Published On: 25 Gennaio 2019Categories: IMPRESE

Azione di responsabilità contro l'organo amministrativo della società. I requisiti per la sussistenza della figura dell'amministratore di fatto

Nel codice civile, e per la precisione nella parte dedicata al diritto societario, è previsto che nell’ipotesi in cui gli amministratori di una società abbiano compiuto atti di c.d. mala gestio – quindi  atti gestori in violazione dei loro doveri di diligenza, o comunque dei doveri derivanti dalla loro carica – la società (ex art. 2393 del codice civile) e i creditori sociali (ex art. 2394 del codice civile) che ne abbiano subito un danno hanno diritto di proporre azione di responsabilità verso di essi.

La medesima azione di responsabilità può essere esperita nei confronti dei componenti dell’organo di controllo della società (sindaci, membri del comitato di controllo, consiglieri di sorveglianza) che abbiano cagionato un danno alla società e ai creditori sociali mediante condotte poste in essere in violazione, dolosa o colposa, dei doveri derivanti dalla loro carica.

A norma di quanto disposto dall’art. 2394 bis del codice civile, in caso di fallimento delle società, la legittimazione all’esercizio di una tale azione compete esclusivamente al curatore fallimentare e, nell’ipotesi in cui alla data del fallimento l’azione in discorso sia in itinere, spetta solo al curatore la legittimazione a proseguirla.

Occorre inoltre considerare che l’azione di responsabilità in discorso riconosciuta come esperibile anche nei confronti del c.d. “amministratore di fatto” della società e quindi del soggetto che – pur non essendo stato validamente investito dall’assemblea della carica –   di fatto abbia posto in essere una ingerenza nella gestione della società ed esercitato i poteri che, normalmente, sono propri della carica medesima.

Non è facile individuare gli estremi identificativi della figura del c.d. “amministratore di fatto” e proprio per questo la giurisprudenza, soprattutto di legittimità, ha ritenuto di dover individuare i requisiti essenziali in presenza dei quali potrebbe profilarsi la sussistenza di una tale figura.

Ad esempio la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4045 del 1 marzo 2016, ha ribadito l’importante principio secondo cui In tema di società, la persona che, benchè priva della corrispondente investitura formale, si accerti essersi inserita nella gestione della società stessa, impartendo direttive e condizionandone le scelte operative, va considerata amministratore di fatto ove tale ingerenza, lungi dall’esaurirsi nel compimento di atti eterogenei ed occasionali, riveli avere caratteri di sistematicità e completezza”(link, Foro Europeo, società per azioni – organi sociali – amministratori – corte di cassazione sez. 1, sentenza n. 4045 del 01/03/2016).

Dal principio sopra esposto, quindi, discende la logica conseguenza che l’individuazione della figura dell’amministratore di fatto richieda la presenza dei seguenti presupposti:

  1. L’inserimento del soggetto nella gestione della società;
  2. Il compimento di atti di effettiva gestione, come l’impartire direttive e il condizionamento delle scelte operative della società;
  3. La sistematicità e la completezza degli atti gestori posti in essere.

Per quanto riguarda la giurisprudenza di merito viene in considerazione la sentenza del Tribunale di Roma dove era stato, in precedenza, già affermato il principio secondo cui “La responsabilità del socio ex art. 2476, comma 7, c.c. non è sussumibile in quella dell’amministratore di fatto (essendo l’amministratore di fatto, che non necessariamente è anche socio della società, colui che si è ingerito sistematicamente e non occasionalmente nella gestione sociale” (Tribunale Roma, sent. 19 novembre 2014).

Ne consegue la logica conseguenza che chiunque intenda promuovere un giudizio civile di responsabilità nei confronti dell’asserito “amministratore di fatto” non potrà semplicemente limitarsi ad asserire la ricorrenza di una tale fattispecie, ma dovrà adempiere al gravoso onere probatorio consistente nel dimostrare la sussistenza dei requisiti individuati dalla giurisprudenza di legittimità e di merito sopra richiamata.

