Nuovo codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza: si affievolisce la punibilità della bancarotta
Il 14 febbraio 2019 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il D.lgs n. 14 del 12 gennaio 2019 contenente il nuovo “Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza”.
Ai sensi del primo comma dell’art. 389 del nuovo codice l’entrata in vigore del testo normativo in discorso, nella quasi totalità delle sue disposizioni, è con il decorso di diciotto mesi dalla sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale e questo significa che l’entrata in vigore avverrà – con la sola eccezione delle particolari disposizioni previste dal secondo comma del medesimo art. 389 – nel mese di agosto 2020.
La ragione di una vacatio legis di così lunga durata (diciotto mesi) discende dal fatto che il nuovo codice ridisegna sostanzialmente – ed introducendo importante novità – l’intera disciplina sino ad oggi vigente in materia di crisi d’impresa (sotto tutti gli aspetti), di insolvenza e di sovraindebitamento.
Per tale motivo si è ritenuto opportuno differirne di diciotto mesi l’entrata in vigore al fine di consentire a tutti gli operatori del diritto – che sotto vari aspetti dovranno confrontarsi con la nuova normativa e farne applicazione – non solo di studiarla, ma anche di discuterne e di valutarne tutti i relativi risvolti sul piano pratico ed operativo.
In effetti, a distanza di quasi quattro mesi dalla pubblicazione del nuovo codice sulla Gazzetta Ufficiale, alcune sue disposizioni sono già entrate nell’”occhio del ciclone” divenendo oggetto di ferventi discussioni in convegni giuridici.
Tra queste ultime preme porre l’attenzione sulle disposizioni penali dettate da nuovo codice in materia di reati concorsuali e, in primo luogo, in tema di “bancarotta”.
Infatti esaminando i primi tre capi del Titolo IX del nuovo Codice (“Disposizioni Penali”) ci si rende conto di come, nella sostanza, rispetto alle previsioni contenute nel Legge Fallimentare non vi siano state significative innovazioni dal punto di vista della descrizione delle condotte incriminate.
Ovviamente si riscontra in tali norme un’importante differenza lessicale in quanto, se il Fallimento è destinato ad essere sostituito dalla c.d. “liquidazione giudiziale”, in tutti i reati in cui la declaratoria di fallimento rappresentava un elemento costitutivo della fattispecie criminosa oggi, nelle disposizioni del nuovo codice che descrivono le medesime fattispecie criminose, l’espressione “fallimento” è stata per l’appunto correttamente sostituita dall’espressione “liquidazione giudiziale”.
Tuttavia, se si si prescinde da un esame delle sole disposizioni del Titolo IX e si analizza il nuovo codice nel suo complesso, viene pressochè naturale dubitare che effettivamente – rispetto alle originarie previsioni della Legge Fallimentare in materia di reati connessi alla crisi o al dissesto– sia rimasto tutto invariato.
In fatti, da un’analisi complessiva del nuovo codice, negli operatori del diritto è sorto il forte dubbio che il Legislatore, nello sforzo di incentivare il più possibile l’imprenditore ad attivarsi per l’emersione anticipata dalla crisi d’impresa, abbia per altro verso sacrificato eccessivamente il potere punitivo dello Stato rispetto ai principali reati normalmente connessi alle situazioni di crisi o addirittura di in solvenza e, in primo luogo, rispetto al prototipo di tali reati consistente nel delitto di “BANCAROTTA” oggi descritto dagli artt. 322, 323 e 324 del nuovo codice.
In particolare il sospetto in discorso sorge, nello specifico, dall’esame del combinato disposto degli art. 24 (“Tempestività dell’iniziativa”) e 25 (“Misure premiali”) secondo comma del nuovo codice in quanto, a ben vedere, attraverso il coordinato disposto dei due articoli viene introdotta una causa di non punibilità, o comunque di riduzione della pena fino alla metà, per il reato di BANCAROTTA – come anche di altri reati connessi alla crisi d’impresa – che se da un lato è destinata a divenire il leitmotiv di tutti i futuri procedimenti penali in materia soprattutto di bancarotta, dall’altro presta il fianco a possibili abusi da parte dell’imprenditore e al contempo è destinata a mettere in seria difficoltà i Procuratori della Repubblica e i Tribunali Penali allorquando, nell’esercizio delle loro funzioni dovranno di volta in volta valutare se effettivamente ricorra o meno la causa di non punibilità o di riduzione della pena.
