
Truffa e bancarotta, il reato non viola il "ne bis in idem”
La Corte di Cassazione penale, sez. V, con la sentenza n. 13399/2019, ha tolto ogni dubbio sulla configurabilità del delitto di truffa anche quando sia stata contestata la bancarotta per distrazione delle somme.
Nel caso di specie all’imputato erano stati addebitati diversi episodi di truffa a danno di istituti bancari. Detti istituti bancari avevano erogato dei finanziamenti alle società – di cui l’imputato era amministratore – sulla base di falsi bilanci e false scritture contabili. Le società in parola, poi, erano state dichiarate fallite. All’imputato veniva, dunque, addebitato il reato di bancarotta fraudolenta per aver distratto somme dal patrimonio societario e provocato il conseguente dissesto delle società.
All’imputato veniva applicata una custodia cautelare in carcere per il reato di cui all’art. 223 L. Fallimentare (bancarotta fraudolenta). Successivamente, il provvedimento del GIP veniva annullato dal Tribunale sul presupposto che dovesse ritenersi assorbito nella contestazione per truffa ex. art. 640 c.p. in quanto le somme coincidevano con il profitto del reato.
La materia è regolata dal principio del ne bis in idem, il quale impedisce di sottoporre a doppio giudizio il medesimo soggetto per uno stesso fatto. Sul tema la Corte, in accordo con la giurisprudenza europea, aveva già osservato che “la problematica posta dall’impatto del ne bis in idem sul concorso reale di norme va risolta alla stregua dei criteri enunciati […] un nuovo giudizio è consentito solo se il fatto che si vuole punire sia, naturalisticamente inteso, diverso, e non già perché con la medesima condotta sono state violate più norme penali e offeso più interessi giuridici“.
Dal confronto tra il delitto di truffa e la bancarotta fraudolenta emerge che si tratta di condotte ontologicamente distinte. Nella prima si ha l’induzione in errore con il conseguimento di un profitto. Nella seconda il profitto conseguito costituisce il prius logico per la dichiarazione di fallimento.
La Corte conclude enunciando il principio di diritto secondo cui la contestazione del delitto di truffa non impedisce, in ragione del divieto di “bis in idem”, di giudicare l’imputato per il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione.
Diana De Gaetani

Truffa e bancarotta, il reato non viola il "ne bis in idem”
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All’imputato veniva applicata una custodia cautelare in carcere per il reato di cui all’art. 223 L. Fallimentare (bancarotta fraudolenta). Successivamente, il provvedimento del GIP veniva annullato dal Tribunale sul presupposto che dovesse ritenersi assorbito nella contestazione per truffa ex. art. 640 c.p. in quanto le somme coincidevano con il profitto del reato.
La materia è regolata dal principio del ne bis in idem, il quale impedisce di sottoporre a doppio giudizio il medesimo soggetto per uno stesso fatto. Sul tema la Corte, in accordo con la giurisprudenza europea, aveva già osservato che “la problematica posta dall’impatto del ne bis in idem sul concorso reale di norme va risolta alla stregua dei criteri enunciati […] un nuovo giudizio è consentito solo se il fatto che si vuole punire sia, naturalisticamente inteso, diverso, e non già perché con la medesima condotta sono state violate più norme penali e offeso più interessi giuridici“.
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