Published On: 16 Dicembre 2018Categories: Articoli, Diritto civile, Gavril Zaccaria

Cani randagi: le responsabilità dell'Ente per i danni causati

Con sentenza n. 31957 del 2018 la Corte di Cassazione si è soffermata sulla responsabilità degli Enti per gli incidenti causati da cani randagi.

A seguito di un impatto di un veicolo con un cane randagio, il proprietario della vettura domandava al Giudice di Pace la condanna del Comune a risarcimento dei danni materiali e fisici.

Il Giudice di Pace rigettava la domanda attorea ritenendo che il Comune, ai sensi dell’art. 2043 c.c., dovesse considerarsi esente da responsabilità avendo provato di avere assolto l’obbligo di vigilanza sui cani randagi.
L’attore proponeva appello dinanzi al Tribunale di Siracusa, il quale riformava la sentenza riconoscendo la responsabilità del Comune, non avendo esso provato in maniera adeguata di avere adempiuto l’obbligo di repressione e prevenzione del randagismo.

Il Comune ricorreva in Cassazione lamentando l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui non risultava provata la colpa del Comune.

Secondo gli Ermellini l’applicazione dell’art. 2043 c.c. impone che la responsabilità dell’ente si affermi solo previa individuazione del concreto comportamento colposo ad esso ascrivibile e cioè che gli siano imputabili condotte, a seconda dei casi, genericamente o specificamente colpose che abbiano reso possibile il verificarsi dell’evento dannoso.

Premessa la prevedibilità dell’attraversamento della strada da parte di un animale randagio, essendo esso un evento puramente naturale, la esistenza di un obbligo in capo all’ente comunale di impedirne il verificarsi avrebbe dovuto essere valutata secondo criteri di ragionevole esigibilità, tenendo conto che per imputare a titolo di colpa un evento dannoso non basta che esso sia prevedibile, ma occorre anche che esso sia evitabile in quel determinato momento ed in quella particolare situazione con uno sforzo proporzionato alle capacità dell’agente.

La Suprema Corte ribadisce che è onere di colui che agisce facendo valere la responsabilità omissiva altrui quello di dimostrare o almeno di allegare la ricorrenza di una colpa non solo specifica – violazione del precetto – ma anche generica, in quanto postulante l’indagine circa le modalità concrete della condotta attraverso i criteri di prevedibilità ed evitabilità.

Per tali motivi il ricorso veniva accolto.

Avv. Gavril Zaccaria

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Published On: 16 Dicembre 2018Categories: Articoli, Diritto civile, Gavril ZaccariaBy

Cani randagi: le responsabilità dell'Ente per i danni causati

Con sentenza n. 31957 del 2018 la Corte di Cassazione si è soffermata sulla responsabilità degli Enti per gli incidenti causati da cani randagi.

A seguito di un impatto di un veicolo con un cane randagio, il proprietario della vettura domandava al Giudice di Pace la condanna del Comune a risarcimento dei danni materiali e fisici.

Il Giudice di Pace rigettava la domanda attorea ritenendo che il Comune, ai sensi dell’art. 2043 c.c., dovesse considerarsi esente da responsabilità avendo provato di avere assolto l’obbligo di vigilanza sui cani randagi.
L’attore proponeva appello dinanzi al Tribunale di Siracusa, il quale riformava la sentenza riconoscendo la responsabilità del Comune, non avendo esso provato in maniera adeguata di avere adempiuto l’obbligo di repressione e prevenzione del randagismo.

Il Comune ricorreva in Cassazione lamentando l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui non risultava provata la colpa del Comune.

Secondo gli Ermellini l’applicazione dell’art. 2043 c.c. impone che la responsabilità dell’ente si affermi solo previa individuazione del concreto comportamento colposo ad esso ascrivibile e cioè che gli siano imputabili condotte, a seconda dei casi, genericamente o specificamente colpose che abbiano reso possibile il verificarsi dell’evento dannoso.

Premessa la prevedibilità dell’attraversamento della strada da parte di un animale randagio, essendo esso un evento puramente naturale, la esistenza di un obbligo in capo all’ente comunale di impedirne il verificarsi avrebbe dovuto essere valutata secondo criteri di ragionevole esigibilità, tenendo conto che per imputare a titolo di colpa un evento dannoso non basta che esso sia prevedibile, ma occorre anche che esso sia evitabile in quel determinato momento ed in quella particolare situazione con uno sforzo proporzionato alle capacità dell’agente.

La Suprema Corte ribadisce che è onere di colui che agisce facendo valere la responsabilità omissiva altrui quello di dimostrare o almeno di allegare la ricorrenza di una colpa non solo specifica – violazione del precetto – ma anche generica, in quanto postulante l’indagine circa le modalità concrete della condotta attraverso i criteri di prevedibilità ed evitabilità.

Per tali motivi il ricorso veniva accolto.

Avv. Gavril Zaccaria

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