L’art. 24 del nuovo codice, intitolato “Tempestività dell’iniziativa”, consente in maniera contorta di ricavare le ipotesi in cui l’iniziativa assunta dall’imprenditore per l’emersione anticipata dello stato di crisi deve definirsi “tempestiva”.
In maniera contorta in quanto, nonostante l’articolo in discorso sia intitolato “Tempestività dell’iniziativa”, il testo dell’articolo in commento descrive in maniera altrettanto complessa le ipotesi in cui “Ai fini dell’applicazione delle misure premiali di cui all’art. 25, l’iniziativa del debitore volta a prevenire l’aggravarsi della crisi non è tempestiva”.
Pertanto viene lasciato all’interprete il compito di ricavare “a contrario” le ipotesi in cui l’iniziativa dell’imprenditore finalizzata all’anticipata emersione della crisi può definirsi “tempestiva” ai fini dell’applicazione delle “misure premiali”.
Il testo dell’art. 24 recita testualmente al primo comma: “Ai fini dell’applicazione delle misure premiali di cui all’art. 25, l’iniziativa del debitore volta a prevenire l’aggravarsi della crisi non è tempestiva se egli propone una domanda di accesso ad una delle procedure regolate dal presente codice oltre il termine di sei mesi, ovvero l’istanza di cui all’art. 19 oltre il termine di tre mesi, a decorrere da quando si verifica, alternativamente: a) l’esistenza di debiti per retribuzione scaduti da almeno sessanta giorni per un ammontare pari ad oltre la metà dell’ammontare complessivo mensile delle retribuzioni; b) l’esistenza di debiti verso fornitori scaduti da almeno centoventi giorni per un ammontare superiore a quello dei debiti non scaduti; c) il superamento, nell’ultimo bilancio approvato, o comunque per oltre tre mesi, degli indici elaborati ai sensi dell’art. 13, commi 2 e 3)”.
Appare evidente la natura contorta e al tempo stesso astratta della norma in discorso, nella misura in cui oltre ad essere formulata in chiave negativa (“non è tempestiva”) non indica nemmeno un momento iniziale per la decorrenza dei sei mesi o dei tre mesi oltre i quali l’iniziativa deve definirsi “non tempestiva”.
Inoltre, nell’ipotesi in cui l’iniziativa dell’imprenditore possa definirsi tempestiva e quindi possa farsi luogo all’applicazione delle c.d. “misure premiali” di cui all’art. 25 del nuovo codice, sorprende non poco scorgere nel secondo comma dell’articolo in discorso che – con riferimento ai reati di cui agli artt. 322 (“Bancarotta fraudolenta”), 323 (“Bancarotta semplice”), 325 (“Ricorso abusivo al credito”), 328 (reati commessi dai soci illimitatamente responsabili nell’ipotesi di liquidazione giudiziale di una società in nome collettivo o in accomandita semplice), 329 (Reati commessi da persone diverse dall’imprenditore in liquidazione giudiziale: “Fatti di bancarotta fraudolenta”), 330 (Reati commessi da persone diverse dall’imprenditore in liquidazione giudiziale: “Fatti di bancarotta semplice”), 331 (Reati commessi da persone diverse dall’imprenditore in liquidazione giudiziale: “Ricorso abusivo al credito”), 333 (“Reati dell’institore”), e 341, comma 2, lettere a) e b) (sostanzialmente i reati di “bancarotta fraudolenta” e di “Bancarotta semplice” commessi in relazione ad una procedura di concordato preventivo, di accordo di ristrutturazione dei debiti, di un piano attestato di risanamento o di una procedura di liquidazione coatta amministrativa, anche se commessi dall’institore) – se l’iniziativa è tempestiva e il danno cagionato è di speciale tenuità “NON E’ PUNIBILE chi ha tempestivamente presentato l’istanza all’organismo di composizione assistita della crisi d’impresa ovvero la domanda di accesso ad una delle procedure di regolazione della crisi o dell’insolvenza di cui al presente codice se, a seguito delle stesse, viene aperta una procedura di liquidazione giudiziale o di concordato preventivo ovvero viene omologato un accordo di ristrutturazione dei debiti”.
