Assegno divorzile, in arrivo la riforma alla legge n. 898/1970
Il comma 6 dell’art. 5 della legge n. 898 del 1970 statuisce che “con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive”.
Tale disposizione, che racchiude quindi i criteri a cui deve ancorarsi l’obbligo di corrispondere l’assegno divorzile, si ispira al principio di tutela del coniuge più debole ed è volta a riequilibrare le posizioni degli ex coniugi.
Se la separazione è valutata dal legislatore come un fenomeno momentaneo, essendo sempre possibile che si ricostituisca l’affectio coniugalis, al contrario il divorzio consiste nella definitiva rottura del vincolo da cui consegue il venir meno di tutti gli effetti che a questo normalmente sono legati.
Sin dall’entrata in vigore della legge del 1970, i criteri fondanti l’assegno sono stati oggetto di una rivisitazione da parte della giurisprudenza di legittimità che hanno segnalato come la disposizione debba necessariamente tenere conto dei mutamenti del tessuto economico e sociale succedutisi nel corso del tempo.
I nuovi criteri interpretativi adottati dalle Corti, sono stati posti alla base del disegno di legge di modifica dell’art. 5 della summenzionata normativa, attualmente posto all’esame del Senato.
Ad impegnare gli interpreti sin dall’entrata in vigore della legge introduttiva del divorzio, è stata la definizione della natura stessa dell’assegno il quale, similmente a quello di mantenimento, avrebbe, secondo parte della dottrina, una natura complessa: assistenziale, risarcitoria e compensativa.
Il quantum debeatur
Ai fini della determinazione del quantum debeatur, si rende dunque necessario un accertamento della causa determinativa della rottura del rapporto coniugale, come anche degli apporti di ciascuno degli ex coniugi al ménage familiare.
All’alba della novella legislativa n. 74/1989, data la diversità delle funzioni a cui risponde (cfr. Cass. civ. n. 6641/2002), presupposto necessario del diritto a ricevere l’assegno di mantenimento era considerato la situazione di necessità del beneficiario, il quale non possiede i mezzi idonei al proprio sostentamento né si trova nelle condizioni per poterseli procurare.
Solo in presenza di questo elemento, per il Giudice era possibile valutare la sussistenza degli altri criteri posti dalla disposizione sopramenzionata, ovvero:
- Le condizioni dei coniugi
- Le ragioni della decisione
- Il contributo dato alla formazione del patrimonio comune
- I rispettivi redditi
- La durata del vincolo
La solidarietà post coniugale, costola del più generico dovere di solidarietà economico e sociale sancito dall’art. 2 della Costituzione, cessa in modo automatico solo in caso di passaggio a nuove nozze dell’ex coniuge creditore dell’assento di divorzio.
La sentenza n. 1149/1990 delle Sezioni Unite: il criterio del tenore di vita
Immediatamente dopo la novella del 1989, la giurisprudenza di legittimità ha interpretato la norma ancorandola saldamente non solo ad una situazione di indigenza del coniuge, ma anche all’impossibilità di conservare un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, con la conseguenza che l’assegno avrebbe il ruolo di ripristinare quell’equilibrio patrimoniale incrinatosi con lo scioglimento del vincolo (cfr. Cass. sez. Un. n. 1149/1990).
Solo all’esito di una valutazione basata sul tenore di vita, quindi, l’autorità giudicante avrebbe potuto valutare l’idoneità dei mezzi economici alla conservazione di quel determinato modus vivendi per poi procedere alla comparazione delle rispettive capacità economiche dei coniugi, del contesto sociale in cui questi hanno vissuto e degli altri criteri posti dall’art. 5 l. n. 898/1970.
Ad avere rilievo, tuttavia, non era un qualsiasi deterioramento della posizione economica del richiedente, ma unicamente quello apprezzabilmente rilevante ai fini della conservazione del medesimo tenore di vita avuto in costanza di matrimonio, tenuto conto dei redditi personali, dei cespiti patrimoniali e della capacità lavorativa di cui il putativo beneficiario dispone.
Tenore di vita, inoltre, non coincide con l’espressione “stile di vita”.
