Published On: 30 Maggio 2019Categories: Claudio Grimaldi, IMPRESE

Dall’amministrazione straordinaria al fallimento. La vicenda dei dipendenti di Mercatone Uno

Recentissime notizie di cronaca riferiscono dell’intervenuta dichiarazione di fallimento della società Shernon Holding, vale a dire della società alla quale nel mese di agosto 2018 la procedura di Amministrazione Straordinaria della nota Mercatone Uno aveva venduto ben 55 punti vendita. La Shernon Holding si era impegnata a preservare i posti di lavoro e la continuità occupazionale.

Tuttavia il 23 maggio 2019 il Tribunale di Milano ha dichiarato il fallimento proprio della Shernon Holding, con la conseguenza che sono definitivamente rimasti disattesi tutti i buoni propositi di tale società di mantenere la continuità occupazionale.

La Shernon Holding è stata dichiarata fallita dopo l’estremo tentativo di porre rimedio alla sua crisi economica attraverso il ricorso alla procedura di concordato preventivo di cui agli artt. 160 e segg. della Legge Fallimentare. Tuttavia tale tentativo è purtroppo naufragato a causa della forte esposizione debitoria della Shernon Holding, la quale sembra avesse raggiunto dal mese di agosto 2018 ad oggi la consistente misura di 90 milioni di euro.

Orbene notizie di cronaca riferiscono che, all’indomani della sentenza dichiarativa di fallimento, Shernon Holding avrebbe comunicato ai 1860 dipendenti di Mercatone Uno di non presentarsi più al lavoro.

Ancora una volta emerge l’assoluta inadeguatezza dell’impianto normativo della Legge Fallimentare del 1942 a tutelare diritti ed interessi diversi da quelli proprio dei creditori.

Nella Legge Fallimentare non trovano tutela interessi diversi, come ad esempio l’interesse dei lavoratori al mantenimento del proprio posto di lavoro. Ne consegue che oggi, per i dipendenti di Mercatone Uno, a causa della dichiarazione di fallimento della Shernon Holding si palesa forte il rischio di perdere quel posto di lavoro che invece – attraverso la precedente fase dell’Amministrazione Straordinaria – si era voluto salvaguardare ad ogni costo.

Il passaggio dalla procedura di Amministrazione Straordinaria al Fallimento – una procedura che come abbiamo detto non contempla norme a tutela dei posti di lavoro – è stato da questo punto di vista a dir poco fatale.

Nella procedura fallimentare non si è mai riusciti a contemperare due principi costituzionalmente garantiti della “libertà dell’iniziativa economica” (art. 41 della Costituzione) e del “diritto al lavoro” (art. 4 della Costituzione).

Per effetto si è venuto a generare un sistema in cui se da un lato il codice civile adottato nel 1942 disponeva all’art. 2086 che “l’imprenditore è il capo dell’impresa e da lui dipendono gerarchicamente i suoi collaboratori”, dall’altro la Costituzione della Repubblica Italiana del 1948 impose alla liberà di iniziativa economica dell’imprenditore il limite del naturale rispetto di altri diritti parimenti fondamentali e da tutelare in ogni modo, primo fra tutti il “diritto al lavoro”.

Tuttavia nella Legge Fallimentare – coeva rispetto all’entrata in vigore del codice civile in quanto introdotta con il R.D. n. 267 del 1942 – di tale limite rappresentato dal rispetto del diritto dei dipendenti dell’impresa al mantenimento del loro posto di lavoro non si tenne adeguatamente conto, con il conseguente risultato che la disciplina del “fallimento” contenuta nella legge fallimentare non ha previsto norme a tutela del diritto dei lavoratori al “mantenimento del posto di lavoro”.

Parimenti non si ritenne opportuno, nemmeno negli decenni successivi, apportare alla disciplina del fallimento le opportune modifiche e ciò in quanto dottrina e giurisprudenza si trincerarono dietro la considerazione che – visto che il paradigma dell’insolvenza è rappresentato dall’inadempimento e quindi dal rapporto obbligatorio – solo i creditori dovessero trovare adeguata tutela nel contesto fallimentare e non anche i soggetti titolari di interessi diversi come, per l’appunto, i lavoratori interessati al mantenimento del posto di lavoro.

