Le criptovalute sono strumenti finanziari: l'ultima pronuncia della Cassazione
Le criptovalute devono qualificarsi alla stregua di un prodotto o strumento finanziario e, conseguentemente, risulta applicabile a tutti coloro che svolgano attività di “exchanger” di monete virtuali la normativa in tema di intermediazione finanziaria disposta dal T.U.F. agli artt. 94 e seguenti. È questa l’innovativa posizione assunta dalla Corte di Cassazione, II Sezione Penale, con la recentissima sentenza n. 44378/2022, la quale ha fatto notevole chiarezza su un tema altamente dibattuto data l’inafferrabilità concettuale, al livello giuridico, che da sempre connota le monete virtuali.
La Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi su ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica di Brescia, il quale aveva impugnato l’ordinanza emessa dal Tribunale del Riesame di Brescia con la quale era stata rigettata la richiesta del PM di disporre il sequestro preventivo di circa 30 bitcoin per il reato di cui all’art. 648-ter1 c.p. (autoriciclaggio), essendo questi proventi del reato di cui all’art. 166 T.U.F. (che punisce chiunque offre – fuori sede e in mancanza dei requisiti professionali richiesti – o promuove e colloca mediante comunicazione a distanza prodotti o strumenti finanziari, o attività d’investimento).
La Suprema Corte, ponendosi in linea con altre pronunce precedentemente adottate da alcuni Tribunali di Merito (Tribunale di Verona nel 2017), ha ritenuto che le monete virtuali acquistate e scambiate su piattaforme virtuali debbano qualificarsi come “prodotti o strumenti finanziari”, dato che presentano tutti i requisiti distintivi di un investimento, ossia:
- un impiego di capitali (che può consistere anche in altre monete virtuali);
- un’aspettativa di rendimento o di produzione di un utile;
- un rischio d’investimento direttamente correlato al capitale investito.
Sulla base di tali argomentazioni, pertanto, la Corte di Cassazione giunge alla conclusione che: “La moneta virtuale deve essere considerata uno strumento di investimento perché consiste in un prodotto finanziario, per cui deve essere disciplinata con le norme in tema di intermediazione finanziaria (art. 94 e ss. TUF), le quali garantiscono […] la tutela dell’investimento”.
Dunque, chi opera su piattaforme virtuali di exchange di criptovalute e ricopre il ruolo di exchanger è giuridicamente equiparato alla figura dell’intermediario finanziario, come definito dal TUF, e conseguentemente è tenuto al rispetto di tutti gli obblighi informativi posti a loro carico affinché i consumatori siano edotti dei contenuti contrattuali e del rischio di capitale connesso all’operazione che stanno per compiere.
Da ultimo, dalle argomentazioni offerte dalla Suprema Corte discende che tutte le ipotesi di reato previste dal TUF in capo a soggetti che operano quali intermediari finanziati siano configurabili anche in capo ai c.d. exchanger che svolgono attività di intermediazione di criptovalute su piattaforme di scambio virtuali.
Dott. Alberto Grassi
Le criptovalute sono strumenti finanziari: l'ultima pronuncia della Cassazione
Le criptovalute devono qualificarsi alla stregua di un prodotto o strumento finanziario e, conseguentemente, risulta applicabile a tutti coloro che svolgano attività di “exchanger” di monete virtuali la normativa in tema di intermediazione finanziaria disposta dal T.U.F. agli artt. 94 e seguenti. È questa l’innovativa posizione assunta dalla Corte di Cassazione, II Sezione Penale, con la recentissima sentenza n. 44378/2022, la quale ha fatto notevole chiarezza su un tema altamente dibattuto data l’inafferrabilità concettuale, al livello giuridico, che da sempre connota le monete virtuali.
La Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi su ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica di Brescia, il quale aveva impugnato l’ordinanza emessa dal Tribunale del Riesame di Brescia con la quale era stata rigettata la richiesta del PM di disporre il sequestro preventivo di circa 30 bitcoin per il reato di cui all’art. 648-ter1 c.p. (autoriciclaggio), essendo questi proventi del reato di cui all’art. 166 T.U.F. (che punisce chiunque offre – fuori sede e in mancanza dei requisiti professionali richiesti – o promuove e colloca mediante comunicazione a distanza prodotti o strumenti finanziari, o attività d’investimento).
La Suprema Corte, ponendosi in linea con altre pronunce precedentemente adottate da alcuni Tribunali di Merito (Tribunale di Verona nel 2017), ha ritenuto che le monete virtuali acquistate e scambiate su piattaforme virtuali debbano qualificarsi come “prodotti o strumenti finanziari”, dato che presentano tutti i requisiti distintivi di un investimento, ossia:
- un impiego di capitali (che può consistere anche in altre monete virtuali);
- un’aspettativa di rendimento o di produzione di un utile;
- un rischio d’investimento direttamente correlato al capitale investito.
Sulla base di tali argomentazioni, pertanto, la Corte di Cassazione giunge alla conclusione che: “La moneta virtuale deve essere considerata uno strumento di investimento perché consiste in un prodotto finanziario, per cui deve essere disciplinata con le norme in tema di intermediazione finanziaria (art. 94 e ss. TUF), le quali garantiscono […] la tutela dell’investimento”.
Dunque, chi opera su piattaforme virtuali di exchange di criptovalute e ricopre il ruolo di exchanger è giuridicamente equiparato alla figura dell’intermediario finanziario, come definito dal TUF, e conseguentemente è tenuto al rispetto di tutti gli obblighi informativi posti a loro carico affinché i consumatori siano edotti dei contenuti contrattuali e del rischio di capitale connesso all’operazione che stanno per compiere.
Da ultimo, dalle argomentazioni offerte dalla Suprema Corte discende che tutte le ipotesi di reato previste dal TUF in capo a soggetti che operano quali intermediari finanziati siano configurabili anche in capo ai c.d. exchanger che svolgono attività di intermediazione di criptovalute su piattaforme di scambio virtuali.
Dott. Alberto Grassi
Recent posts.
Ritardo di 40 minuti al lavoro, vigilante licenziato: per la Cassazione il provvedimento è legittimo
Un uomo impiegato in attività di sicurezza presso una banca ha impugnato in tribunale il suo licenziamento, avvenuto a causa di un ritardo di 40 minuti. Se in primo grado il suo ricorso era stato [...]
Nella pronuncia del 4 Novembre la Suprema Corte di Cassazione ha dichiarato illegittimo sottoporre il personale sanitario a eccessivi turni di reperibilità. Questo viene annunciato dal Codacons che riporta un’ordinanza della Corte di Cassazione riconoscendo [...]
Con la sentenza n. 30532/24 RG. n. 3103/2024, la Corte di Cassazione Sez III. Penale si è pronunciata sul ricorso avverso la sentenza emessa dalla Corte di Appello di Lecce in data 05/07/2023, annullando quest'ultima [...]
Recent posts.
Ritardo di 40 minuti al lavoro, vigilante licenziato: per la Cassazione il provvedimento è legittimo
Un uomo impiegato in attività di sicurezza presso una banca ha impugnato in tribunale il suo licenziamento, avvenuto a causa di un ritardo di 40 minuti. Se in primo grado il suo ricorso era stato [...]
Nella pronuncia del 4 Novembre la Suprema Corte di Cassazione ha dichiarato illegittimo sottoporre il personale sanitario a eccessivi turni di reperibilità. Questo viene annunciato dal Codacons che riporta un’ordinanza della Corte di Cassazione riconoscendo [...]