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Azione di responsabilità contro l'organo amministrativo della società. I requisiti per la sussistenza della figura dell'amministratore di fatto

Nel codice civile, e per la precisione nella parte dedicata al diritto societario, è previsto che nell’ipotesi in cui gli amministratori di una società abbiano compiuto atti di c.d. mala gestio – quindi  atti gestori in violazione dei loro doveri di diligenza, o comunque dei doveri derivanti dalla loro carica – la società (ex art. 2393 del codice civile) e i creditori sociali (ex art. 2394 del codice civile) che ne abbiano subito un danno hanno diritto di proporre azione di responsabilità verso di essi.

La medesima azione di responsabilità può essere esperita nei confronti dei componenti dell’organo di controllo della società (sindaci, membri del comitato di controllo, consiglieri di sorveglianza) che abbiano cagionato un danno alla società e ai creditori sociali mediante condotte poste in essere in violazione, dolosa o colposa, dei doveri derivanti dalla loro carica.

A norma di quanto disposto dall’art. 2394 bis del codice civile, in caso di fallimento delle società, la legittimazione all’esercizio di una tale azione compete esclusivamente al curatore fallimentare e, nell’ipotesi in cui alla data del fallimento l’azione in discorso sia in itinere, spetta solo al curatore la legittimazione a proseguirla.

Occorre inoltre considerare che l’azione di responsabilità in discorso riconosciuta come esperibile anche nei confronti del c.d. “amministratore di fatto” della società e quindi del soggetto che – pur non essendo stato validamente investito dall’assemblea della carica –   di fatto abbia posto in essere una ingerenza nella gestione della società ed esercitato i poteri che, normalmente, sono propri della carica medesima.

Non è facile individuare gli estremi identificativi della figura del c.d. “amministratore di fatto” e proprio per questo la giurisprudenza, soprattutto di legittimità, ha ritenuto di dover individuare i requisiti essenziali in presenza dei quali potrebbe profilarsi la sussistenza di una tale figura.

Ad esempio la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4045 del 1 marzo 2016, ha ribadito l’importante principio secondo cui In tema di società, la persona che, benchè priva della corrispondente investitura formale, si accerti essersi inserita nella gestione della società stessa, impartendo direttive e condizionandone le scelte operative, va considerata amministratore di fatto ove tale ingerenza, lungi dall’esaurirsi nel compimento di atti eterogenei ed occasionali, riveli avere caratteri di sistematicità e completezza”(link, Foro Europeo, società per azioni – organi sociali – amministratori – corte di cassazione sez. 1, sentenza n. 4045 del 01/03/2016).

Dal principio sopra esposto, quindi, discende la logica conseguenza che l’individuazione della figura dell’amministratore di fatto richieda la presenza dei seguenti presupposti:

  1. L’inserimento del soggetto nella gestione della società;
  2. Il compimento di atti di effettiva gestione, come l’impartire direttive e il condizionamento delle scelte operative della società;
  3. La sistematicità e la completezza degli atti gestori posti in essere.

Per quanto riguarda la giurisprudenza di merito viene in considerazione la sentenza del Tribunale di Roma dove era stato, in precedenza, già affermato il principio secondo cui “La responsabilità del socio ex art. 2476, comma 7, c.c. non è sussumibile in quella dell’amministratore di fatto (essendo l’amministratore di fatto, che non necessariamente è anche socio della società, colui che si è ingerito sistematicamente e non occasionalmente nella gestione sociale” (Tribunale Roma, sent. 19 novembre 2014).

Ne consegue la logica conseguenza che chiunque intenda promuovere un giudizio civile di responsabilità nei confronti dell’asserito “amministratore di fatto” non potrà semplicemente limitarsi ad asserire la ricorrenza di una tale fattispecie, ma dovrà adempiere al gravoso onere probatorio consistente nel dimostrare la sussistenza dei requisiti individuati dalla giurisprudenza di legittimità e di merito sopra richiamata.

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