Published On: 6 Novembre 2016Categories: Articoli, Diritto commerciale e societario, Flavia Lucchetti

Concorrenza sleale, l'ultimo episodio della vicenda Esselunga

A poco tempo dalla scomparsa del patron della catena di supermercati Esselunga, Bernardo Caprotti, la Suprema Corte riapre una questione che da lungo tempo lo vedeva coinvolto in una lotta concorrenziale contro le cooperative. La Coop Estense, infatti, lo aveva citato in giudizio richiedendo la condanna al risarcimento dei danni per essere stata diffamata ed essere stata oggetto di concorrenza sleale sulla base delle informazioni contenute nel libro di Caprotti, “Falce e Carrello”.

Nel suo scritto il defunto imprenditore denunciava la Lega delle cooperative descrivendo come, grazie ai rapporti con la politica, al trattamento fiscale vantaggioso delle cooperative, nonché ad azioni di concorrenza massive sul mercato, la Coop Estense avesse realizzato alti profitti, a scapito anche di Esselunga e dei consumatori.

La cooperativa non aveva soddisfazione né in primo grado, né in appello. Ricorreva pertanto in Cassazione, ed i giudici accoglievano il ricorso, rinviando alla Corte d’Appello, pur giudicando infondati alcuni motivi del ricorso, basato sulla violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c. (Risarcimento per fatto illecito) e art. 595 c.p. (Diffamazione).

Tra gli errori commessi dai giudici del secondo grado, ha pesato particolarmente l’aver considerato il libro – contenente anche una prefazione di un giornalista e di un economista – alla stregua di un’opera artistico-letteraria, che in virtù della sua natura, gode della esimente del diritto di critica e di manifestazione del pensiero e di aver legittimato l’azione denigratoria nei confronti della Coop Estense. Anche nel caso di specie, in cui le notizie e gli apprezzamenti fatti si sono rivelati veritieri, gli autori del libro sono incorsi nella violazione dell’art. 2598 c.c., poiché la divulgazione è stata fatta in maniera subdola e tendenziosa (concorde da tempo la giurisprudenza, vedi Cass. n.2020/1982). Sarebbe stato inoltre superato il requisito della continenza, poiché Caprotti aveva usato espressioni forti e denigratorie nei confronti della cooperativa e del suo presidente, motivo che ha contribuito alla decisione di cassare la sentenza impugnata.

Dott.ssa Flavia Lucchetti

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A poco tempo dalla scomparsa del patron della catena di supermercati Esselunga, Bernardo Caprotti, la Suprema Corte riapre una questione che da lungo tempo lo vedeva coinvolto in una lotta concorrenziale contro le cooperative. La Coop Estense, infatti, lo aveva citato in giudizio richiedendo la condanna al risarcimento dei danni per essere stata diffamata ed essere stata oggetto di concorrenza sleale sulla base delle informazioni contenute nel libro di Caprotti, “Falce e Carrello”.

Nel suo scritto il defunto imprenditore denunciava la Lega delle cooperative descrivendo come, grazie ai rapporti con la politica, al trattamento fiscale vantaggioso delle cooperative, nonché ad azioni di concorrenza massive sul mercato, la Coop Estense avesse realizzato alti profitti, a scapito anche di Esselunga e dei consumatori.

La cooperativa non aveva soddisfazione né in primo grado, né in appello. Ricorreva pertanto in Cassazione, ed i giudici accoglievano il ricorso, rinviando alla Corte d’Appello, pur giudicando infondati alcuni motivi del ricorso, basato sulla violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c. (Risarcimento per fatto illecito) e art. 595 c.p. (Diffamazione).

Tra gli errori commessi dai giudici del secondo grado, ha pesato particolarmente l’aver considerato il libro – contenente anche una prefazione di un giornalista e di un economista – alla stregua di un’opera artistico-letteraria, che in virtù della sua natura, gode della esimente del diritto di critica e di manifestazione del pensiero e di aver legittimato l’azione denigratoria nei confronti della Coop Estense. Anche nel caso di specie, in cui le notizie e gli apprezzamenti fatti si sono rivelati veritieri, gli autori del libro sono incorsi nella violazione dell’art. 2598 c.c., poiché la divulgazione è stata fatta in maniera subdola e tendenziosa (concorde da tempo la giurisprudenza, vedi Cass. n.2020/1982). Sarebbe stato inoltre superato il requisito della continenza, poiché Caprotti aveva usato espressioni forti e denigratorie nei confronti della cooperativa e del suo presidente, motivo che ha contribuito alla decisione di cassare la sentenza impugnata.

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