Condono edilizio: nuovi chiarimenti dalla Corte di Cassazione
Il procedimento del Primo Condono edilizio, contenuto nella L. 47/85, prevede una ristretta possibilità di proseguire i lavori di completamento di immobile abusivo “ultimato”, da intendersi come tale qualora sia stato eseguito il rustico e completata la copertura.
Laddove invece si tratti di opere interne agli edifici già esistenti ovvero non destinate alla residenza, tale possibilità di prosecuzione dei lavori sussiste solo quando esse siano state completate funzionalmente.
Trattasi comunque di un’eccezione alla regola generale, la quale impone il divieto di proseguimento di opere su immobili e manufatti abusivi: realizzati, cioè, senza idoneo titolo abilitativo.
Vero è che, se da una parte è ammesso il completamento delle parti abusive – sia pur nel rispetto delle diverse condizioni imposte dall’articolo 35 comma 14 L. 47/1985 – dall’altra non è consentito sanare interventi effettuati sull’immobile abusivo dopo la presentazione dell’istanza.
Ma una disciplina ancor più restrittiva rispetto a quella posta dalla legge n. 47/1985, è quella relativa al c.d. “Terzo Condono edilizio”, di cui alla legge 326/2003, avente ad oggetto gli abusi, per così dire, “maggiori”.
Quest’ultima, infatti, fissa limiti più stringenti, escludendo la possibilità di ottenere il condono nelle zone sottoposte a vincolo paesaggistico qualora si rinvengano contestualmente due specifiche condizioni ostative, i.e.:
- a) il vincolo di inedificabilità, anche relativa, preesistente all’esecuzione delle opere abusive;
- b) le opere realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo non conformi alle norme e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici.
In questi casi, neppure a fronte del parere positivo dell’autorità preposta alla tutela del vincolo, potrà superarsi la c.d. “incondonabilità”.
Sul delicato tema del c.d. “Terzo Condono edilizio”, peraltro, maggiori chiarimenti sono pervenuti dalla Corte di Cassazione, la quale, con la recente sentenza del 24 ottobre 2023, n. 43249, ha giudicato inammissibile il ricorso presentato dal responsabile di diversi abusi edilizi, sottolineando che, nel caso di specie, si trattava di interventi di notevole rilevanza.
La Suprema Corte, infatti, precisa che “in tema di abusi edilizi commessi in aree sottoposte a vincolo paesaggistico, il condono previsto dal D.L. n. 269 del 2003, art. 32 (convertito, con modificazioni, dalla L. n. 326 del 2003) è applicabile esclusivamente agli interventi di minore rilevanza indicati ai numeri 4, 5 e 6 dell’allegato 1 del citato D.L. (restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria, non emergenti nel caso di specie) e previo parere favorevole dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo”.
A contrario, sempre alla luce di quanto statuito dagli ermellini, non sono in alcun modo suscettibili di sanatoria le opere abusive di cui ai numeri 1, 2 e 3 del medesimo allegato, anche se l’area è sottoposta a vincolo di inedificabilità relativa e gli interventi risultano conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici.
Ugualmente, il rilascio postumo dell’autorizzazione paesaggistica, – al di fuori dei limiti in cui essa è consentita ai sensi dell’art. 167, commi 4 e 5, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (ovvero per interventi minimali tipizzati) – non essendo permessa la sanatoria urbanistica ex art. 36 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, non produce alcun effetto estintivo dei reati edilizi, né preclude l’emissione dell’ordine di rimessione in pristino dell’immobile abusivo edificato in zona vincolata.
Dott.ssa Luana Di Giovanni
Condono edilizio: nuovi chiarimenti dalla Corte di Cassazione
Il procedimento del Primo Condono edilizio, contenuto nella L. 47/85, prevede una ristretta possibilità di proseguire i lavori di completamento di immobile abusivo “ultimato”, da intendersi come tale qualora sia stato eseguito il rustico e completata la copertura.
Laddove invece si tratti di opere interne agli edifici già esistenti ovvero non destinate alla residenza, tale possibilità di prosecuzione dei lavori sussiste solo quando esse siano state completate funzionalmente.
Trattasi comunque di un’eccezione alla regola generale, la quale impone il divieto di proseguimento di opere su immobili e manufatti abusivi: realizzati, cioè, senza idoneo titolo abilitativo.
Vero è che, se da una parte è ammesso il completamento delle parti abusive – sia pur nel rispetto delle diverse condizioni imposte dall’articolo 35 comma 14 L. 47/1985 – dall’altra non è consentito sanare interventi effettuati sull’immobile abusivo dopo la presentazione dell’istanza.
Ma una disciplina ancor più restrittiva rispetto a quella posta dalla legge n. 47/1985, è quella relativa al c.d. “Terzo Condono edilizio”, di cui alla legge 326/2003, avente ad oggetto gli abusi, per così dire, “maggiori”.
Quest’ultima, infatti, fissa limiti più stringenti, escludendo la possibilità di ottenere il condono nelle zone sottoposte a vincolo paesaggistico qualora si rinvengano contestualmente due specifiche condizioni ostative, i.e.:
- a) il vincolo di inedificabilità, anche relativa, preesistente all’esecuzione delle opere abusive;
- b) le opere realizzate in assenza o in difformità del titolo abilitativo non conformi alle norme e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici.
In questi casi, neppure a fronte del parere positivo dell’autorità preposta alla tutela del vincolo, potrà superarsi la c.d. “incondonabilità”.
Sul delicato tema del c.d. “Terzo Condono edilizio”, peraltro, maggiori chiarimenti sono pervenuti dalla Corte di Cassazione, la quale, con la recente sentenza del 24 ottobre 2023, n. 43249, ha giudicato inammissibile il ricorso presentato dal responsabile di diversi abusi edilizi, sottolineando che, nel caso di specie, si trattava di interventi di notevole rilevanza.
La Suprema Corte, infatti, precisa che “in tema di abusi edilizi commessi in aree sottoposte a vincolo paesaggistico, il condono previsto dal D.L. n. 269 del 2003, art. 32 (convertito, con modificazioni, dalla L. n. 326 del 2003) è applicabile esclusivamente agli interventi di minore rilevanza indicati ai numeri 4, 5 e 6 dell’allegato 1 del citato D.L. (restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria, non emergenti nel caso di specie) e previo parere favorevole dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo”.
A contrario, sempre alla luce di quanto statuito dagli ermellini, non sono in alcun modo suscettibili di sanatoria le opere abusive di cui ai numeri 1, 2 e 3 del medesimo allegato, anche se l’area è sottoposta a vincolo di inedificabilità relativa e gli interventi risultano conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici.
Ugualmente, il rilascio postumo dell’autorizzazione paesaggistica, – al di fuori dei limiti in cui essa è consentita ai sensi dell’art. 167, commi 4 e 5, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (ovvero per interventi minimali tipizzati) – non essendo permessa la sanatoria urbanistica ex art. 36 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, non produce alcun effetto estintivo dei reati edilizi, né preclude l’emissione dell’ordine di rimessione in pristino dell’immobile abusivo edificato in zona vincolata.
Dott.ssa Luana Di Giovanni
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