Crisi d'Impresa e continuità aziendale
Nel nostro ordinamento giuridico ad oggi manca una definizione dello stato di “crisi”.
Infatti l’art. 160 della Legge Fallimentare si limita a prevedere la “crisi” quale presupposto soggettivo per accedere alla procedura concordataria, ma non la definisce né indica quali sono i relativi sintomi od indici rilevatori.
Nell’assenza di una definizione normativa dello stato di “crisi” gli imprenditori, e i loro professionisti, hanno allora tentato di estrapolare il concetto di crisi da altre fonti che, pur essendo estranee alla Legge Fallimentare, riguardano comunque il medesimo ambito di disciplina.
In modo particolare molti operatori hanno tentato di espungere, sia pure indirettamente, la nozione di “crisi” dalla previsione di cui all’art. 2467 del codice civile che, disciplinando la postergazione del diritto alla restituzione dei finanziamenti concessi dai soci, dispone che sono postergati i finanziamenti concessi sotto qualsiasi forma “in un momento in cui risulta un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto”.
Da tale previsione è quindi sorta l’idea che la crisi consista in uno squilibrio della situazione economico – finanziaria dell’impresa verificabile alla stregua del c.d. “quoziente di indebitamento”.
Altri operatori hanno ritenuto di fare riferimento alla definizione della crisi contenuta nella ”Informativa e valutazione nella crisi d’impresa” elaborata dal CNDCEC il 30 ottobre 2015, secondo cui la crisi d’impresa sarebbe “una perturbazione o improvvisa modificazione di un’attività economica organizzata, prodotta da molteplici cause ora interne al singolo organismo ora esterne ma comunque capaci di minarne l’esistenza o la continuità”.
Dall’insieme di queste due definizioni è quindi stata introdotta una definizione della crisi di impresa come condizione di squilibrio economico e finanziario (come desumibile dall’art. 2467 del codice civile) idoneo a compromettere la continuità aziendale (come desumibile dalla “informativa e valutazione nella crisi d’impresa” elaborata dal CNDCEC nel 2015).
L’alterazione dell’equilibrio economico e finanziario dell’impresa determina, quindi, una conseguente alterazione del suo equilibrio economico generale e l’insorgere di uno stato di crisi.
La legge delega n. 155/2017 per la riforma organica della disciplina della crisi d’impresa e dell’insolvenza, approvata il 19 ottobre 2017, attraverso il principio indicato all’art. 2, lettera c), affida al Governo il compito di introdurre nel nostro ordinamento “una definizione dello stato di crisi, intesa come probabilità di futura insolvenza, anche tenendo conto delle elaborazioni della scienza aziendalistica” (Link Legge 19 ottobre 2017, n. 155 – Gazzetta Ufficiale).
L’introduzione di una definizione unica della crisi d’impresa dovrebbe, quindi, sciogliere ogni possibile dubbio interpretativo circa l’esatta identificazione dello status di “crisi” d’impresa.
In ogni caso è fondamentale che l’imprenditore che ritenga di trovarsi in uno stato di crisi si rivolga, quanto prima, ad un professionista esperto in materia concorsuale e che esponga a quest’ultimo le proprie ragioni di sospetto e preoccupazione.
Il professionista, attraverso un’analisi della realtà aziendale e un accurato studio dell’evolversi della situazione, potrà essere un valido ausilio per dissipare ogni eventuale timore dell’imprenditore o, invece, per fargli acquisire la consapevolezza che la crisi è imminente ed occorre attivarsi quanto prima per impedirne l’insorgere.
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In modo particolare molti operatori hanno tentato di espungere, sia pure indirettamente, la nozione di “crisi” dalla previsione di cui all’art. 2467 del codice civile che, disciplinando la postergazione del diritto alla restituzione dei finanziamenti concessi dai soci, dispone che sono postergati i finanziamenti concessi sotto qualsiasi forma “in un momento in cui risulta un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto”.
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