In buona sostanza attraverso il combinato disposto degli artt. 24 e 25 del nuovo codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza viene introdotta una causa di punibilità che – oltre ad essere formulata in maniera contorta – presuppone una conoscenza della realtà d’impresa (debiti verso i dipendenti, debiti verso i fornitori, emersione dell’esposizione debitoria e relativa quantificazione, superamento degli indicatori della crisi elaborati dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti o dall’impresa stessa nella nota integrativa al bilancio) che solo l’imprenditore può conoscere ai fini della tempestività dell’iniziativa volta a prevenire l’aggravarsi della crisi.
Pertanto si tratta di una causa di non punibilità che rischia seriamente di divenire, quanto al suo verificarsi, appannaggio esclusivo dell’imprenditore, di fatto libero di commettere atti di bancarotta e poi di precostituirsi gli elementi costitutivi della causa di “non punibilità”.
Anzi, al fine di agevolare l’imprenditore ai fini della dimostrazione della causa di non punibilità in discorso nell’ambito di un ipotetico procedimento penale aperto a suo carico per il delitto di bancarotta, lo stesso articolo 24 del nuovo codice prevede, al secondo comma, che “su richiesta del debitore il presidente del Collegio di cui all’art. 17 attesta l’esistenza dei requisiti di tempestività”.
In buona sostanza il Presidente dell’”Organismo di composizione della crisi d’impresa” a cui il debitore si sarà rivolto fornirà lui stesso, al debitore, un documento attestante la “tempestività dell’iniziativa” ai sensi del primo comma del medesimo articolo 24, affinchè possa produrlo nell’eventuale giudizio penale a dimostrazione dell’esistenza della causa di NON PUNIBILITA’ e quindi dell’applicazione della misura premiale di cui al successivo art. 25 secondo comma del codice.
Proprio nella relazione illustrativa del nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (relazione del 10 gennaio 2019), in riferimento all’art. 24, si legge infatti testualmente che “Per agevolare l’accertamento della sussistenza della tempestività e consentire al debitore di avvalersene nell’ambito di eventuali giudizi penali, è previsto che la tempestività possa essere certificata dal presidente del collegio di cui all’art. 17”
Tutto semplice, quindi, per gli imprenditori eventualmente coinvolti nei procedimenti penali per bancarotta, essendo sufficiente depositare in Tribunale la certificazione di tempestività stilata dal Presidente dell’Organismo di composizione della crisi d’impresa (il c.d. OCC), unitamente alla dimostrazione di aver cagionato un danno di speciale tenuità.
A fronte di ciò davvero non si comprende come sarà possibile, magari anche a distanza di anni, ai Pubblici Ministeri e ai Tribunali penali – chiamati ad esaminare le ipotesi di bancarotta – dimostrare che l’esimente dedotta e dimostrata dall’imputato non si è, in realtà, mai verificata o rappresenta il frutto di un abuso o di una forzatura delle norme del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza.
Peraltro, in aggiunta a tutto quanto sopra esposto, si evidenzia che in ogni caso sempre a norma del secondo comma dell’art. 25 del codice dispone – con riferimento all’ipotesi in cui il danno cagionato non sia di speciale tenuità – che “per chi ha presentato l’istanza o la domanda la pena è ridotta sino alla metà quando, alla data di apertura della procedura di regolazione della crisi o dell’insolvenza, il valore dell’attivo inventariato o offerto ai creditori assicura il soddisfacimento di almeno un quinto dell’ammontare dei debiti chirografari e, comunque, il danno complessivo cagionato non supera l’importo di 2.000.000,00 di euro”.
Anche in questo caso, pertanto, l’imputato potrà giovarsi di una misura premiale e di una causa di riduzione della pena che nessuno, nell’ambito del procedimento, penale sarà in grado di contestare fondatamente.
