l’esistenza di un rapporto di causalità tra tali inadempimenti ed il danno di cui si pretende il risarcimento” (Cass., S.U., 6 maggio 2015, n. 9100).
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