La giurisprudenza ha infatti sottolineato come: “anche in presenza di rilevanti potenzialità economiche un regime familiare può essere improntato ad uno stile di rigore, ma questa costituisce una scelta che non può annullare le potenzialità di una condizione economica molto agiata. Vi sono poi da considerare le aspettative che una convivenza con un coniuge possessore di un rilevante patrimonio immobiliare determinano legittimamente nell’altro, anche se tale aspettativa non può manifestarsi in un vistoso cambiamento di stile di vita, quantomeno in un determinato periodo della convivenza” (cfr. Cass. Civ. n. 23442/2013).
La sentenza del 10.05.2017 n. 11504
Per trent’anni la giurisprudenza ha fatto quindi riferimento, quale parametro dell’assegno divorzile, al concetto di tenore di vita. Un’inversione di rotta si è verificata con la sentenza del 10 maggio 2017 n. 11504 della Cass. civile.
Secondo gli ermellini è “l’indipendenza o l’autosufficienza economica dell’ex coniuge” il parametro cui ancorare l’an ed il quantum dell’assegno.
Tale decisione, passata agli onori della cronaca come “Caso Grilli”, ha avuto una forte eco tra i commentatori, rappresentando una vera e propria rivoluzione del sistema ma la cui efficacia para-normativa è inficiata dall’essere stata emessa da una sezione semplice della Corte, per di più contraddittoria rispetto al risalente precedente delle Sezioni Unite del 1990.
La sentenza del 2017 afferma espressamente che il parametro cui rapportare l’adeguatezza-inadeguatezza dei mezzi del richiedente non è più da individuarsi nel tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio e ciò perché, con il divorzio, il rapporto matrimoniale si estingue sia sul piano personale che economico/patrimoniale (a differenza di quanto avviene con la separazione personale). L’utilizzo del parametro del tenore di vita induce a operare una indebita commistione tra le due fasi del giudizio, l’una relativa alla determinazione dell’an e l’altra vertente sul quantum, spostando la debenza dell’assegno sulle qualità del soggetto pagante piuttosto che su quelle del richiedente, con il rischio che si finisca per dare una ultrattività al rapporto ormai cessato.
Al contrario, secondo gli ermellini, è quello dell’indipendenza economica reale o potenziale del richiedente (i cui indici sono rappresentati dal possesso di redditi; di un patrimonio immobiliare, dalle capacità e possibilità effettive di lavoro dalla stabile disponibilità di una abitazione) il parametro da cui scaturisce il diritto o meno all’assegno.
Alla base di tale pronuncia vi è anche un diverso sentire sociale e culturale nei confronti dell’istituto matrimoniale, il matrimonio non è più visto come una sistemazione definitiva ma quale atto di libertà dissolubile, non è quindi ravvisabile un interesse giuridicamente rilevante dell’ex coniuge a conservare il tenore di vita matrimoniale.
La giurisprudenza successiva a questa pronuncia si è mostrata piuttosto restia ad abbandonare l’ormai consolidato parametro del tenore di vita e, dunque, a sanare questa situazione di incertezza è intervenuta la pronuncia delle Sezioni Unite n. 18287 del 2018.
La Sentenza S.U. n. 18287/2018 e il criterio dell’adeguatezza
Tale sentenza, anche al fine di attualizzare il diritto di riconoscimento dell’assegno agli standard europei, abbandona una rigida distinzione tra i criteri attributivi e determinativi dell’assegno di divorzio, riconoscendo che tale strumento assolve a più funzioni equamente importanti (assistenziale, compensativa e perequativa) e che si fonda sul principio costituzionale, destinato a valere anche in caso di scioglimento del vincolo, della pari dignità e solidarietà tra i coniugi.
Ai fini della determinazione del quantum debeatur, gli ermellini adottano un criterio composito che da rilievo, in relazione alla durata del matrimonio, al contributo dell’ex coniuge alla formazione del patrimonio comune e personale, alle potenzialità reddituali future (anche in considerazione alla possibilità di reimmettersi nel mondo del lavoro) nonché all’età dell’avente diritto.
