Opzione put in favore del socio: c'è violazione del patto leonino?
La Suprema Corte con sentenza del 04/07/2018, n.17498 si pronuncia in merito alla questione della conformità all’art. 2265 c.c. del patto parasociale che prevede il diritto di opzione del socio entrante (c.d. opzione put) di vendere ad un prezzo predeterminato (opzione put), entro un termine prefissato, la partecipazione sociale acquisita con corrispondente obbligo di acquisto in capo agli altri soci.
La Corte si sofferma sull’analisi del divieto di patto leonino.
L’art. 2265 prevede che “è nullo il patto con il quale uno o più soci sono esclusi da ogni partecipazione agli utili o alle perdite”. Spiegano gli Ermellini che la ratio del divieto risiede nel preservare la purezza della causa societatis in quanto un simile accordo <<finirebbe per contrastare con il generale interesse alla corretta amministrazione delle società, inducendo il socio a disinteressarsi della proficua gestione (anche intesa con riguardo all’esercizio dei suoi diritti amministrativi) e non “prodigarsi” per l’impresa, quando non, addirittura, a compiere attività “avventate” o “non corrette”>> (cfr. Cass. 29 ottobre 1994, n. 8927; v. pure Cass. 22 giugno 1963, n. 1686). Il giudice di legittimità prosegue asserendo che tale limitazione deve essere assoluta, in quanto lo stesso art. 2265 c.c. parla di esclusione da <<ogni>> utile o <<ogni perdita>>, e costante, nel senso di alterare permanentemente lo status di socio.
In altri termini l’esclusione del socio da tutte le perdite o da tutti gli utili (o da entrambe), è in contrasto con la natura e la funzione del contratto sociale il quale prevede una necessaria suddivisione tra i soci dei risultati d’ impresa.
Detto ciò, in merito alla vendita con opzione a prezzo concordato, al dire del Giudicante, non può ritenersi sussistente una simile alterazione della causa sociale.
Il contratto in questione appartiene alla tipologia dei negozi atipici creati dalla prassi per trovare nuove forme di sostegno economico all’attività d’impresa e prevede una duplice causa: associativa e di finanziamento.
Associativa poiché il socio acquista le azioni della società con il fine di partecipare all’attività d’impresa cercando di moltiplicare l’investimento; di finanziamento perché in tal modo la società ottiene risorse a condizioni più favorevoli di quelle concesse dal sistema bancario. Si aggiunge poi una terza funzione di garanzia dell’investimento espressa nel diritto del socio al disinvestimento della partecipazione entro un certo termine. Il patto di opzione non esonera il socio dalla partecipazione al rischio di impresa né tanto meno altera la causa societaria poiché genera soltanto un trasferimento interno del rischio da un socio ad un altro il quale resta indifferente per la società la quale continuerà a suddividere gli utili e le perdite tra le sue partecipazioni sociali conformemente al divieto di patto leonino.
DM
Opzione put in favore del socio: c'è violazione del patto leonino?
La Suprema Corte con sentenza del 04/07/2018, n.17498 si pronuncia in merito alla questione della conformità all’art. 2265 c.c. del patto parasociale che prevede il diritto di opzione del socio entrante (c.d. opzione put) di vendere ad un prezzo predeterminato (opzione put), entro un termine prefissato, la partecipazione sociale acquisita con corrispondente obbligo di acquisto in capo agli altri soci.
La Corte si sofferma sull’analisi del divieto di patto leonino.
L’art. 2265 prevede che “è nullo il patto con il quale uno o più soci sono esclusi da ogni partecipazione agli utili o alle perdite”. Spiegano gli Ermellini che la ratio del divieto risiede nel preservare la purezza della causa societatis in quanto un simile accordo <<finirebbe per contrastare con il generale interesse alla corretta amministrazione delle società, inducendo il socio a disinteressarsi della proficua gestione (anche intesa con riguardo all’esercizio dei suoi diritti amministrativi) e non “prodigarsi” per l’impresa, quando non, addirittura, a compiere attività “avventate” o “non corrette”>> (cfr. Cass. 29 ottobre 1994, n. 8927; v. pure Cass. 22 giugno 1963, n. 1686). Il giudice di legittimità prosegue asserendo che tale limitazione deve essere assoluta, in quanto lo stesso art. 2265 c.c. parla di esclusione da <<ogni>> utile o <<ogni perdita>>, e costante, nel senso di alterare permanentemente lo status di socio.
In altri termini l’esclusione del socio da tutte le perdite o da tutti gli utili (o da entrambe), è in contrasto con la natura e la funzione del contratto sociale il quale prevede una necessaria suddivisione tra i soci dei risultati d’ impresa.
Detto ciò, in merito alla vendita con opzione a prezzo concordato, al dire del Giudicante, non può ritenersi sussistente una simile alterazione della causa sociale.
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DM
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