Luoghi frequentati dalla persona offesa, il divieto di avvicinamento
La Corte di Cassazione Penale, Sez. III, con sentenza n. 23472, è intervenuta sull’istituto del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa pronunciando il seguente principio di diritto: “il divieto di avvicinamento previsto dall’articolo 282 ter c.p.p. riferendosi alla persona offesa in quanto tale, e non solo ai luoghi da questa frequentati, esprime infatti una precisa scelta normativa di privilegio della libertà di circolazione del soggetto passivo ovvero di priorità dell’esigenza di consentire alla persona offesa il completo svolgimento della propria vita sociale in condizioni di sicurezza, anche laddove la condotta di persistenza persecutoria non sia legata a particolari ambiti locali; con la conseguenza che il contenuto concreto della misura in questione deve modellarsi rispetto alla predetta esigenza e che la tutela della libertà di circolazione e di relazione della persona offesa non trova limitazioni nella sola sfera del lavoro, degli affetti familiari e degli ambiti ad essa assimilabili”.
La pronuncia de quo trae origine da un ricorso avverso un’ordinanza del Tribunale del riesame di Brescia che annullava l’ordinanza di rigetto di applicazione della misura cautelare, applicando contestualmente la misura dell’allontanamento dall’abitazione e del divieto di avvicinamento alla p.o., prescrivendo all’indagato di lasciare immediatamente la casa familiare e di non farvi rientro senza l’autorizzazione dell’a.g., oltre alle ulteriori prescrizioni aggiuntive illustrate
Nello specifico, il ricorrente deduceva la violazione di legge in relazione all’articolo 274 c.p.p., lettera c) ed il correlato vizio di contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione sostenendo che il PM avrebbe chiesto l’applicazione della misura di cui all’articolo 282 ter c.p.p. allo scopo di consentire alla p.o. il rientro con il figlio nell’abitazione familiare.
Ciò, sostiene il ricorrente, non sarebbe tuttavia possibile allo stato e nell’immediato, in quanto non solo la p.o. ed il figlio minore si trovano attualmente in una struttura protetta, con divieto per il padre di avvicinarsi ai luoghi frequentati degli stessi, nonché di cercare contatti con il figlio, anche mediati da terzi.
In virtù di quanto sopra, la difesa rappresentava, dunque, la mancanza del requisito dell’attualità e della concretezza del pericolo di reiterazione del reato, esigenza cui è sottesa l’applicazione della misura in atto applicata, ribadendo che fino a quando la collocazione del minore e della madre sarà presso la idonea struttura protetta, non potrebbe ritenersi concreto il pericolo di recidiva, a ciò aggiungendosi come dallo stesso decreto del tribunale dei minorenni traspaia l’intenzione del tribunale di avviare un percorso di autonomia della madre e del minore, anche mediante l’individuazione di una soluzione abitativa diversa dalla casa coniugale, donde la volontà dell’A.G. minorile di precludere alla donna ed al minore il rientro nell’attuale abitazione familiare, anche nel lungo termine.
La Suprema Corte dichiarava il ricorso infondato.
Ed invero, il Tribunale del riesame, nel motivare in ordine alle esigenze cautelari, aveva respinto le obiezioni difensive volte ad escludere il rischio concreto ed attuale di ripetizione di condotte analoghe.
I giudici hanno anzitutto precisato: che le violenze erano state consumate sino ad epoca recente rispetto all’applicazione della misura e che, l’ampio arco di tempo interessato dai fatti, il contesto socioculturale e familiare in cui le condotte venivano consumate e la continuità impressionante che aveva caratterizzato i comportamenti violenti e prevaricatori dell’ex marito, non consentivano nemmeno lontanamente di ipotizzare che l’indagato avesse compreso la gravità di quanto commesso.
Ancora, l’inclinazione dell’indagato all’abuso di alcool non tranquillizzava quanto ad una pronta e subitanea riflessione, donde, tenuto conto che le violenze venivano eseguite quando l’uomo era in stato di ubriachezza, il rischio di recidiva è elevato.
Infine, concludevano i giudici del riesame, non valeva ad escludere la necessità della cautela, la circostanza che a seguito dei fatti siano intervenuti i servizi sociali e sia in corso una procedura a tutela del minore presso il competente tribunale, procedura che è in fase di avvio e di cui nulla è stato conoscere salvo la fissazione di un’udienza.
Per tali ragioni, il Tribunale ha accolto la richiesta, precisando che l’applicazione della misura, quando eseguita, consentirà alla p.o. di scegliere se far rientro nell’abitazione di famiglia senza timore di trovarvi l’indagato e vieta a quest’ultimo di avvicinarsi alla p.o.
