Published On: 8 Maggio 2020Categories: Articoli, News

Applicabilità al processo fallimentare della disciplina generale delle impugnazioni

Applicabilità al processo fallimentare della disciplina generale delle impugnazioni –  Commento alla Sentenza della Prima Sezione Civile Corte di Cassazione n. 3022 del 10/2/20

“Il fenomeno estintivo ex art.393 c.p.c nel procedimento per la dichiarazione di fallimento” di Giorgia Gennari

La Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3022 del 10 febbraio 2020, si è soffermata sulla questione relativa all’applicabilità al processo fallimentare della disciplina generale delle impugnazioni e, in particolare, dell’art.393 c.p.c, nella parte in cui dispone che in caso di mancata riassunzione o di estinzione del giudizio di rinvio, “l’intero processo si estingue”.

L’occasione per la pronuncia nasce da una fattispecie in cui, dichiarato il fallimento di una società di fatto e dei soci personalmente e illimitatamente responsabili, uno di costoro aveva proposto reclamo ex art.18 l. fall. avverso la sentenza dichiarativa di fallimento. L’impugnazione veniva rigettata con la conferma della sentenza del giudice delle prime cure ma, a seguito del ricorso per Cassazione, la pronuncia veniva ribaltata, cassando la sentenza della Corte d’Appello e rinviando la causa al medesimo ufficio giudiziario (in diversa composizione) ai fini del riesame della dichiarazione del fallimento del ricorrente. Stante la mancata riassunzione nei termini prescritti, il ricorrente richiedeva al giudice delegato di far annotare presso il Registro delle Imprese l’avvenuta estinzione del giudizio ai sensi dell’art. 393 c.p.c. Ma a seguito del decreto di diniego dell’istanza, il ricorrente proponeva reclamo ex art. 26 l.fall., anch’esso rigettato da parte del Tribunale. L’ordinanza di rigetto, emessa sul presupposto che alla mancata riassunzione del giudizio di reclamo non consegua necessariamente l’estinzione dell’intero processo di fallimento, in quanto la struttura del giudizio fallimentare è ostativa all’applicazione della disciplina generale dettata dall’art.393 c.p.c, veniva quindi nuovamente impugnata con ricorso per Cassazione.

Il Tribunale di Roma, nel contestare le ragioni del ricorrente, in primo luogo sosteneva che gli effetti della sentenza di fallimento possano essere rimossi unicamente dal passaggio in giudicato della sentenza che ne dispone la revoca e che quella emessa in sede di reclamo non sia destinata a sostituirsi a quella di fallimento. Rilevava, inoltre, come il reclamo ex art.18 l.fall. non sia assimilabile ad una normale impugnazione, ma presenterebbe caratteristiche peculiari, come la previsione per cui la dichiarazione del fallimento può provenire solo dal tribunale, elemento che impedirebbe l’applicazione della regola generale. L’art. 393 c.p.c., viceversa, essendo un “principio derogabile in certi settori dell’ordinamento in ragione delle loro peculiarità sostanziali e procedurali” sarebbe applicabile unicamente in quei casi in cui la sentenza di primo grado, in quanto già sostituita da quella d’appello, può essere travolta dalla cassazione della decisione sostitutiva.

La Corte, invece, accogliendo le doglianze del ricorrente, osservava che la soluzione offerta dal Tribunale non era condivisibile in quanto basata su una forzatura dei dati normativi, oltre che sul travisamento della natura attribuibile all’art.393 c.p.c., nel contesto della distinzione tra regole processuali e principi derogabili per effetto di principi “altri”, da riscontrare a livello sistematico.

Quanto al primo profilo messo in luce dal Tribunale, la Corte per quanto abbia confermato il principio generale per cui gli effetti della sentenza dichiarativa di fallimento possano essere rimossi unicamente con il passaggio in giudicato della successiva sentenza di revoca, sottolineava come tale aspetto, non aveva rilevanza alcuna nel caso di specie. Nel caso concreto, infatti, non era in discussione la revoca della sentenza, bensì l’interrogativo sulle conseguenze della mancata riassunzione del giudizio di rinvio dopo la sentenza della Cassazione.

In merito al secondo profilo, il Tribunale, pur non negando l’astratta applicabilità dell’art.393 c.p.c. al caso dell’omessa riassunzione del giudizio di reclamo contro la sentenza dichiarativa di fallimento, ne aveva, a giudizio della Corte, compresso l’ambito. Secondo il Tribunale, infatti, il giudizio di reclamo non aveva ad oggetto l’originaria domanda di fallimento, bensì il gravame proposto contro la sentenza. Di conseguenza, la mancata riassunzione entro il termine avrebbe potuto determinare unicamente l’estinzione del processo di reclamo e non l’intero processo fallimentare.

