Abolizione dell’assegno di mantenimento dopo la separazione
In relazione all’assegno di mantenimento in tema di separazione e di divorzio, i nostri giudici hanno sempre fatto riferimento come parametro al concetto di “tenore di vita”.
Infatti, il giudice doveva valutare in caso di separazione o divorzio quale dei due coniugi avesse un reddito più alto, tale da consentire il mantenimento dell’altro.
La ratio di tale iter logico-giuridico era consentire ai coniugi di godere dello stesso tenore di vita che avevano avuto durante la vita matrimoniale, derivante soprattutto da una concezione patrimonialistica /patriarcale del matrimonio.
Per quanto riguarda l’assegno di divorzio, è stata la sentenza n. 11504/2017 della Suprema Corte di Cassazione, del 10.05.17, meglio conosciuta come Sentenza Grilli, a rivoluzionare la funzione e la ragion d’essere dell’assegno di mantenimento ed a stabilire il nuovo principio secondo il quale l’assegno mensile dovuto al coniuge dopo il divorzio non avrebbe più dovuto avere la funzione di far mantenere lo stesso tenore di vita avuto durante la vita matrimoniale, ma semplicemente quella di garantire l’autosufficienza economica del coniuge cui veniva riconosciuto tale diritto.
Successivamente, sempre in merito al divorzio, sono intervenute le Sezioni Unite della Cassazione, con la sentenza n. 18287 dell’11 luglio 2018, le quali hanno statuito che all’assegno divorzile deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa.
Infatti, come parametro di valutazione è richiesto l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi, o comunque dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive ed in particolare
“alla luce della valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla condizione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all’età dell’avente diritto”.
Per la Suprema Corte, quindi, è necessario riconoscere il valore dell’apporto dato alla vita familiare dal coniuge economicamente più debole ed in base a questo il giudice dovrà primariamente accertare lo squilibrio determinato dal divorzio e conseguentemente verificare l’adeguatezza dei mezzi del coniuge più debole.
L’adeguatezza dei mezzi dovrà essere valutata sia da un punto di vista oggettivo, ossia come concreta mancanza o insufficienza degli stessi, sia da un punto di vista soggettivo, quindi “in relazione a quel che si è contribuito a realizzare in funzione della vita familiare e che, sciolto il vincolo, produrrebbe effetti vantaggiosi unilateralmente per una sola parte”.
Per quanto riguarda, invece, l’assegno di mantenimento in tema di separazione, la giurisprudenza ha fatto, ed in parte ancora oggi fa, più fatica ad abbandonare il parametro del tenore di vita, poiché la separazione non comporterebbe la cessazione degli effetti civili del matrimonio.
Infatti, mentre nel maggio del 2017 la Cassazione emetteva la sentenza Grilli in relazione all’assegno di divorzio, la stessa Suprema Corte, con sentenza n. 12196 del 2017, stabiliva quanto segue in relazione all’assegno di mantenimento in tema di separazione:
“La separazione personale, a differenza dello scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, presuppone la permanenza del vincolo coniugale, sicché i “redditi adeguati” cui va rapportato, ai sensi dell’art. 156 c.c., l’assegno di mantenimento a favore del coniuge, in assenza della condizione ostativa dell’addebito, sono quelli necessari a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, essendo ancora attuale il dovere di assistenza materiale, che non presenta alcuna incompatibilità con tale situazione temporanea, dalla quale deriva solo la sospensione degli obblighi di natura personale di fedeltà, convivenza e collaborazione, e che ha una consistenza ben diversa della solidarietà post – coniugale, presupposto dell’assegno di divorzio”.
Successivamente, però, la Giurisprudenza ha iniziato a cambiare orientamento.
La Corte d’Appello di Roma, con ordinanza n. 3019 del 2017 negava ad uno dei coniugi l’assegno di mantenimento poiché lo stesso risultava autosufficiente economicamente. Ed infatti, la moglie nel caso di specie, veniva considerata in grado “per capacità di lavoro, di reddito e di patrimonio, dimostrata e già conseguita prima del matrimonio e successivamente mantenuta, di provvedere con i propri mezzi a se stessa”.
Quindi, veniva negato ed anzi revocato l’assegno di mantenimento anche se successivo alla separazione.