L’adeguatezza dei mezzi deve essere valutata non solo in relazione alla loro mancanza o insufficienza, ma anche rispetto a quello che si è contribuito a realizzare durante il corso della vita matrimoniale, elementi che possono essere accertati anche tramite l’utilizzo dei poteri istruttori officiosi attribuiti al giudice della famiglia.
Tutto ciò, tuttavia, non deve essere visto quale segno di ultrattività dell’unione matrimoniale, ormai definitivamente sciolta (tanto da modificare irreversibilmente lo stato civile degli ex coniugi), bensì quale derivato della norma sul diritto all’assegno, la quale attribuisce una importanza fondamentale alle scelte compiute ed ai ruoli assunti all’interno della relazione coniugale e della vita familiare, elementi in grado di influenzare la vita del singolo anche successivamente al venir meno dell’unione.
Questa valutazione, sottolineano i giudici: “ha l’esclusiva funzione di accertare se la condizione di squilibrio economico patrimoniale sia da ricondurre eziologicamente alle determinazioni comuni ed ai ruoli endofamiliari, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età del richiedente”.
La disamina delle condizioni economiche dei coniugi non dovrà ispirarsi ad un astratto criterio di autosufficienza economica ma, al contrario, il giudizio dovrà essere concretamente parametrato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, anche tenendo contro delle aspettative professionali ed economiche eventualmente sacrificate.
Trattasi, quindi, di una valutazione in parte prognostica, con cui il Giudice è anche tenuto valutare la concreta possibilità di recuperare quanto sacrificato dal coniuge debole, in costanza di vincolo, per il compimento del progetto di vita comune.
Di certo, tale nuovo criterio, ove correttamente interpretato, potrà consentire una determinazione dell’assegno più equilibrata e rispettosa dei ruoli assunti dagli ex coniugi all’interno del ménage familiare con tutto ciò che ne è conseguito in termini di aspettative sacrificate, impegno personale ed economico profuso ecc…, ma rischia, altresì, nell’eventualità di una sua applicazione superficiale, un appiattimento della valutazione dell’ Autorità Giudicante sul ben noto e rodato criterio del tenore di vita, nonché sulla misura dell’assegno così come determinato nella fase di separazione.
La proposta di legge n. 506-A in esame al Senato
Lo scorso 14.05 è stato approvato da parte della Camera dei Deputati, con 386 voti a favore, 19 astensioni e nessun voto contrario, il disegno di legge recante “modifiche all’ art. 5 della l. n. 898/1970 in materia di assegno spettante a seguito di scioglimento del matrimonio o dell’unione civile”.
La proposta normativa, in attesa di essere approvata da parte del Senato, è volta ad adeguare la normativa oggi in vigore alle novità giurisprudenziali ed al mutamento del sentire sociale.
Più nel dettaglio, il tribunale, nel disporre l’attribuzione di un assegno a favore dell’ex coniuge, dovrà tenere conto:
- Della durata del matrimonio
- Delle condizioni personali ed economiche in cui i coniugi vengono a trovarsi a seguito dello scioglimento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio
- Dell’età
- Dello stato di salute del richiedente
- Del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio comune e personale
- Del patrimonio e del reddito netto di entrambi
- Della ridotta capacità reddituale dovuta a ragioni oggettive (anche tenendo conto dell’educazione ricevuta e del lavoro svolto)
- L’impegno nella cura dei figli comuni non indipendenti economicamente
Nel caso in cui la capacità reddituale ridotta sia dovuta a ragioni contingenti e/o superabili, il Tribunale potrà predeterminare la durata dell’assegno che, in ogni caso, viene meno senza possibilità di riviviscenza in caso di nuove nozze, unione civile o stabile convivenza con un altro soggetto – anche non registrata -.
Trattasi di un intervento legislativo a lungo auspicato e che, una volta entrato in vigore, si applicherà anche ai procedimenti di scioglimento/cessazione effetti civili del matrimonio in corso, ma la cui validità da un punto di vista pratico è stata già oggetto di forti critiche, in particolare sulla configurabilità di un “assegno a tempo” e sulla capacità del Giudice di determinare ex ante sino a quando perdurerà la ridotta capacità reddituale del richiedente.