Solo negli anni ’70 vi fu da parte dello Stato una decisa presa di posizione e si iniziò ad avvertire la necessità che nella risoluzione della crisi d’impresa trovassero adeguata tutela anche interessi diversi dal diritto dei creditori al soddisfacimento del credito, come ad esempio il diritto dei lavoratori al mantenimento del posto del lavoro.

Allora, con la “legge Prodi” 95/79 venne introdotta nell’ordinamento concorsuale italiano la procedura di “Amministrazione Straordinaria delle Grandi imprese in crisi”, a cui ricorrere ogni volta in cui la crisi d’impresa fosse di dimensioni tali da coinvolgere interessi ulteriori e parimenti meritevoli di tutela, primo l’interesse al mantenimento dei livelli occupazionali.

Quanto sopra esposto rende evidente la situazione nella quale si sono venuti a trovare i dipendenti della Mercatone Uno che nell’agosto 2018 sono passati – per effetto dell’acquisto di 55 punti vendita dalla precedente procedura di Amministrazione Straordinaria – alle dipendenze della Shernon Holding.

Infatti, finchè la situazione dei dipendenti dei 55 punti vendita dell’impresa Mercatone Uno è stata sotto il governo ed il controllo degli organi della procedura di Amministrazione Straordinaria, si è tenuto adeguatamente conto dell’esigenza di salvaguardare i livelli occupazionali e, proprio coerentemente con tale impostazione, i 55 punti vendita in discorso erano stati trasferiti alla Shernon Holding in considerazione dell’impegno di quest’ultima a preservare i posti di lavoro e la continuità occupazionale.

Ora invece, con la dichiarazione di fallimento della Shernon Holding (acquirente del 55 punti vendita), il diritto dei dipendenti al mantenimento del posto di lavoro è fortemente a rischio e per essi si palesa lo spettro del licenziamento.

Alla stregua di quanto sopra esposto non può che valutarsi positivamente l’idea, che proprio in questi giorni si sta valutando, della retrocessione all’Amministrazione Straordinaria dell’intero compendio.

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Dall’amministrazione straordinaria al fallimento. La vicenda dei dipendenti di Mercatone Uno

Recentissime notizie di cronaca riferiscono dell’intervenuta dichiarazione di fallimento della società Shernon Holding, vale a dire della società alla quale nel mese di agosto 2018 la procedura di Amministrazione Straordinaria della nota Mercatone Uno aveva venduto ben 55 punti vendita. La Shernon Holding si era impegnata a preservare i posti di lavoro e la continuità occupazionale.

Tuttavia il 23 maggio 2019 il Tribunale di Milano ha dichiarato il fallimento proprio della Shernon Holding, con la conseguenza che sono definitivamente rimasti disattesi tutti i buoni propositi di tale società di mantenere la continuità occupazionale.

La Shernon Holding è stata dichiarata fallita dopo l’estremo tentativo di porre rimedio alla sua crisi economica attraverso il ricorso alla procedura di concordato preventivo di cui agli artt. 160 e segg. della Legge Fallimentare. Tuttavia tale tentativo è purtroppo naufragato a causa della forte esposizione debitoria della Shernon Holding, la quale sembra avesse raggiunto dal mese di agosto 2018 ad oggi la consistente misura di 90 milioni di euro.

Orbene notizie di cronaca riferiscono che, all’indomani della sentenza dichiarativa di fallimento, Shernon Holding avrebbe comunicato ai 1860 dipendenti di Mercatone Uno di non presentarsi più al lavoro.

Ancora una volta emerge l’assoluta inadeguatezza dell’impianto normativo della Legge Fallimentare del 1942 a tutelare diritti ed interessi diversi da quelli proprio dei creditori.

Nella Legge Fallimentare non trovano tutela interessi diversi, come ad esempio l’interesse dei lavoratori al mantenimento del proprio posto di lavoro. Ne consegue che oggi, per i dipendenti di Mercatone Uno, a causa della dichiarazione di fallimento della Shernon Holding si palesa forte il rischio di perdere quel posto di lavoro che invece – attraverso la precedente fase dell’Amministrazione Straordinaria – si era voluto salvaguardare ad ogni costo.