Quanto sopra rende dunque evidente che la circostanza per cui la p.o. ed il figlio minore siano attualmente ospitati in una struttura protetta, non solo non preclude a costoro, una volta contenuto il pericolo di contatti con l’indagato a seguito dell’esecuzione della misura, di fare rientro nella casa familiare, ma non costituisce di per sé elemento ostativo all’applicazione della misura in vista di salvaguardare l’esigenza cautelare del pericolo di recidiva nei termini rappresentati dal tribunale del riesame, essendo la misura tesa alla più completa tutela del diritto della persona offesa di poter esplicare la propria personalità e la propria vita di relazione in condizioni di assoluta sicurezza, a prescindere dal luogo in cui si trova.
Alessia Bucci
Luoghi frequentati dalla persona offesa, il divieto di avvicinamento
La Corte di Cassazione Penale, Sez. III, con sentenza n. 23472, è intervenuta sull’istituto del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa pronunciando il seguente principio di diritto: “il divieto di avvicinamento previsto dall’articolo 282 ter c.p.p. riferendosi alla persona offesa in quanto tale, e non solo ai luoghi da questa frequentati, esprime infatti una precisa scelta normativa di privilegio della libertà di circolazione del soggetto passivo ovvero di priorità dell’esigenza di consentire alla persona offesa il completo svolgimento della propria vita sociale in condizioni di sicurezza, anche laddove la condotta di persistenza persecutoria non sia legata a particolari ambiti locali; con la conseguenza che il contenuto concreto della misura in questione deve modellarsi rispetto alla predetta esigenza e che la tutela della libertà di circolazione e di relazione della persona offesa non trova limitazioni nella sola sfera del lavoro, degli affetti familiari e degli ambiti ad essa assimilabili”.
La pronuncia de quo trae origine da un ricorso avverso un’ordinanza del Tribunale del riesame di Brescia che annullava l’ordinanza di rigetto di applicazione della misura cautelare, applicando contestualmente la misura dell’allontanamento dall’abitazione e del divieto di avvicinamento alla p.o., prescrivendo all’indagato di lasciare immediatamente la casa familiare e di non farvi rientro senza l’autorizzazione dell’a.g., oltre alle ulteriori prescrizioni aggiuntive illustrate
Nello specifico, il ricorrente deduceva la violazione di legge in relazione all’articolo 274 c.p.p., lettera c) ed il correlato vizio di contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione sostenendo che il PM avrebbe chiesto l’applicazione della misura di cui all’articolo 282 ter c.p.p. allo scopo di consentire alla p.o. il rientro con il figlio nell’abitazione familiare.
Ciò, sostiene il ricorrente, non sarebbe tuttavia possibile allo stato e nell’immediato, in quanto non solo la p.o. ed il figlio minore si trovano attualmente in una struttura protetta, con divieto per il padre di avvicinarsi ai luoghi frequentati degli stessi, nonché di cercare contatti con il figlio, anche mediati da terzi.
In virtù di quanto sopra, la difesa rappresentava, dunque, la mancanza del requisito dell’attualità e della concretezza del pericolo di reiterazione del reato, esigenza cui è sottesa l’applicazione della misura in atto applicata, ribadendo che fino a quando la collocazione del minore e della madre sarà presso la idonea struttura protetta, non potrebbe ritenersi concreto il pericolo di recidiva, a ciò aggiungendosi come dallo stesso decreto del tribunale dei minorenni traspaia l’intenzione del tribunale di avviare un percorso di autonomia della madre e del minore, anche mediante l’individuazione di una soluzione abitativa diversa dalla casa coniugale, donde la volontà dell’A.G. minorile di precludere alla donna ed al minore il rientro nell’attuale abitazione familiare, anche nel lungo termine.
La Suprema Corte dichiarava il ricorso infondato.
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I giudici hanno anzitutto precisato: che le violenze erano state consumate sino ad epoca recente rispetto all’applicazione della misura e che, l’ampio arco di tempo interessato dai fatti, il contesto socioculturale e familiare in cui le condotte venivano consumate e la continuità impressionante che aveva caratterizzato i comportamenti violenti e prevaricatori dell’ex marito, non consentivano nemmeno lontanamente di ipotizzare che l’indagato avesse compreso la gravità di quanto commesso.
Ancora, l’inclinazione dell’indagato all’abuso di alcool non tranquillizzava quanto ad una pronta e subitanea riflessione, donde, tenuto conto che le violenze venivano eseguite quando l’uomo era in stato di ubriachezza, il rischio di recidiva è elevato.
Infine, concludevano i giudici del riesame, non valeva ad escludere la necessità della cautela, la circostanza che a seguito dei fatti siano intervenuti i servizi sociali e sia in corso una procedura a tutela del minore presso il competente tribunale, procedura che è in fase di avvio e di cui nulla è stato conoscere salvo la fissazione di un’udienza.
Per tali ragioni, il Tribunale ha accolto la richiesta, precisando che l’applicazione della misura, quando eseguita, consentirà alla p.o. di scegliere se far rientro nell’abitazione di famiglia senza timore di trovarvi l’indagato e vieta a quest’ultimo di avvicinarsi alla p.o.
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