Dott.ssa Caterina Marino
Assegno divorzile, in arrivo la riforma alla legge n. 898/1970
Il comma 6 dell’art. 5 della legge n. 898 del 1970 statuisce che “con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive”.
Tale disposizione, che racchiude quindi i criteri a cui deve ancorarsi l’obbligo di corrispondere l’assegno divorzile, si ispira al principio di tutela del coniuge più debole ed è volta a riequilibrare le posizioni degli ex coniugi.
Se la separazione è valutata dal legislatore come un fenomeno momentaneo, essendo sempre possibile che si ricostituisca l’affectio coniugalis, al contrario il divorzio consiste nella definitiva rottura del vincolo da cui consegue il venir meno di tutti gli effetti che a questo normalmente sono legati.
Sin dall’entrata in vigore della legge del 1970, i criteri fondanti l’assegno sono stati oggetto di una rivisitazione da parte della giurisprudenza di legittimità che hanno segnalato come la disposizione debba necessariamente tenere conto dei mutamenti del tessuto economico e sociale succedutisi nel corso del tempo.
I nuovi criteri interpretativi adottati dalle Corti, sono stati posti alla base del disegno di legge di modifica dell’art. 5 della summenzionata normativa, attualmente posto all’esame del Senato.
Ad impegnare gli interpreti sin dall’entrata in vigore della legge introduttiva del divorzio, è stata la definizione della natura stessa dell’assegno il quale, similmente a quello di mantenimento, avrebbe, secondo parte della dottrina, una natura complessa: assistenziale, risarcitoria e compensativa.
Il quantum debeatur
Ai fini della determinazione del quantum debeatur, si rende dunque necessario un accertamento della causa determinativa della rottura del rapporto coniugale, come anche degli apporti di ciascuno degli ex coniugi al ménage familiare.
All’alba della novella legislativa n. 74/1989, data la diversità delle funzioni a cui risponde (cfr. Cass. civ. n. 6641/2002), presupposto necessario del diritto a ricevere l’assegno di mantenimento era considerato la situazione di necessità del beneficiario, il quale non possiede i mezzi idonei al proprio sostentamento né si trova nelle condizioni per poterseli procurare.
Solo in presenza di questo elemento, per il Giudice era possibile valutare la sussistenza degli altri criteri posti dalla disposizione sopramenzionata, ovvero:
- Le condizioni dei coniugi
- Le ragioni della decisione
- Il contributo dato alla formazione del patrimonio comune
- I rispettivi redditi
- La durata del vincolo
La solidarietà post coniugale, costola del più generico dovere di solidarietà economico e sociale sancito dall’art. 2 della Costituzione, cessa in modo automatico solo in caso di passaggio a nuove nozze dell’ex coniuge creditore dell’assento di divorzio.
La sentenza n. 1149/1990 delle Sezioni Unite: il criterio del tenore di vita
Immediatamente dopo la novella del 1989, la giurisprudenza di legittimità ha interpretato la norma ancorandola saldamente non solo ad una situazione di indigenza del coniuge, ma anche all’impossibilità di conservare un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, con la conseguenza che l’assegno avrebbe il ruolo di ripristinare quell’equilibrio patrimoniale incrinatosi con lo scioglimento del vincolo (cfr. Cass. sez. Un. n. 1149/1990).
Solo all’esito di una valutazione basata sul tenore di vita, quindi, l’autorità giudicante avrebbe potuto valutare l’idoneità dei mezzi economici alla conservazione di quel determinato modus vivendi per poi procedere alla comparazione delle rispettive capacità economiche dei coniugi, del contesto sociale in cui questi hanno vissuto e degli altri criteri posti dall’art. 5 l. n. 898/1970.
Ad avere rilievo, tuttavia, non era un qualsiasi deterioramento della posizione economica del richiedente, ma unicamente quello apprezzabilmente rilevante ai fini della conservazione del medesimo tenore di vita avuto in costanza di matrimonio, tenuto conto dei redditi personali, dei cespiti patrimoniali e della capacità lavorativa di cui il putativo beneficiario dispone.
Tenore di vita, inoltre, non coincide con l’espressione “stile di vita”.
