BANCAROTTA RIPARATA E FINANZIAMENTI DEI SOCI
Con la sentenza in esame la Corte di Cassazione definisce e analizza una particolare tipologia di bancarotta fraudolenta, la cosiddetta bancarotta “riparata”, di origine giurisprudenziale.
- La bancarotta “riparata”
La bancarotta “riparata” è stata introdotta con la sentenza della Corte di Cassazione penale n. 6408 del 2014. Essa determina la non punibilità di colui che, avendo posto in essere le condotte previste ex art. 216 comma 1 n. 1 della legge fallimentare e, dunque, avendo messo in pericolo la garanzia per i propri creditori, successivamente si ravveda e si attivi al fine di reintegrare il patrimonio dell’impresa. È necessario, tuttavia, che la riparazione avvenga prima dell’insorgenza del dissesto e, dunque, della dichiarazione di fallimento, proprio perché da questo momento in poi l’imprenditore non potrà più disporre del suo patrimonio.
Attualmente il reato di bancarotta fraudolenta è disciplinato dall’articolo 322 del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, il D. lgs. n. 14 del 2019, piuttosto che dagli articoli 216 e 223 L. Fall., ma ciò non comporta alcun mutamento della disciplina se non relativamente alla sostituzione del concetto di fallimento e di fallito con “liquidazione giudiziale”.
- La sentenza della Corte di Cassazione n. 31806/2020
La Corte di Cassazione, con la sentenza in esame, è stata chiamata a giudicare sulla sussistenza o meno della fattispecie di bancarotta “riparata”.
In primo grado, all’esito di giudizio abbreviato, il G.U.P. del Tribunale di Brescia aveva ritenuto l’imputato responsabile di bancarotta fraudolenta ex articolo 216 comma 1 n. 1 L. Fall., per aver posto in essere dei prelevamenti ed anticipazioni ai soci e la restituzione di un finanziamento ai soci, in primis, nonché, di bancarotta semplice ai sensi dell’articolo 217 comma 1 n. 4 L. Fall., in secundis.
Decisione confermata anche in secondo grado, seppur con una riduzione del trattamento sanzionatorio.
Ha successivamente proposto ricorso per Cassazione l’imputato sostenendo l’erronea applicazione degli articoli 216 L. Fall. e 2467 del codice civile, sostenendo che la sua condotta dovesse essere annoverata come riparazione della bancarotta e quindi in ragione di ciò sottolineando l’assenza dell’elemento materiale della bancarotta fraudolenta contestatagli.
L’articolo 2467 del codice civile disciplina i finanziamenti dei soci e stabilisce che, qualora vi sia il rimborso di essi, esso sarà postergato rispetto alla soddisfazione dei creditori e i finanziamenti dovranno essere restituiti nel caso in cui avvengano nell’anno precedente alla dichiarazione di fallimento.
Per finanziamenti dei soci si intendono quelli concessi, in qualunque forma, in un periodo di eccessivo squilibrio dell’ indebitamento rispetto al patrimonio, o comunque in un periodo di necessità di entrate. Nel caso di specie, osserva la Suprema Corte, il rimborso è avvenuto proprio in una situazione di dissesto della società e dunque non rappresenta un’effettiva reintegrazione del patrimonio, restando la società comunque obbligata alla restituzione, seppur in misura postergata.
In riferimento, invece, alla definizione di bancarotta “riparata”, gli Ermellini richiamano precedenti sentenze, innanzitutto sottolineando che la configurazione avvenga solo se la reintegrazione del patrimonio si verifichi prima della dichiarazione di fallimento e, quindi, in modo da eliminare il pregiudizio per i creditori.
In secondo luogo, ulteriore presupposto è che le somme versate nelle casse sociali “abbiano effettivamente avuto quella funzione di reintegrazione del patrimonio della società precedentemente pregiudicato dagli indebiti prelievi, con un’attività di segno contrario, non rilevando certo i versamenti fatti […] ad altro titolo” (Sentenza Sez. 5 n. 57759/2017).