Insomma, ragionando in termini prospettici, è agevole immaginare un futuro in cui la quasi totalità dei processi in materia di bancarotta terminerà con sentenze di assoluzione o comunque di riduzione delle relative pene.
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Ai sensi del primo comma dell’art. 389 del nuovo codice l’entrata in vigore del testo normativo in discorso, nella quasi totalità delle sue disposizioni, è con il decorso di diciotto mesi dalla sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale e questo significa che l’entrata in vigore avverrà – con la sola eccezione delle particolari disposizioni previste dal secondo comma del medesimo art. 389 – nel mese di agosto 2020.
La ragione di una vacatio legis di così lunga durata (diciotto mesi) discende dal fatto che il nuovo codice ridisegna sostanzialmente – ed introducendo importante novità – l’intera disciplina sino ad oggi vigente in materia di crisi d’impresa (sotto tutti gli aspetti), di insolvenza e di sovraindebitamento.
Per tale motivo si è ritenuto opportuno differirne di diciotto mesi l’entrata in vigore al fine di consentire a tutti gli operatori del diritto – che sotto vari aspetti dovranno confrontarsi con la nuova normativa e farne applicazione – non solo di studiarla, ma anche di discuterne e di valutarne tutti i relativi risvolti sul piano pratico ed operativo.
In effetti, a distanza di quasi quattro mesi dalla pubblicazione del nuovo codice sulla Gazzetta Ufficiale, alcune sue disposizioni sono già entrate nell’”occhio del ciclone” divenendo oggetto di ferventi discussioni in convegni giuridici.
Tra queste ultime preme porre l’attenzione sulle disposizioni penali dettate da nuovo codice in materia di reati concorsuali e, in primo luogo, in tema di “bancarotta”.
Infatti esaminando i primi tre capi del Titolo IX del nuovo Codice (“Disposizioni Penali”) ci si rende conto di come, nella sostanza, rispetto alle previsioni contenute nel Legge Fallimentare non vi siano state significative innovazioni dal punto di vista della descrizione delle condotte incriminate.
Ovviamente si riscontra in tali norme un’importante differenza lessicale in quanto, se il Fallimento è destinato ad essere sostituito dalla c.d. “liquidazione giudiziale”, in tutti i reati in cui la declaratoria di fallimento rappresentava un elemento costitutivo della fattispecie criminosa oggi, nelle disposizioni del nuovo codice che descrivono le medesime fattispecie criminose, l’espressione “fallimento” è stata per l’appunto correttamente sostituita dall’espressione “liquidazione giudiziale”.
Tuttavia, se si si prescinde da un esame delle sole disposizioni del Titolo IX e si analizza il nuovo codice nel suo complesso, viene pressochè naturale dubitare che effettivamente – rispetto alle originarie previsioni della Legge Fallimentare in materia di reati connessi alla crisi o al dissesto– sia rimasto tutto invariato.
In fatti, da un’analisi complessiva del nuovo codice, negli operatori del diritto è sorto il forte dubbio che il Legislatore, nello sforzo di incentivare il più possibile l’imprenditore ad attivarsi per l’emersione anticipata dalla crisi d’impresa, abbia per altro verso sacrificato eccessivamente il potere punitivo dello Stato rispetto ai principali reati normalmente connessi alle situazioni di crisi o addirittura di in solvenza e, in primo luogo, rispetto al prototipo di tali reati consistente nel delitto di “BANCAROTTA” oggi descritto dagli artt. 322, 323 e 324 del nuovo codice.
In particolare il sospetto in discorso sorge, nello specifico, dall’esame del combinato disposto degli art. 24 (“Tempestività dell’iniziativa”) e 25 (“Misure premiali”) secondo comma del nuovo codice in quanto, a ben vedere, attraverso il coordinato disposto dei due articoli viene introdotta una causa di non punibilità, o comunque di riduzione della pena fino alla metà, per il reato di BANCAROTTA – come anche di altri reati connessi alla crisi d’impresa – che se da un lato è destinata a divenire il leitmotiv di tutti i futuri procedimenti penali in materia soprattutto di bancarotta, dall’altro presta il fianco a possibili abusi da parte dell’imprenditore e al contempo è destinata a mettere in seria difficoltà i Procuratori della Repubblica e i Tribunali Penali allorquando, nell’esercizio delle loro funzioni dovranno di volta in volta valutare se effettivamente ricorra o meno la causa di non punibilità o di riduzione della pena.
