Published On: 14 Settembre 2022Categories: Diritto Penale, Mario AllettoBy

Caparra confirmatoria e dichiarazione infedele

La Cassazione riconosce la sussistenza del reato ex art. 4 D.Lgs. 74/2000.

Nel diritto civile, il meccanismo della c.d. “caparra confirmatoria” – disciplinato dall’art. 1385 c.c. – implica la consegna, al momento del perfezionamento di un contratto, di una somma di denaro; naturalmente con l’intesa che, laddove la parte che ha versato la caparra dovesse poi rendersi inadempiente, la somma in precedenza versata ben potrà essere trattenuta dall’altro contraente a titolo di risarcimento del danno.

Nel caso oggi preso in esame il ricorrente, il quale aveva stipulato un contratto preliminare di compravendita, aveva poi trattenuto – a seguito dell’inadempimento del promissario acquirente – la somma pari a €800.000,00 versatagli a titolo di caparra confirmatoria, senza però indicare il relativo importo in sede di dichiarazione dei redditi.

Con la sentenza in commento, i Giudici della III Sezione Penale della Corte di Cassazione hanno dapprima chiarito come l’istituto della caparra confirmatoria si ponga quale “indizio della conclusione del contratto cui accede”, incentivando le parti a darvi esecuzione per non perdere la somma già versata ovvero (nel caso di chi ha incamerato la caparra) per non vedersi esposto al rischio di dover restituire il doppio di quanto ricevuto.

Centrale è il passaggio della motivazione in cui gli Ermellini – richiamando alcuni propri precedenti in senso conforme – chiariscono che

“mentre nell’ipotesi di regolare adempimento del contratto preliminare, la caparra è imputata sul prezzo dei beni oggetto dei definitivi, assoggettabili ad iva, andando ad incidere sulla relativa base imponibile e, prima ancora, ad integrare il presupposto impositivo dell’imposta, in base al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 6, comma 4, l’inadempimento ne propizia il trattenimento, che serve a risarcire il promittente venditore”.

Nonostante tale meccanismo di esenzione dal pagamento dell’IVA operi in relazione alla caparra confirmatoria, ciò non significa che la somma trattenuta – in quanto riferibile ad un danno forfettariamente determinato – non debba in ogni caso rientrare nel concetto di “reddito prodotto”: in tal senso, la Corte di Cassazione mostra infatti di condividere l’orientamento secondo cui la caparra confirmatoria, al pari della c.d. clausola penale, rientri pienamente nel disposto dell’art. 6, co. 2 T.U.I.R. che identifica quali redditi della stessa categoria di quelli perduti anche “le indennità conseguite a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di diritti”.

Il citato iter argomentativo ha quindi condotto la Suprema Corte di Cassazione a ritenere sussistente nel caso di specie il delitto di dichiarazione infedele previsto dall’art. 4 D.Lgs. 74/2000, che punisce chiunque, al fine di evadere le imposte dirette o l’IVA, indichi in una delle dichiarazioni annuali elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo o elementi passivi fittizi.

 

Dott. Mario Alletto

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Caparra confirmatoria e dichiarazione infedele

La Cassazione riconosce la sussistenza del reato ex art. 4 D.Lgs. 74/2000.

Nel diritto civile, il meccanismo della c.d. “caparra confirmatoria” – disciplinato dall’art. 1385 c.c. – implica la consegna, al momento del perfezionamento di un contratto, di una somma di denaro; naturalmente con l’intesa che, laddove la parte che ha versato la caparra dovesse poi rendersi inadempiente, la somma in precedenza versata ben potrà essere trattenuta dall’altro contraente a titolo di risarcimento del danno.

Nel caso oggi preso in esame il ricorrente, il quale aveva stipulato un contratto preliminare di compravendita, aveva poi trattenuto – a seguito dell’inadempimento del promissario acquirente – la somma pari a €800.000,00 versatagli a titolo di caparra confirmatoria, senza però indicare il relativo importo in sede di dichiarazione dei redditi.

Con la sentenza in commento, i Giudici della III Sezione Penale della Corte di Cassazione hanno dapprima chiarito come l’istituto della caparra confirmatoria si ponga quale “indizio della conclusione del contratto cui accede”, incentivando le parti a darvi esecuzione per non perdere la somma già versata ovvero (nel caso di chi ha incamerato la caparra) per non vedersi esposto al rischio di dover restituire il doppio di quanto ricevuto.

Centrale è il passaggio della motivazione in cui gli Ermellini – richiamando alcuni propri precedenti in senso conforme – chiariscono che

“mentre nell’ipotesi di regolare adempimento del contratto preliminare, la caparra è imputata sul prezzo dei beni oggetto dei definitivi, assoggettabili ad iva, andando ad incidere sulla relativa base imponibile e, prima ancora, ad integrare il presupposto impositivo dell’imposta, in base al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 6, comma 4, l’inadempimento ne propizia il trattenimento, che serve a risarcire il promittente venditore”.

Nonostante tale meccanismo di esenzione dal pagamento dell’IVA operi in relazione alla caparra confirmatoria, ciò non significa che la somma trattenuta – in quanto riferibile ad un danno forfettariamente determinato – non debba in ogni caso rientrare nel concetto di “reddito prodotto”: in tal senso, la Corte di Cassazione mostra infatti di condividere l’orientamento secondo cui la caparra confirmatoria, al pari della c.d. clausola penale, rientri pienamente nel disposto dell’art. 6, co. 2 T.U.I.R. che identifica quali redditi della stessa categoria di quelli perduti anche “le indennità conseguite a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di diritti”.

Il citato iter argomentativo ha quindi condotto la Suprema Corte di Cassazione a ritenere sussistente nel caso di specie il delitto di dichiarazione infedele previsto dall’art. 4 D.Lgs. 74/2000, che punisce chiunque, al fine di evadere le imposte dirette o l’IVA, indichi in una delle dichiarazioni annuali elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo o elementi passivi fittizi.

 

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