La stessa Corte di Cassazione con sentenza del 19.06.2019 n.16405 segue il citato orientamento della Corte d’Appello di Roma stabilendo che:
“Anche in relazione alla determinazione dell’assegno di mantenimento nella separazione personale dei coniugi, similmente a quanto si ritiene ormai valevole in riferimento all’assegno divorzile, il tenore di vita matrimoniale non rappresenta un parametro al quale il giudice debba attenersi, quale criterio determinativo del quantum. Ne consegue che, soprattutto in caso di estrema brevità della convivenza matrimoniale, l’ammontare dell’assegno in favore del coniuge, anche in sede di separazione, può essere debitamente contenuto”.
Nello stesso senso si pronuncia sempre la Suprema Corte di Cassazione che con l’ordinanza 26084/2019 espressamente stabilisce che non deve essere valutato quale criterio per stabilire il quantum dell’assegno di mantenimento dopo la separazione il tenore di vita sostenuto durante il matrimonio, proprio come è pacificamente sancito per l’assegno di mantenimento dovuto dopo il divorzio.
Dunque, considerato che l’art. 156 c.c. fa riferimento all’adeguatezza dei redditi del coniuge economicamente più debole, se in passato la giurisprudenza aveva adottato quale parametro per valutare detta adeguatezza il tenore di vita sostenuto durante il matrimonio, a seguito delle diverse pronunce della Corte di Cassazione (Cass. Sez. Un. 18287/2018 in relazione al divorzio; Cass. Ord. 16405/2018; Cass. Ord. 26084/2019 in relazione all’assegno successivo alla separazione) si è affermato l’orientamento per il quale la funzione dell’assegno di mantenimento in tema di divorzio consiste nell’assicurare un contributo che consenta al coniuge richiedente di raggiungere un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare.
Quindi, seppure in maniera più discorde in relazione all’assegno di mantenimento dovuto successivamente alla separazione, poiché pronunce recenti ancora fanno riferimento al tenore di vita quale criterio per valutare il quantum dovuto, si può affermare che la funzione dell’assegno di mantenimento, pacificamente per il divorzio e secondo l’orientamento maggioritario per la separazione, è totalmente cambiata e si è abbandonato/si sta abbandonando il criterio del tenore di vita quale parametro di valutazione.
Abolizione dell’assegno di mantenimento dopo la separazione
In relazione all’assegno di mantenimento in tema di separazione e di divorzio, i nostri giudici hanno sempre fatto riferimento come parametro al concetto di “tenore di vita”.
Infatti, il giudice doveva valutare in caso di separazione o divorzio quale dei due coniugi avesse un reddito più alto, tale da consentire il mantenimento dell’altro.
La ratio di tale iter logico-giuridico era consentire ai coniugi di godere dello stesso tenore di vita che avevano avuto durante la vita matrimoniale, derivante soprattutto da una concezione patrimonialistica /patriarcale del matrimonio.
Per quanto riguarda l’assegno di divorzio, è stata la sentenza n. 11504/2017 della Suprema Corte di Cassazione, del 10.05.17, meglio conosciuta come Sentenza Grilli, a rivoluzionare la funzione e la ragion d’essere dell’assegno di mantenimento ed a stabilire il nuovo principio secondo il quale l’assegno mensile dovuto al coniuge dopo il divorzio non avrebbe più dovuto avere la funzione di far mantenere lo stesso tenore di vita avuto durante la vita matrimoniale, ma semplicemente quella di garantire l’autosufficienza economica del coniuge cui veniva riconosciuto tale diritto.
Successivamente, sempre in merito al divorzio, sono intervenute le Sezioni Unite della Cassazione, con la sentenza n. 18287 dell’11 luglio 2018, le quali hanno statuito che all’assegno divorzile deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa.
Infatti, come parametro di valutazione è richiesto l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi, o comunque dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive ed in particolare
“alla luce della valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla condizione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all’età dell’avente diritto”.
Per la Suprema Corte, quindi, è necessario riconoscere il valore dell’apporto dato alla vita familiare dal coniuge economicamente più debole ed in base a questo il giudice dovrà primariamente accertare lo squilibrio determinato dal divorzio e conseguentemente verificare l’adeguatezza dei mezzi del coniuge più debole.
L’adeguatezza dei mezzi dovrà essere valutata sia da un punto di vista oggettivo, ossia come concreta mancanza o insufficienza degli stessi, sia da un punto di vista soggettivo, quindi “in relazione a quel che si è contribuito a realizzare in funzione della vita familiare e che, sciolto il vincolo, produrrebbe effetti vantaggiosi unilateralmente per una sola parte”.