L’art. 24 del nuovo codice, intitolato “Tempestività dell’iniziativa”, consente in maniera contorta di ricavare le ipotesi in cui l’iniziativa assunta dall’imprenditore per l’emersione anticipata dello stato di crisi deve definirsi “tempestiva”.
In maniera contorta in quanto, nonostante l’articolo in discorso sia intitolato “Tempestività dell’iniziativa”, il testo dell’articolo in commento descrive in maniera altrettanto complessa le ipotesi in cui “Ai fini dell’applicazione delle misure premiali di cui all’art. 25, l’iniziativa del debitore volta a prevenire l’aggravarsi della crisi non è tempestiva”.
Pertanto viene lasciato all’interprete il compito di ricavare “a contrario” le ipotesi in cui l’iniziativa dell’imprenditore finalizzata all’anticipata emersione della crisi può definirsi “tempestiva” ai fini dell’applicazione delle “misure premiali”.
Il testo dell’art. 24 recita testualmente al primo comma: “Ai fini dell’applicazione delle misure premiali di cui all’art. 25, l’iniziativa del debitore volta a prevenire l’aggravarsi della crisi non è tempestiva se egli propone una domanda di accesso ad una delle procedure regolate dal presente codice oltre il termine di sei mesi, ovvero l’istanza di cui all’art. 19 oltre il termine di tre mesi, a decorrere da quando si verifica, alternativamente: a) l’esistenza di debiti per retribuzione scaduti da almeno sessanta giorni per un ammontare pari ad oltre la metà dell’ammontare complessivo mensile delle retribuzioni; b) l’esistenza di debiti verso fornitori scaduti da almeno centoventi giorni per un ammontare superiore a quello dei debiti non scaduti; c) il superamento, nell’ultimo bilancio approvato, o comunque per oltre tre mesi, degli indici elaborati ai sensi dell’art. 13, commi 2 e 3)”.
Appare evidente la natura contorta e al tempo stesso astratta della norma in discorso, nella misura in cui oltre ad essere formulata in chiave negativa (“non è tempestiva”) non indica nemmeno un momento iniziale per la decorrenza dei sei mesi o dei tre mesi oltre i quali l’iniziativa deve definirsi “non tempestiva”.
Inoltre, nell’ipotesi in cui l’iniziativa dell’imprenditore possa definirsi tempestiva e quindi possa farsi luogo all’applicazione delle c.d. “misure premiali” di cui all’art. 25 del nuovo codice, sorprende non poco scorgere nel secondo comma dell’articolo in discorso che – con riferimento ai reati di cui agli artt. 322 (“Bancarotta fraudolenta”), 323 (“Bancarotta semplice”), 325 (“Ricorso abusivo al credito”), 328 (reati commessi dai soci illimitatamente responsabili nell’ipotesi di liquidazione giudiziale di una società in nome collettivo o in accomandita semplice), 329 (Reati commessi da persone diverse dall’imprenditore in liquidazione giudiziale: “Fatti di bancarotta fraudolenta”), 330 (Reati commessi da persone diverse dall’imprenditore in liquidazione giudiziale: “Fatti di bancarotta semplice”), 331 (Reati commessi da persone diverse dall’imprenditore in liquidazione giudiziale: “Ricorso abusivo al credito”), 333 (“Reati dell’institore”), e 341, comma 2, lettere a) e b) (sostanzialmente i reati di “bancarotta fraudolenta” e di “Bancarotta semplice” commessi in relazione ad una procedura di concordato preventivo, di accordo di ristrutturazione dei debiti, di un piano attestato di risanamento o di una procedura di liquidazione coatta amministrativa, anche se commessi dall’institore) – se l’iniziativa è tempestiva e il danno cagionato è di speciale tenuità “NON E’ PUNIBILE chi ha tempestivamente presentato l’istanza all’organismo di composizione assistita della crisi d’impresa ovvero la domanda di accesso ad una delle procedure di regolazione della crisi o dell’insolvenza di cui al presente codice se, a seguito delle stesse, viene aperta una procedura di liquidazione giudiziale o di concordato preventivo ovvero viene omologato un accordo di ristrutturazione dei debiti”.