La giurisprudenza ha infatti sottolineato come: “anche in presenza di rilevanti potenzialità economiche un regime familiare può essere improntato ad uno stile di rigore, ma questa costituisce una scelta che non può annullare le potenzialità di una condizione economica molto agiata. Vi sono poi da considerare le aspettative che una convivenza con un coniuge possessore di un rilevante patrimonio immobiliare determinano legittimamente nell’altro, anche se tale aspettativa non può manifestarsi in un vistoso cambiamento di stile di vita, quantomeno in un determinato periodo della convivenza” (cfr. Cass. Civ. n. 23442/2013).
La sentenza del 10.05.2017 n. 11504
Per trent’anni la giurisprudenza ha fatto quindi riferimento, quale parametro dell’assegno divorzile, al concetto di tenore di vita. Un’inversione di rotta si è verificata con la sentenza del 10 maggio 2017 n. 11504 della Cass. civile.
Secondo gli ermellini è “l’indipendenza o l’autosufficienza economica dell’ex coniuge” il parametro cui ancorare l’an ed il quantum dell’assegno.
Tale decisione, passata agli onori della cronaca come “Caso Grilli”, ha avuto una forte eco tra i commentatori, rappresentando una vera e propria rivoluzione del sistema ma la cui efficacia para-normativa è inficiata dall’essere stata emessa da una sezione semplice della Corte, per di più contraddittoria rispetto al risalente precedente delle Sezioni Unite del 1990.
La sentenza del 2017 afferma espressamente che il parametro cui rapportare l’adeguatezza-inadeguatezza dei mezzi del richiedente non è più da individuarsi nel tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio e ciò perché, con il divorzio, il rapporto matrimoniale si estingue sia sul piano personale che economico/patrimoniale (a differenza di quanto avviene con la separazione personale). L’utilizzo del parametro del tenore di vita induce a operare una indebita commistione tra le due fasi del giudizio, l’una relativa alla determinazione dell’an e l’altra vertente sul quantum, spostando la debenza dell’assegno sulle qualità del soggetto pagante piuttosto che su quelle del richiedente, con il rischio che si finisca per dare una ultrattività al rapporto ormai cessato.
Al contrario, secondo gli ermellini, è quello dell’indipendenza economica reale o potenziale del richiedente (i cui indici sono rappresentati dal possesso di redditi; di un patrimonio immobiliare, dalle capacità e possibilità effettive di lavoro dalla stabile disponibilità di una abitazione) il parametro da cui scaturisce il diritto o meno all’assegno.
Alla base di tale pronuncia vi è anche un diverso sentire sociale e culturale nei confronti dell’istituto matrimoniale, il matrimonio non è più visto come una sistemazione definitiva ma quale atto di libertà dissolubile, non è quindi ravvisabile un interesse giuridicamente rilevante dell’ex coniuge a conservare il tenore di vita matrimoniale.
La giurisprudenza successiva a questa pronuncia si è mostrata piuttosto restia ad abbandonare l’ormai consolidato parametro del tenore di vita e, dunque, a sanare questa situazione di incertezza è intervenuta la pronuncia delle Sezioni Unite n. 18287 del 2018.
La Sentenza S.U. n. 18287/2018 e il criterio dell’adeguatezza
Tale sentenza, anche al fine di attualizzare il diritto di riconoscimento dell’assegno agli standard europei, abbandona una rigida distinzione tra i criteri attributivi e determinativi dell’assegno di divorzio, riconoscendo che tale strumento assolve a più funzioni equamente importanti (assistenziale, compensativa e perequativa) e che si fonda sul principio costituzionale, destinato a valere anche in caso di scioglimento del vincolo, della pari dignità e solidarietà tra i coniugi.
Ai fini della determinazione del quantum debeatur, gli ermellini adottano un criterio composito che da rilievo, in relazione alla durata del matrimonio, al contributo dell’ex coniuge alla formazione del patrimonio comune e personale, alle potenzialità reddituali future (anche in considerazione alla possibilità di reimmettersi nel mondo del lavoro) nonché all’età dell’avente diritto.