Ad avviso della Corte, tale ricostruzione appare viziata nei suoi presupposti, in quanto l’oggetto del giudizio di reclamo non può scindersi da quello innestato dalla domanda di fallimento, che a differenza del regime ormai superato, è oggi modellato sull’archetipo del procedimento giurisdizionale di tipo contenzioso in contraddittorio tra le parti. L’aver attribuito al procedimento di reclamo contro la sentenza dichiarativa di fallimento un effetto devolutivo pieno, ha consentito alla Corte di delineare l’esatto ambito del giudizio stesso non limitandolo alla sola sentenza, bensì estendendolo ai suoi presupposti. La diretta conseguenza di tale conclusione consiste nel concepirlo come un giudizio funzionale a sottoporre ad una nuova valutazione, nei limiti delle censure sollevate, proprio la domanda formulata con il ricorso al tribunale, ai sensi degli artt. 6 e 7 l.fall.

Tra gli argomenti utilizzati dal Tribunale volti a dimostrare l’inapplicabilità dell’art. 393 c.p.c. al caso di specie, vi è l’idea che la suddetta disposizione esprima non una “regola processuale”, bensì “un principio derogabile in determinati settori dell’ordinamento”. La Corte, dopo aver indicato le principali differenze intercorrenti tra i due strumenti normativi, ha agevolmente concluso che all’art. 393 c.p.c vada riconosciuta la natura di regola e non di principio. Infatti, se in linea generale più principii possono idealmente coesistere, andando a formare il tessuto connettivo di ogni ordinamento, le regole non conoscono alternativa, il loro ambito può essere solo derogato dinanzi ad un’altra regola, speciale e prevalente, rinvenibile sul piano del diritto positivo per singole fattispecie appositamente disciplinate. Nel caso di specie, non essendoci un caso concretamente disciplinato in senso derogatorio e non trovando applicazione una regola specifica, a giudizio della Corte, deve trovare applicazione la regola generale di cui all’art.393 c.p.c. Regola che prescrive l’estinzione dell’intero processo in caso di mancata riassunzione entro il termine fissato.

Nel cassare il provvedimento del tribunale di Roma, la Corte ha enunciato il principio di diritto per cui “in tema di effetti del giudizio di rinvio sul giudizio per dichiarazione del fallimento, ove la sentenza di rigetto del reclamo contro la sentenza dichiarativa, di cui all’art.18 l.fall., sia stata cassata con rinvio, e il processo non sia stato riassunto nel termine prescritto, trova piena applicazione la regola generale di cui all’art.393 c.p.c., alla stregua della quale alla mancata riassunzione consegue l’estinzione dell’intero processo e, quindi, anche l’inefficacia della sentenza di fallimento.”

Fonte foto: database freepik

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Applicabilità al processo fallimentare della disciplina generale delle impugnazioni –  Commento alla Sentenza della Prima Sezione Civile Corte di Cassazione n. 3022 del 10/2/20

“Il fenomeno estintivo ex art.393 c.p.c nel procedimento per la dichiarazione di fallimento” di Giorgia Gennari

La Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3022 del 10 febbraio 2020, si è soffermata sulla questione relativa all’applicabilità al processo fallimentare della disciplina generale delle impugnazioni e, in particolare, dell’art.393 c.p.c, nella parte in cui dispone che in caso di mancata riassunzione o di estinzione del giudizio di rinvio, “l’intero processo si estingue”.

L’occasione per la pronuncia nasce da una fattispecie in cui, dichiarato il fallimento di una società di fatto e dei soci personalmente e illimitatamente responsabili, uno di costoro aveva proposto reclamo ex art.18 l. fall. avverso la sentenza dichiarativa di fallimento. L’impugnazione veniva rigettata con la conferma della sentenza del giudice delle prime cure ma, a seguito del ricorso per Cassazione, la pronuncia veniva ribaltata, cassando la sentenza della Corte d’Appello e rinviando la causa al medesimo ufficio giudiziario (in diversa composizione) ai fini del riesame della dichiarazione del fallimento del ricorrente. Stante la mancata riassunzione nei termini prescritti, il ricorrente richiedeva al giudice delegato di far annotare presso il Registro delle Imprese l’avvenuta estinzione del giudizio ai sensi dell’art. 393 c.p.c. Ma a seguito del decreto di diniego dell’istanza, il ricorrente proponeva reclamo ex art. 26 l.fall., anch’esso rigettato da parte del Tribunale. L’ordinanza di rigetto, emessa sul presupposto che alla mancata riassunzione del giudizio di reclamo non consegua necessariamente l’estinzione dell’intero processo di fallimento, in quanto la struttura del giudizio fallimentare è ostativa all’applicazione della disciplina generale dettata dall’art.393 c.p.c, veniva quindi nuovamente impugnata con ricorso per Cassazione.

