Published On: 6 Maggio 2017Categories: Articoli, Carmen Giovannini, Diritto di famiglia

Assegno di mantenimento, la validità probatoria di certificazione medica privata

La Corte di Cassazione, Sez. VI Civile, con ordinanza n. 7153/17, depositata il 20 marzo, si è pronunciata in materia di assegno mensile di divorzio.

Nel caso di specie, la moglie ha proposto appello avverso la sentenza con cui il Tribunale di Roma aveva sciolto il matrimonio, dolendosi della circostanza secondo cui i Giudici di prime cure, nel calcolare l’ammontare dell’assegno di mantenimento, non avevano tenuto conto della sussistenza della patologia da cui la stessa era affetta e che ne condizionava la capacità lavorativa.

I Magistrati della Corte d’Appello, accogliendo in parte il gravame della donna, hanno aumentato l’importo dell’assegno di mantenimento da €350 a €500.

Avverso quest’ultima decisione ha proposto ricorso per Cassazione il marito lamentando la circostanza secondo cui la Corte d’Appello avrebbe attribuito ad una certificazione medica privata capacità e validità probatoria, ponendo poi tali documenti a fondamento della decisione assunta; il ricorrente ha altresì contestato la valutazione del suo reddito in base alla quale la Corte Territoriale ha poi aumentato l’importo dell’assegno divorzile.

Gli Ermellini, chiamati a pronunciarsi, hanno ritenuto che la valutazione sull’attendibilità delle prove su cui la Corte d’Appello ha fondato la sua decisione sia un aspetto non soggetto a scrutinio in sede di legittimità e tale ragionamento è applicabile sia per quanto concerne la valutazione sull’attendibilità dei certificati medici prodotti dalla donna, sia per la valutazione del reddito del marito, in merito al quale i Magistrati del Palazzaccio hanno altresì specificato che “il reddito risulta accertato in base ai CUD ed altri estratti conto bancari”

Pertanto, alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso, affermando che “non emergono elementi che possano portare a conclusioni diverse rispetto a quelle già rassegnate” e condannando il ricorrente al pagamento delle spese.

Dott.ssa Carmen Giovannini

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Published On: 6 Maggio 2017Categories: Articoli, Carmen Giovannini, Diritto di famigliaBy

Assegno di mantenimento, la validità probatoria di certificazione medica privata

La Corte di Cassazione, Sez. VI Civile, con ordinanza n. 7153/17, depositata il 20 marzo, si è pronunciata in materia di assegno mensile di divorzio.

Nel caso di specie, la moglie ha proposto appello avverso la sentenza con cui il Tribunale di Roma aveva sciolto il matrimonio, dolendosi della circostanza secondo cui i Giudici di prime cure, nel calcolare l’ammontare dell’assegno di mantenimento, non avevano tenuto conto della sussistenza della patologia da cui la stessa era affetta e che ne condizionava la capacità lavorativa.

I Magistrati della Corte d’Appello, accogliendo in parte il gravame della donna, hanno aumentato l’importo dell’assegno di mantenimento da €350 a €500.

Avverso quest’ultima decisione ha proposto ricorso per Cassazione il marito lamentando la circostanza secondo cui la Corte d’Appello avrebbe attribuito ad una certificazione medica privata capacità e validità probatoria, ponendo poi tali documenti a fondamento della decisione assunta; il ricorrente ha altresì contestato la valutazione del suo reddito in base alla quale la Corte Territoriale ha poi aumentato l’importo dell’assegno divorzile.

Gli Ermellini, chiamati a pronunciarsi, hanno ritenuto che la valutazione sull’attendibilità delle prove su cui la Corte d’Appello ha fondato la sua decisione sia un aspetto non soggetto a scrutinio in sede di legittimità e tale ragionamento è applicabile sia per quanto concerne la valutazione sull’attendibilità dei certificati medici prodotti dalla donna, sia per la valutazione del reddito del marito, in merito al quale i Magistrati del Palazzaccio hanno altresì specificato che “il reddito risulta accertato in base ai CUD ed altri estratti conto bancari”

Pertanto, alla luce di tali considerazioni, la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso, affermando che “non emergono elementi che possano portare a conclusioni diverse rispetto a quelle già rassegnate” e condannando il ricorrente al pagamento delle spese.

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