Danno da straining, l'azienda deve risarcire il proprio dipendente
La Suprema Corte di Cassazione con ordinanza N.33428 dell’11 novembre 2022, ha sancito la risarcibilità del danno non patrimoniale da straining.
Lo straining indica una situazione di elevato stress subita sul posto di lavoro in cui la vittima, il lavoratore, subisce una o più azioni ostili e stressanti che si protraggono nel tempo.
Il caso nasce da un ricorso al Giudice di legittimità per la riforma della sentenza resa dalla Corte d’Appello di Genova nei confronti di un informatore scientifico a cui non veniva riconosciuta la risarcibilità del danno suddetto.
Il ricorrente lamentava già in primo grado danni derivanti da grave demansionamento e da mobbing effettuato da parte del capo area. Infatti, il Tribunale di prime cure aveva constatato e condannato l’azienda stessa al risarcimento del danno biologico, del danno alla dignità e all’immagine personale e professionale del dipendente.
Di tale avviso però non era il Giudice di secondo grado che riformando la sentenza aveva stabilito che il comportamento del capo area non configurasse gli estremi del mobbing e che la contestazione delle mansioni affidate al lavoratore fossero stata fatta con estremo ritardo.
Tuttavia, la Suprema Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del lavoratore per violazione e falsa applicazione dell’art 2087 c.c. in relazione all’art 2103 c.c. nonché dell’art 122 del D.lgs. n. 219/2006 ed inoltre per errata valutazione nel ritenere aderente alla professionalità del ricorrente il suo essere sottoposto alla direzione marketing.
Gli articoli su menzionati impongono da un lato obblighi in capo al datore di lavoro di garantire che i soggetti posti alle sue dipendenze non subiscano, nello svolgimento delle loro attività, danni alla salute ed inoltre stabiliscono la regola generale per cui il lavoratore ha diritto di svolgere mansioni corrispondenti al suo inquadramento.
Pertanto, viene configurata una responsabilità in capo al datore di lavoro con conseguente risarcimento del danno in capo al lavoratore per inadempimento dei propri doveri di tutela della salute fisica e psichica dei lavoratori.
Dott.ssa Veronica Venturi
Dott. Emilio Brogna
Danno da straining, l'azienda deve risarcire il proprio dipendente
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Il caso nasce da un ricorso al Giudice di legittimità per la riforma della sentenza resa dalla Corte d’Appello di Genova nei confronti di un informatore scientifico a cui non veniva riconosciuta la risarcibilità del danno suddetto.
Il ricorrente lamentava già in primo grado danni derivanti da grave demansionamento e da mobbing effettuato da parte del capo area. Infatti, il Tribunale di prime cure aveva constatato e condannato l’azienda stessa al risarcimento del danno biologico, del danno alla dignità e all’immagine personale e professionale del dipendente.
Di tale avviso però non era il Giudice di secondo grado che riformando la sentenza aveva stabilito che il comportamento del capo area non configurasse gli estremi del mobbing e che la contestazione delle mansioni affidate al lavoratore fossero stata fatta con estremo ritardo.
Tuttavia, la Suprema Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del lavoratore per violazione e falsa applicazione dell’art 2087 c.c. in relazione all’art 2103 c.c. nonché dell’art 122 del D.lgs. n. 219/2006 ed inoltre per errata valutazione nel ritenere aderente alla professionalità del ricorrente il suo essere sottoposto alla direzione marketing.
Gli articoli su menzionati impongono da un lato obblighi in capo al datore di lavoro di garantire che i soggetti posti alle sue dipendenze non subiscano, nello svolgimento delle loro attività, danni alla salute ed inoltre stabiliscono la regola generale per cui il lavoratore ha diritto di svolgere mansioni corrispondenti al suo inquadramento.
Pertanto, viene configurata una responsabilità in capo al datore di lavoro con conseguente risarcimento del danno in capo al lavoratore per inadempimento dei propri doveri di tutela della salute fisica e psichica dei lavoratori.
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