Il passaggio dalla procedura di Amministrazione Straordinaria al Fallimento – una procedura che come abbiamo detto non contempla norme a tutela dei posti di lavoro – è stato da questo punto di vista a dir poco fatale.

Nella procedura fallimentare non si è mai riusciti a contemperare due principi costituzionalmente garantiti della “libertà dell’iniziativa economica” (art. 41 della Costituzione) e del “diritto al lavoro” (art. 4 della Costituzione).

Per effetto si è venuto a generare un sistema in cui se da un lato il codice civile adottato nel 1942 disponeva all’art. 2086 che “l’imprenditore è il capo dell’impresa e da lui dipendono gerarchicamente i suoi collaboratori”, dall’altro la Costituzione della Repubblica Italiana del 1948 impose alla liberà di iniziativa economica dell’imprenditore il limite del naturale rispetto di altri diritti parimenti fondamentali e da tutelare in ogni modo, primo fra tutti il “diritto al lavoro”.

Tuttavia nella Legge Fallimentare – coeva rispetto all’entrata in vigore del codice civile in quanto introdotta con il R.D. n. 267 del 1942 – di tale limite rappresentato dal rispetto del diritto dei dipendenti dell’impresa al mantenimento del loro posto di lavoro non si tenne adeguatamente conto, con il conseguente risultato che la disciplina del “fallimento” contenuta nella legge fallimentare non ha previsto norme a tutela del diritto dei lavoratori al “mantenimento del posto di lavoro”.

Parimenti non si ritenne opportuno, nemmeno negli decenni successivi, apportare alla disciplina del fallimento le opportune modifiche e ciò in quanto dottrina e giurisprudenza si trincerarono dietro la considerazione che – visto che il paradigma dell’insolvenza è rappresentato dall’inadempimento e quindi dal rapporto obbligatorio – solo i creditori dovessero trovare adeguata tutela nel contesto fallimentare e non anche i soggetti titolari di interessi diversi come, per l’appunto, i lavoratori interessati al mantenimento del posto di lavoro.

Solo negli anni ’70 vi fu da parte dello Stato una decisa presa di posizione e si iniziò ad avvertire la necessità che nella risoluzione della crisi d’impresa trovassero adeguata tutela anche interessi diversi dal diritto dei creditori al soddisfacimento del credito, come ad esempio il diritto dei lavoratori al mantenimento del posto del lavoro.

Allora, con la “legge Prodi” 95/79 venne introdotta nell’ordinamento concorsuale italiano la procedura di “Amministrazione Straordinaria delle Grandi imprese in crisi”, a cui ricorrere ogni volta in cui la crisi d’impresa fosse di dimensioni tali da coinvolgere interessi ulteriori e parimenti meritevoli di tutela, primo l’interesse al mantenimento dei livelli occupazionali.

Quanto sopra esposto rende evidente la situazione nella quale si sono venuti a trovare i dipendenti della Mercatone Uno che nell’agosto 2018 sono passati – per effetto dell’acquisto di 55 punti vendita dalla precedente procedura di Amministrazione Straordinaria – alle dipendenze della Shernon Holding.

Infatti, finchè la situazione dei dipendenti dei 55 punti vendita dell’impresa Mercatone Uno è stata sotto il governo ed il controllo degli organi della procedura di Amministrazione Straordinaria, si è tenuto adeguatamente conto dell’esigenza di salvaguardare i livelli occupazionali e, proprio coerentemente con tale impostazione, i 55 punti vendita in discorso erano stati trasferiti alla Shernon Holding in considerazione dell’impegno di quest’ultima a preservare i posti di lavoro e la continuità occupazionale.

Ora invece, con la dichiarazione di fallimento della Shernon Holding (acquirente del 55 punti vendita), il diritto dei dipendenti al mantenimento del posto di lavoro è fortemente a rischio e per essi si palesa lo spettro del licenziamento.

Alla stregua di quanto sopra esposto non può che valutarsi positivamente l’idea, che proprio in questi giorni si sta valutando, della retrocessione all’Amministrazione Straordinaria dell’intero compendio.

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