Docente assente da scuola per 20 anni su 24, destituita dalla Cassazione
Con la recentissima sentenza n. 17897 del 22 giugno 2023, la Suprema Corte di Cassazione, confermando quanto stabilito dalla Corte di Appello di Venezia nel 2021, ha definitivamente destituito una docente assenteista che ha disertato le aule scolastiche per venti dei suoi ventiquattro anni totali di servizio.
In merito alla vicenda processuale, nel 2018 il giudice del lavoro, in primo grado, aveva dichiarato illegittimo il provvedimento di destituzione nei confronti dell’insegnante ritenendo che, nonostante “la disorganizzazione e faciloneria” della docente, l’ispezione di tre giorni, in base alla quale siffatto provvedimento era stato emanato, fosse un periodo di osservazione “troppo breve” per certificare “una inettitudine assoluta e permanente”.
In seguito all’impugnazione della sentenza di primo grado da parte del M.I.U.R., nel 2021 la Corte di Appello di Venezia, ribaltando la decisione del giudice di prima istanza, ha ritenuto la destituzione “legittima e proporzionata”.
Avverso la decisione della Corte di Appello di Venezia, la docente ha esperito ricorso in Cassazione incentrando la sua difesa principalmente sulla libertà di insegnamento e sulla sua tutela imprescindibile.
Orbene, gli ermellini hanno specificato che, nonostante il concetto di libertà didattica “comprenda certamente una autonomia nella scelta di metodi appropriati di insegnamento” questo “non significa che l’insegnante possa non attuare alcun metodo o che possa non organizzare e non strutturare le lezioni”. Nello specifico, le assenze della docente erano provate dalle testimonianze degli alunni e da quelle dei loro genitori.
Inoltre, tale libertà, sottolineano i giudici di legittimità, “è intesa come autonomia didattica diretta e funzionale a una piena formazione della personalità degli alunni, titolari di un vero e proprio diritto allo studio”. Essa, dunque, non è fine a sé stessa poiché “il suo esercizio costituisce il modo per garantire il diritto allo studio di ogni alunno e, in ultima analisi, la piena formazione della personalità dei discenti”.
In ultima analisi, la Corte di Cassazione ha riconosciuto la condotta della docente assenteista come “un’inettitudine permanente e assoluta” che giustifica il provvedimento di destituzione dell’insegnante.
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In merito alla vicenda processuale, nel 2018 il giudice del lavoro, in primo grado, aveva dichiarato illegittimo il provvedimento di destituzione nei confronti dell’insegnante ritenendo che, nonostante “la disorganizzazione e faciloneria” della docente, l’ispezione di tre giorni, in base alla quale siffatto provvedimento era stato emanato, fosse un periodo di osservazione “troppo breve” per certificare “una inettitudine assoluta e permanente”.
In seguito all’impugnazione della sentenza di primo grado da parte del M.I.U.R., nel 2021 la Corte di Appello di Venezia, ribaltando la decisione del giudice di prima istanza, ha ritenuto la destituzione “legittima e proporzionata”.
Avverso la decisione della Corte di Appello di Venezia, la docente ha esperito ricorso in Cassazione incentrando la sua difesa principalmente sulla libertà di insegnamento e sulla sua tutela imprescindibile.
Orbene, gli ermellini hanno specificato che, nonostante il concetto di libertà didattica “comprenda certamente una autonomia nella scelta di metodi appropriati di insegnamento” questo “non significa che l’insegnante possa non attuare alcun metodo o che possa non organizzare e non strutturare le lezioni”. Nello specifico, le assenze della docente erano provate dalle testimonianze degli alunni e da quelle dei loro genitori.
Inoltre, tale libertà, sottolineano i giudici di legittimità, “è intesa come autonomia didattica diretta e funzionale a una piena formazione della personalità degli alunni, titolari di un vero e proprio diritto allo studio”. Essa, dunque, non è fine a sé stessa poiché “il suo esercizio costituisce il modo per garantire il diritto allo studio di ogni alunno e, in ultima analisi, la piena formazione della personalità dei discenti”.
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