Il Tribunale di Roma, nel contestare le ragioni del ricorrente, in primo luogo sosteneva che gli effetti della sentenza di fallimento possano essere rimossi unicamente dal passaggio in giudicato della sentenza che ne dispone la revoca e che quella emessa in sede di reclamo non sia destinata a sostituirsi a quella di fallimento. Rilevava, inoltre, come il reclamo ex art.18 l.fall. non sia assimilabile ad una normale impugnazione, ma presenterebbe caratteristiche peculiari, come la previsione per cui la dichiarazione del fallimento può provenire solo dal tribunale, elemento che impedirebbe l’applicazione della regola generale. L’art. 393 c.p.c., viceversa, essendo un “principio derogabile in certi settori dell’ordinamento in ragione delle loro peculiarità sostanziali e procedurali” sarebbe applicabile unicamente in quei casi in cui la sentenza di primo grado, in quanto già sostituita da quella d’appello, può essere travolta dalla cassazione della decisione sostitutiva.

La Corte, invece, accogliendo le doglianze del ricorrente, osservava che la soluzione offerta dal Tribunale non era condivisibile in quanto basata su una forzatura dei dati normativi, oltre che sul travisamento della natura attribuibile all’art.393 c.p.c., nel contesto della distinzione tra regole processuali e principi derogabili per effetto di principi “altri”, da riscontrare a livello sistematico.

Quanto al primo profilo messo in luce dal Tribunale, la Corte per quanto abbia confermato il principio generale per cui gli effetti della sentenza dichiarativa di fallimento possano essere rimossi unicamente con il passaggio in giudicato della successiva sentenza di revoca, sottolineava come tale aspetto, non aveva rilevanza alcuna nel caso di specie. Nel caso concreto, infatti, non era in discussione la revoca della sentenza, bensì l’interrogativo sulle conseguenze della mancata riassunzione del giudizio di rinvio dopo la sentenza della Cassazione.

In merito al secondo profilo, il Tribunale, pur non negando l’astratta applicabilità dell’art.393 c.p.c. al caso dell’omessa riassunzione del giudizio di reclamo contro la sentenza dichiarativa di fallimento, ne aveva, a giudizio della Corte, compresso l’ambito. Secondo il Tribunale, infatti, il giudizio di reclamo non aveva ad oggetto l’originaria domanda di fallimento, bensì il gravame proposto contro la sentenza. Di conseguenza, la mancata riassunzione entro il termine avrebbe potuto determinare unicamente l’estinzione del processo di reclamo e non l’intero processo fallimentare.

Ad avviso della Corte, tale ricostruzione appare viziata nei suoi presupposti, in quanto l’oggetto del giudizio di reclamo non può scindersi da quello innestato dalla domanda di fallimento, che a differenza del regime ormai superato, è oggi modellato sull’archetipo del procedimento giurisdizionale di tipo contenzioso in contraddittorio tra le parti. L’aver attribuito al procedimento di reclamo contro la sentenza dichiarativa di fallimento un effetto devolutivo pieno, ha consentito alla Corte di delineare l’esatto ambito del giudizio stesso non limitandolo alla sola sentenza, bensì estendendolo ai suoi presupposti. La diretta conseguenza di tale conclusione consiste nel concepirlo come un giudizio funzionale a sottoporre ad una nuova valutazione, nei limiti delle censure sollevate, proprio la domanda formulata con il ricorso al tribunale, ai sensi degli artt. 6 e 7 l.fall.

Tra gli argomenti utilizzati dal Tribunale volti a dimostrare l’inapplicabilità dell’art. 393 c.p.c. al caso di specie, vi è l’idea che la suddetta disposizione esprima non una “regola processuale”, bensì “un principio derogabile in determinati settori dell’ordinamento”. La Corte, dopo aver indicato le principali differenze intercorrenti tra i due strumenti normativi, ha agevolmente concluso che all’art. 393 c.p.c vada riconosciuta la natura di regola e non di principio. Infatti, se in linea generale più principii possono idealmente coesistere, andando a formare il tessuto connettivo di ogni ordinamento, le regole non conoscono alternativa, il loro ambito può essere solo derogato dinanzi ad un’altra regola, speciale e prevalente, rinvenibile sul piano del diritto positivo per singole fattispecie appositamente disciplinate. Nel caso di specie, non essendoci un caso concretamente disciplinato in senso derogatorio e non trovando applicazione una regola specifica, a giudizio della Corte, deve trovare applicazione la regola generale di cui all’art.393 c.p.c. Regola che prescrive l’estinzione dell’intero processo in caso di mancata riassunzione entro il termine fissato.

Nel cassare il provvedimento del tribunale di Roma, la Corte ha enunciato il principio di diritto per cui “in tema di effetti del giudizio di rinvio sul giudizio per dichiarazione del fallimento, ove la sentenza di rigetto del reclamo contro la sentenza dichiarativa, di cui all’art.18 l.fall., sia stata cassata con rinvio, e il processo non sia stato riassunto nel termine prescritto, trova piena applicazione la regola generale di cui all’art.393 c.p.c., alla stregua della quale alla mancata riassunzione consegue l’estinzione dell’intero processo e, quindi, anche l’inefficacia della sentenza di fallimento.”

Fonte foto: database freepik

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