Published On: 7 Aprile 2019Categories: Articoli, Daniele Moccia, Diritto civile, Diritto del Lavoro

Impugnazione del licenziamento, la ripartizione dell'onere della prova

La Suprema Corte con sentenza 8 febbraio 2019, n. 3822, dirime una questione molto discussa in giurisprudenza: la ripartizione dell’onere della prova tra datore di lavoro e lavoratore in caso di impugnazione del licenziamento avvenuto oralmente (Si ricorda che, secondo l’art. 2 l. 604/1966, il licenziamento avvenuto oralmente è inefficace e comporta la reintegrazione del lavoratore).

La Corte spiega che da anni si contrappongono due orientamenti.

Il primo orientamento ritiene che in caso di recesso da parte del datore, al lavoratore spetterà soltanto l’onere di provare la cessazione del rapporto (c.d. estromissione) mentre sarà a carico del datore la prova che la cessazione del rapporto è avvenuta a causa delle dimissioni della controparte. Tale impostazione è giustificata sulla base dell’assunto che il licenziamento “costituisce un atto unilaterale di recesso con una parte che dichiara all’altra la sua volontà di estinguere il rapporto e che, quindi, non può che essere comprovato da chi abbia manifestato tale volontà di recedere, non potendo la parte (la quale abbia subito il recesso) provare una circostanza attinente alla sfera volitiva del recedente, per cui deve confermarsi che l’onere della prova del licenziamento grava sul datore di lavoro” (Cass. n. 10651 del 2005, ma v. pure Cass. n. 7614 del2005; Cass. n. 5918 del 2005; Cass. n. 22852 del 2004; Cass. n. 2414 del2004).

Vi è poi un secondo orientamento il quale afferma che il licenziamento è fatto costitutivo della domanda di impugnazione di licenziamento con la naturale conseguenza che, in ragione dell’art. 2697 c.c. il quale prescrive “Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento”, sarà onere del lavoratore dimostrare l’atto che ha comportato la cessazione del rapporto di lavoro potendo il datore limitarsi alla semplice negazione del fatto costitutivo del diritto esercitato dalla controparte; solo nel caso in cui il convenuto proponga una domanda o un eccezione basata su fatti diversi sorgerà a suo carico un onere probatorio.

Gli ermellini affermano di volersi adeguare a quest’ultimo orientamento, quindi, nel caso di impugnazione del licenziamento avvenuto oralmente, sarà onere del lavoratore provare che la cessazione del rapporto di lavoro sia avvenuta a causa del recesso del datore.

Nel caso di specie la Cassazione riforma una sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro che aveva accolto la domanda del lavoratore ritenendo a carico del datore l’onere di provare che la cessazione del rapporto fosse avvenuta causa dimissioni.

Dott. Daniele Moccia

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Published On: 7 Aprile 2019Categories: Articoli, Daniele Moccia, Diritto civile, Diritto del LavoroBy

Impugnazione del licenziamento, la ripartizione dell'onere della prova

La Suprema Corte con sentenza 8 febbraio 2019, n. 3822, dirime una questione molto discussa in giurisprudenza: la ripartizione dell’onere della prova tra datore di lavoro e lavoratore in caso di impugnazione del licenziamento avvenuto oralmente (Si ricorda che, secondo l’art. 2 l. 604/1966, il licenziamento avvenuto oralmente è inefficace e comporta la reintegrazione del lavoratore).

La Corte spiega che da anni si contrappongono due orientamenti.

Il primo orientamento ritiene che in caso di recesso da parte del datore, al lavoratore spetterà soltanto l’onere di provare la cessazione del rapporto (c.d. estromissione) mentre sarà a carico del datore la prova che la cessazione del rapporto è avvenuta a causa delle dimissioni della controparte. Tale impostazione è giustificata sulla base dell’assunto che il licenziamento “costituisce un atto unilaterale di recesso con una parte che dichiara all’altra la sua volontà di estinguere il rapporto e che, quindi, non può che essere comprovato da chi abbia manifestato tale volontà di recedere, non potendo la parte (la quale abbia subito il recesso) provare una circostanza attinente alla sfera volitiva del recedente, per cui deve confermarsi che l’onere della prova del licenziamento grava sul datore di lavoro” (Cass. n. 10651 del 2005, ma v. pure Cass. n. 7614 del2005; Cass. n. 5918 del 2005; Cass. n. 22852 del 2004; Cass. n. 2414 del2004).

Vi è poi un secondo orientamento il quale afferma che il licenziamento è fatto costitutivo della domanda di impugnazione di licenziamento con la naturale conseguenza che, in ragione dell’art. 2697 c.c. il quale prescrive “Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento”, sarà onere del lavoratore dimostrare l’atto che ha comportato la cessazione del rapporto di lavoro potendo il datore limitarsi alla semplice negazione del fatto costitutivo del diritto esercitato dalla controparte; solo nel caso in cui il convenuto proponga una domanda o un eccezione basata su fatti diversi sorgerà a suo carico un onere probatorio.

Gli ermellini affermano di volersi adeguare a quest’ultimo orientamento, quindi, nel caso di impugnazione del licenziamento avvenuto oralmente, sarà onere del lavoratore provare che la cessazione del rapporto di lavoro sia avvenuta a causa del recesso del datore.

Nel caso di specie la Cassazione riforma una sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro che aveva accolto la domanda del lavoratore ritenendo a carico del datore l’onere di provare che la cessazione del rapporto fosse avvenuta causa dimissioni.

Dott. Daniele Moccia

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