Per quanto riguarda, invece, l’assegno di mantenimento in tema di separazione, la giurisprudenza ha fatto, ed in parte ancora oggi fa, più fatica ad abbandonare il parametro del tenore di vita, poiché la separazione non comporterebbe la cessazione degli effetti civili del matrimonio.
Infatti, mentre nel maggio del 2017 la Cassazione emetteva la sentenza Grilli in relazione all’assegno di divorzio, la stessa Suprema Corte, con sentenza n. 12196 del 2017, stabiliva quanto segue in relazione all’assegno di mantenimento in tema di separazione:
“La separazione personale, a differenza dello scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, presuppone la permanenza del vincolo coniugale, sicché i “redditi adeguati” cui va rapportato, ai sensi dell’art. 156 c.c., l’assegno di mantenimento a favore del coniuge, in assenza della condizione ostativa dell’addebito, sono quelli necessari a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, essendo ancora attuale il dovere di assistenza materiale, che non presenta alcuna incompatibilità con tale situazione temporanea, dalla quale deriva solo la sospensione degli obblighi di natura personale di fedeltà, convivenza e collaborazione, e che ha una consistenza ben diversa della solidarietà post – coniugale, presupposto dell’assegno di divorzio”.
Successivamente, però, la Giurisprudenza ha iniziato a cambiare orientamento.
La Corte d’Appello di Roma, con ordinanza n. 3019 del 2017 negava ad uno dei coniugi l’assegno di mantenimento poiché lo stesso risultava autosufficiente economicamente. Ed infatti, la moglie nel caso di specie, veniva considerata in grado “per capacità di lavoro, di reddito e di patrimonio, dimostrata e già conseguita prima del matrimonio e successivamente mantenuta, di provvedere con i propri mezzi a se stessa”.
Quindi, veniva negato ed anzi revocato l’assegno di mantenimento anche se successivo alla separazione.
La stessa Corte di Cassazione con sentenza del 19.06.2019 n.16405 segue il citato orientamento della Corte d’Appello di Roma stabilendo che:
“Anche in relazione alla determinazione dell’assegno di mantenimento nella separazione personale dei coniugi, similmente a quanto si ritiene ormai valevole in riferimento all’assegno divorzile, il tenore di vita matrimoniale non rappresenta un parametro al quale il giudice debba attenersi, quale criterio determinativo del quantum. Ne consegue che, soprattutto in caso di estrema brevità della convivenza matrimoniale, l’ammontare dell’assegno in favore del coniuge, anche in sede di separazione, può essere debitamente contenuto”.
Nello stesso senso si pronuncia sempre la Suprema Corte di Cassazione che con l’ordinanza 26084/2019 espressamente stabilisce che non deve essere valutato quale criterio per stabilire il quantum dell’assegno di mantenimento dopo la separazione il tenore di vita sostenuto durante il matrimonio, proprio come è pacificamente sancito per l’assegno di mantenimento dovuto dopo il divorzio.
Dunque, considerato che l’art. 156 c.c. fa riferimento all’adeguatezza dei redditi del coniuge economicamente più debole, se in passato la giurisprudenza aveva adottato quale parametro per valutare detta adeguatezza il tenore di vita sostenuto durante il matrimonio, a seguito delle diverse pronunce della Corte di Cassazione (Cass. Sez. Un. 18287/2018 in relazione al divorzio; Cass. Ord. 16405/2018; Cass. Ord. 26084/2019 in relazione all’assegno successivo alla separazione) si è affermato l’orientamento per il quale la funzione dell’assegno di mantenimento in tema di divorzio consiste nell’assicurare un contributo che consenta al coniuge richiedente di raggiungere un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare.
Quindi, seppure in maniera più discorde in relazione all’assegno di mantenimento dovuto successivamente alla separazione, poiché pronunce recenti ancora fanno riferimento al tenore di vita quale criterio per valutare il quantum dovuto, si può affermare che la funzione dell’assegno di mantenimento, pacificamente per il divorzio e secondo l’orientamento maggioritario per la separazione, è totalmente cambiata e si è abbandonato/si sta abbandonando il criterio del tenore di vita quale parametro di valutazione.
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