In buona sostanza attraverso il combinato disposto degli artt. 24 e 25 del nuovo codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza viene introdotta una causa di punibilità che – oltre ad essere formulata in maniera contorta – presuppone una conoscenza della realtà d’impresa (debiti verso i dipendenti, debiti verso i fornitori, emersione dell’esposizione debitoria e relativa quantificazione, superamento degli indicatori della crisi elaborati dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti o dall’impresa stessa nella nota integrativa al bilancio) che solo l’imprenditore può conoscere ai fini della tempestività dell’iniziativa volta a prevenire l’aggravarsi della crisi.
Pertanto si tratta di una causa di non punibilità che rischia seriamente di divenire, quanto al suo verificarsi, appannaggio esclusivo dell’imprenditore, di fatto libero di commettere atti di bancarotta e poi di precostituirsi gli elementi costitutivi della causa di “non punibilità”.
Anzi, al fine di agevolare l’imprenditore ai fini della dimostrazione della causa di non punibilità in discorso nell’ambito di un ipotetico procedimento penale aperto a suo carico per il delitto di bancarotta, lo stesso articolo 24 del nuovo codice prevede, al secondo comma, che “su richiesta del debitore il presidente del Collegio di cui all’art. 17 attesta l’esistenza dei requisiti di tempestività”.
In buona sostanza il Presidente dell’”Organismo di composizione della crisi d’impresa” a cui il debitore si sarà rivolto fornirà lui stesso, al debitore, un documento attestante la “tempestività dell’iniziativa” ai sensi del primo comma del medesimo articolo 24, affinchè possa produrlo nell’eventuale giudizio penale a dimostrazione dell’esistenza della causa di NON PUNIBILITA’ e quindi dell’applicazione della misura premiale di cui al successivo art. 25 secondo comma del codice.
Proprio nella relazione illustrativa del nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (relazione del 10 gennaio 2019), in riferimento all’art. 24, si legge infatti testualmente che “Per agevolare l’accertamento della sussistenza della tempestività e consentire al debitore di avvalersene nell’ambito di eventuali giudizi penali, è previsto che la tempestività possa essere certificata dal presidente del collegio di cui all’art. 17”
Tutto semplice, quindi, per gli imprenditori eventualmente coinvolti nei procedimenti penali per bancarotta, essendo sufficiente depositare in Tribunale la certificazione di tempestività stilata dal Presidente dell’Organismo di composizione della crisi d’impresa (il c.d. OCC), unitamente alla dimostrazione di aver cagionato un danno di speciale tenuità.
A fronte di ciò davvero non si comprende come sarà possibile, magari anche a distanza di anni, ai Pubblici Ministeri e ai Tribunali penali – chiamati ad esaminare le ipotesi di bancarotta – dimostrare che l’esimente dedotta e dimostrata dall’imputato non si è, in realtà, mai verificata o rappresenta il frutto di un abuso o di una forzatura delle norme del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza.
Peraltro, in aggiunta a tutto quanto sopra esposto, si evidenzia che in ogni caso sempre a norma del secondo comma dell’art. 25 del codice dispone – con riferimento all’ipotesi in cui il danno cagionato non sia di speciale tenuità – che “per chi ha presentato l’istanza o la domanda la pena è ridotta sino alla metà quando, alla data di apertura della procedura di regolazione della crisi o dell’insolvenza, il valore dell’attivo inventariato o offerto ai creditori assicura il soddisfacimento di almeno un quinto dell’ammontare dei debiti chirografari e, comunque, il danno complessivo cagionato non supera l’importo di 2.000.000,00 di euro”.
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