Ciò posto, non si considera integrata la bancarotta “riparata”, in quanto l’erogazione di un finanziamento non determina una reintegrazione effettiva del patrimonio, piuttosto consiste in un decremento dello stesso, a causa dell’assunzione dell’obbligazione che dovrà, dunque, di seguito essere soddisfatta.
In conclusione, si desume dalla sentenza n. 31806 del 2020 che l’esclusione della responsabilità per il reato di bancarotta fraudolenta avvenga solo a seguito dell’effettiva eliminazione degli effetti pregiudizievoli per i propri creditori, da realizzare con la reintegrazione del proprio patrimonio.
Carolina Ceccarelli
Fonte foto: database freepik
BANCAROTTA RIPARATA E FINANZIAMENTI DEI SOCI
Con la sentenza in esame la Corte di Cassazione definisce e analizza una particolare tipologia di bancarotta fraudolenta, la cosiddetta bancarotta “riparata”, di origine giurisprudenziale.
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La bancarotta “riparata” è stata introdotta con la sentenza della Corte di Cassazione penale n. 6408 del 2014. Essa determina la non punibilità di colui che, avendo posto in essere le condotte previste ex art. 216 comma 1 n. 1 della legge fallimentare e, dunque, avendo messo in pericolo la garanzia per i propri creditori, successivamente si ravveda e si attivi al fine di reintegrare il patrimonio dell’impresa. È necessario, tuttavia, che la riparazione avvenga prima dell’insorgenza del dissesto e, dunque, della dichiarazione di fallimento, proprio perché da questo momento in poi l’imprenditore non potrà più disporre del suo patrimonio.
Attualmente il reato di bancarotta fraudolenta è disciplinato dall’articolo 322 del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, il D. lgs. n. 14 del 2019, piuttosto che dagli articoli 216 e 223 L. Fall., ma ciò non comporta alcun mutamento della disciplina se non relativamente alla sostituzione del concetto di fallimento e di fallito con “liquidazione giudiziale”.
- La sentenza della Corte di Cassazione n. 31806/2020
La Corte di Cassazione, con la sentenza in esame, è stata chiamata a giudicare sulla sussistenza o meno della fattispecie di bancarotta “riparata”.
In primo grado, all’esito di giudizio abbreviato, il G.U.P. del Tribunale di Brescia aveva ritenuto l’imputato responsabile di bancarotta fraudolenta ex articolo 216 comma 1 n. 1 L. Fall., per aver posto in essere dei prelevamenti ed anticipazioni ai soci e la restituzione di un finanziamento ai soci, in primis, nonché, di bancarotta semplice ai sensi dell’articolo 217 comma 1 n. 4 L. Fall., in secundis.
Decisione confermata anche in secondo grado, seppur con una riduzione del trattamento sanzionatorio.
Ha successivamente proposto ricorso per Cassazione l’imputato sostenendo l’erronea applicazione degli articoli 216 L. Fall. e 2467 del codice civile, sostenendo che la sua condotta dovesse essere annoverata come riparazione della bancarotta e quindi in ragione di ciò sottolineando l’assenza dell’elemento materiale della bancarotta fraudolenta contestatagli.
L’articolo 2467 del codice civile disciplina i finanziamenti dei soci e stabilisce che, qualora vi sia il rimborso di essi, esso sarà postergato rispetto alla soddisfazione dei creditori e i finanziamenti dovranno essere restituiti nel caso in cui avvengano nell’anno precedente alla dichiarazione di fallimento.
Per finanziamenti dei soci si intendono quelli concessi, in qualunque forma, in un periodo di eccessivo squilibrio dell’ indebitamento rispetto al patrimonio, o comunque in un periodo di necessità di entrate. Nel caso di specie, osserva la Suprema Corte, il rimborso è avvenuto proprio in una situazione di dissesto della società e dunque non rappresenta un’effettiva reintegrazione del patrimonio, restando la società comunque obbligata alla restituzione, seppur in misura postergata.
In riferimento, invece, alla definizione di bancarotta “riparata”, gli Ermellini richiamano precedenti sentenze, innanzitutto sottolineando che la configurazione avvenga solo se la reintegrazione del patrimonio si verifichi prima della dichiarazione di fallimento e, quindi, in modo da eliminare il pregiudizio per i creditori.
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