Pedone investito: è sempre colpa dell’automobilista?
Con sentenza n. 25027 del 2019 la Corte di Cassazione si è soffermata sulle responsabilità di un automobilista per la morte di un pedone.
La vicenda riguarda la richiesta di risarcimento dei danni avanzata dagli eredi a seguito della morte di una loro congiunta avvenuta mentre stava attraversando una strada.
Il Tribunale rigettava la domanda ritenendo che la morte era da addebitare esclusivamente alla condotta anomala ed imprevedibile del pedone (che aveva attraversato una strada extraurbana in un tratto vietato dalla presenza al centro della carreggiata di uno spartitraffico).
La Corte di Appello confermava la sentenza di primo grado ritenendo anch’essa che l’evento era da ascriversi alla sola condotta del pedone.
Avverso detta sentenza gli eredi della vittima ricorrevano per Cassazione affidandosi a sette motivi lamentando che:
- sulla strada teatro dell’incidente non vigeva un generale divieto di attraversamento;
- l’automobilista percorreva la strada ad alta velocità sopra i limiti previsti e poteva sicuramente accorgersi della presenza del pedone sulla carreggiata;
- il pedone aveva attraversato la strada utilizzando tutte le cautele del caso.
La Suprema Corte riteneva tutti i motivi inammissibili ricordando che in caso di investimento di pedone, la responsabilità del conducente è esclusa quando risulti provato che non vi era, da parte di quest’ultimo, alcuna possibilità di prevenire l’evento, situazione ricorrente allorché il pedone abbia tenuto una condotta imprevedibile ed anomala, sicché l’automobilista si sia trovato nell’oggettiva impossibilità di avvistarlo e comunque di osservarne tempestivamente i movimenti.
Infatti la prova liberatoria di cui all’art. 2054 cod. civ. può essere fornita dall’automobilista non solo dimostrando di avere tenuto un comportamento esente da colpa e perfettamente conforme alle regole del codice della strada, ma anche facendo accertare che il comportamento della vittima sia stato il fattore causale esclusivo dell’evento dannoso, comunque non evitabile da parte del conducente, attese le concrete circostanze della circolazione e la conseguente impossibilità di attuare una qualche idonea manovra di emergenza.
La Corte territoriale ha fatto quindi corretta applicazione di siffatti principi ritenendo che il pedone avesse attraversato una strada a scorrimento veloce in ora notturna ove era vietato l’attraversamento pedonale, così ponendo in essere una condotta talmente imprevedibile e pericolosa da costituire colpa unica e sufficiente a causare l’evento; al riguardo, in particolare, poi, aderendo alle conclusioni del primo giudice, la Suprema Corte ha escluso ogni profilo di rilevanza causale del comportamento colposo del conducente la vettura, ribadendo nello specifico quanto affermato dal CTU, secondo cui anche se la macchina avesse viaggiato alla velocità consentita il sinistro si sarebbe ugualmente verificato.
Sulla base di tali motivi la Corte rigettava il ricorso.
Avv. Gavril Zaccaria
Pedone investito: è sempre colpa dell’automobilista?
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Il Tribunale rigettava la domanda ritenendo che la morte era da addebitare esclusivamente alla condotta anomala ed imprevedibile del pedone (che aveva attraversato una strada extraurbana in un tratto vietato dalla presenza al centro della carreggiata di uno spartitraffico).
La Corte di Appello confermava la sentenza di primo grado ritenendo anch’essa che l’evento era da ascriversi alla sola condotta del pedone.
Avverso detta sentenza gli eredi della vittima ricorrevano per Cassazione affidandosi a sette motivi lamentando che:
- sulla strada teatro dell’incidente non vigeva un generale divieto di attraversamento;
- l’automobilista percorreva la strada ad alta velocità sopra i limiti previsti e poteva sicuramente accorgersi della presenza del pedone sulla carreggiata;
- il pedone aveva attraversato la strada utilizzando tutte le cautele del caso.
La Suprema Corte riteneva tutti i motivi inammissibili ricordando che in caso di investimento di pedone, la responsabilità del conducente è esclusa quando risulti provato che non vi era, da parte di quest’ultimo, alcuna possibilità di prevenire l’evento, situazione ricorrente allorché il pedone abbia tenuto una condotta imprevedibile ed anomala, sicché l’automobilista si sia trovato nell’oggettiva impossibilità di avvistarlo e comunque di osservarne tempestivamente i movimenti.
Infatti la prova liberatoria di cui all’art. 2054 cod. civ. può essere fornita dall’automobilista non solo dimostrando di avere tenuto un comportamento esente da colpa e perfettamente conforme alle regole del codice della strada, ma anche facendo accertare che il comportamento della vittima sia stato il fattore causale esclusivo dell’evento dannoso, comunque non evitabile da parte del conducente, attese le concrete circostanze della circolazione e la conseguente impossibilità di attuare una qualche idonea manovra di emergenza.
La Corte territoriale ha fatto quindi corretta applicazione di siffatti principi ritenendo che il pedone avesse attraversato una strada a scorrimento veloce in ora notturna ove era vietato l’attraversamento pedonale, così ponendo in essere una condotta talmente imprevedibile e pericolosa da costituire colpa unica e sufficiente a causare l’evento; al riguardo, in particolare, poi, aderendo alle conclusioni del primo giudice, la Suprema Corte ha escluso ogni profilo di rilevanza causale del comportamento colposo del conducente la vettura, ribadendo nello specifico quanto affermato dal CTU, secondo cui anche se la macchina avesse viaggiato alla velocità consentita il sinistro si sarebbe ugualmente verificato.
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