Assegnazione beni comuni: sì alla deroga sull’assegnazione al maggior quotista
La Corte di Cassazione con sentenza n. 22663, depositata il 5 novembre 2015 si è pronunciata in tema di scioglimento della comunione ereditaria.
Il caso sottoposto all’attenzione dei Giudici di legittimità prende le mosse da un atto di citazione notificato da uno dei coeredi agli altri quattro per ottenere lo scioglimento della comunione ereditaria su un bene immobile appartenuto al de cuius.
Nel corso del giudizio due dei fratelli convenuti cedevano all’attore i diritti da essi vantati sul bene immobile. Conseguentemente, tra questi e i due fratelli cessava la materia del contendere. Gli altri due fratelli convenuti, invece, chiedevano che venisse loro assegnato l’immobile tenuto conto dell’attività di ristorazione che gli stessi ivi svolgevano.
All’esito del disposto prosieguo del giudizio il Tribunale di prima istanza, con sentenza definitiva del 23 novembre 2000/11 aprile 2002, disponeva lo scioglimento della comunione attribuendo l’immobile de quo congiuntamente ai due fratelli convenuti determinando altresì un importo a conguaglio in favore dell’attore, non assegnatario dell’immobile.
All’esito del giudizio di appello la Corte territoriale, in accoglimento del gravame introdotto dall’erede non assegnatario, riformava la sentenza impugnata e in applicazione del principio previsto dall’art. 720 c.c. (secondo cui per i beni ereditari indivisibili o non comodamente divisibili vige il principio dell’assegnazione al coerede che detiene la maggior quota del bene) attribuiva l’intero immobile all’appellante determinando un importo a conguaglio in favore dei due fratelli appellati.
La Suprema Corte ha ricordato sul punto che un recente orientamento giurisprudenziale riconosce al Giudice la possibilità di deroga al criterio preferenziale di assegnazione al maggior quotista, ancorché vincolato all’obbligo di motivazione ed a sostanziali e seri motivi.
Nel caso di specie, rileva la Corte di cassazione i ricorrenti nell’atto di appello incidentale avevano ben fatto presente il valore conseguito dall’azienda e la rilevante circostanza (della quale comunque andava dato conto), per cui “la perdita dei locali per una qualsiasi ragione determina altresì la perdita dell’avviamento commerciale” e la stessa possibilità della sua prosecuzione e continuazione.
Tale circostanza rappresenta per i Giudici di Piazza Cavour un “serio motivo” atto a poter giustificare il ricorso ad altro criterio derogatorio di assegnazione dei beni comuni rispetto a quello ordinario.
La sentenza impugnata pertanto è, a parere dei giudici di legittimità, censurabile in quanto, attribuendo il bene ereditario al coerede detentore della quota maggiore, non ha “valutato e tenuto in adeguato conto – nell’ipotesi dedotta in giudizio – la sussistenza di motivi che potevano e possono giustificare una soluzione derogatoria differente rispetto a quella ordinaria”.
Assegnazione beni comuni: sì alla deroga sull’assegnazione al maggior quotista
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Il caso sottoposto all’attenzione dei Giudici di legittimità prende le mosse da un atto di citazione notificato da uno dei coeredi agli altri quattro per ottenere lo scioglimento della comunione ereditaria su un bene immobile appartenuto al de cuius.
Nel corso del giudizio due dei fratelli convenuti cedevano all’attore i diritti da essi vantati sul bene immobile. Conseguentemente, tra questi e i due fratelli cessava la materia del contendere. Gli altri due fratelli convenuti, invece, chiedevano che venisse loro assegnato l’immobile tenuto conto dell’attività di ristorazione che gli stessi ivi svolgevano.
All’esito del disposto prosieguo del giudizio il Tribunale di prima istanza, con sentenza definitiva del 23 novembre 2000/11 aprile 2002, disponeva lo scioglimento della comunione attribuendo l’immobile de quo congiuntamente ai due fratelli convenuti determinando altresì un importo a conguaglio in favore dell’attore, non assegnatario dell’immobile.
All’esito del giudizio di appello la Corte territoriale, in accoglimento del gravame introdotto dall’erede non assegnatario, riformava la sentenza impugnata e in applicazione del principio previsto dall’art. 720 c.c. (secondo cui per i beni ereditari indivisibili o non comodamente divisibili vige il principio dell’assegnazione al coerede che detiene la maggior quota del bene) attribuiva l’intero immobile all’appellante determinando un importo a conguaglio in favore dei due fratelli appellati.
La Suprema Corte ha ricordato sul punto che un recente orientamento giurisprudenziale riconosce al Giudice la possibilità di deroga al criterio preferenziale di assegnazione al maggior quotista, ancorché vincolato all’obbligo di motivazione ed a sostanziali e seri motivi.
Nel caso di specie, rileva la Corte di cassazione i ricorrenti nell’atto di appello incidentale avevano ben fatto presente il valore conseguito dall’azienda e la rilevante circostanza (della quale comunque andava dato conto), per cui “la perdita dei locali per una qualsiasi ragione determina altresì la perdita dell’avviamento commerciale” e la stessa possibilità della sua prosecuzione e continuazione.
Tale circostanza rappresenta per i Giudici di Piazza Cavour un “serio motivo” atto a poter giustificare il ricorso ad altro criterio derogatorio di assegnazione dei beni comuni rispetto a quello ordinario.
La sentenza impugnata pertanto è, a parere dei giudici di legittimità, censurabile in quanto, attribuendo il bene ereditario al coerede detentore della quota maggiore, non ha “valutato e tenuto in adeguato conto – nell’ipotesi dedotta in giudizio – la sussistenza di motivi che potevano e possono giustificare una soluzione derogatoria differente rispetto a quella ordinaria”.
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