L’adeguatezza dei mezzi deve essere valutata non solo in relazione alla loro mancanza o insufficienza, ma anche rispetto a quello che si è contribuito a realizzare durante il corso della vita matrimoniale, elementi che possono essere accertati anche tramite l’utilizzo dei poteri istruttori officiosi attribuiti al giudice della famiglia.
Tutto ciò, tuttavia, non deve essere visto quale segno di ultrattività dell’unione matrimoniale, ormai definitivamente sciolta (tanto da modificare irreversibilmente lo stato civile degli ex coniugi), bensì quale derivato della norma sul diritto all’assegno, la quale attribuisce una importanza fondamentale alle scelte compiute ed ai ruoli assunti all’interno della relazione coniugale e della vita familiare, elementi in grado di influenzare la vita del singolo anche successivamente al venir meno dell’unione.
Questa valutazione, sottolineano i giudici: “ha l’esclusiva funzione di accertare se la condizione di squilibrio economico patrimoniale sia da ricondurre eziologicamente alle determinazioni comuni ed ai ruoli endofamiliari, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età del richiedente”.
La disamina delle condizioni economiche dei coniugi non dovrà ispirarsi ad un astratto criterio di autosufficienza economica ma, al contrario, il giudizio dovrà essere concretamente parametrato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, anche tenendo contro delle aspettative professionali ed economiche eventualmente sacrificate.
Trattasi, quindi, di una valutazione in parte prognostica, con cui il Giudice è anche tenuto valutare la concreta possibilità di recuperare quanto sacrificato dal coniuge debole, in costanza di vincolo, per il compimento del progetto di vita comune.
Di certo, tale nuovo criterio, ove correttamente interpretato, potrà consentire una determinazione dell’assegno più equilibrata e rispettosa dei ruoli assunti dagli ex coniugi all’interno del ménage familiare con tutto ciò che ne è conseguito in termini di aspettative sacrificate, impegno personale ed economico profuso ecc…, ma rischia, altresì, nell’eventualità di una sua applicazione superficiale, un appiattimento della valutazione dell’ Autorità Giudicante sul ben noto e rodato criterio del tenore di vita, nonché sulla misura dell’assegno così come determinato nella fase di separazione.
La proposta di legge n. 506-A in esame al Senato
Lo scorso 14.05 è stato approvato da parte della Camera dei Deputati, con 386 voti a favore, 19 astensioni e nessun voto contrario, il disegno di legge recante “modifiche all’ art. 5 della l. n. 898/1970 in materia di assegno spettante a seguito di scioglimento del matrimonio o dell’unione civile”.
La proposta normativa, in attesa di essere approvata da parte del Senato, è volta ad adeguare la normativa oggi in vigore alle novità giurisprudenziali ed al mutamento del sentire sociale.
Più nel dettaglio, il tribunale, nel disporre l’attribuzione di un assegno a favore dell’ex coniuge, dovrà tenere conto:
- Della durata del matrimonio
- Delle condizioni personali ed economiche in cui i coniugi vengono a trovarsi a seguito dello scioglimento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio
- Dell’età
- Dello stato di salute del richiedente
- Del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio comune e personale
- Del patrimonio e del reddito netto di entrambi
- Della ridotta capacità reddituale dovuta a ragioni oggettive (anche tenendo conto dell’educazione ricevuta e del lavoro svolto)
- L’impegno nella cura dei figli comuni non indipendenti economicamente
Nel caso in cui la capacità reddituale ridotta sia dovuta a ragioni contingenti e/o superabili, il Tribunale potrà predeterminare la durata dell’assegno che, in ogni caso, viene meno senza possibilità di riviviscenza in caso di nuove nozze, unione civile o stabile convivenza con un altro soggetto – anche non registrata -.
Trattasi di un intervento legislativo a lungo auspicato e che, una volta entrato in vigore, si applicherà anche ai procedimenti di scioglimento/cessazione effetti civili del matrimonio in corso, ma la cui validità da un punto di vista pratico è stata già oggetto di forti critiche, in particolare sulla configurabilità di un “assegno a tempo” e sulla capacità del Giudice di determinare ex ante sino a quando perdurerà la ridotta capacità reddituale del richiedente.
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