Consulta, sproporzionata la pena minima per reati non lievi in materia di droghe
Con la sentenza n. 40/2019 depositata in data 08.03.2019 la Corte Costituzionale ha dichiarato “l’illegittimità costituzionale dell’articolo 73 comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990 n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), nella parte in cui prevede la pena minima edittale della reclusione nella misura di otto anni anziché di sei anni“.
La Corte Costituzionale ha riconosciuto che la sanzione minima edittale prevista dall’articolo 73, comma 1, DPR 309/1990 sostanzialmente non è conforme al principio costituzionale di eguaglianza di cui all’articolo 3 Cost. ed al principio costituzionale della funzione rieducativa della pena di cui all’articolo 27 Cost. poiché la Corte ha precisato che “allorché le pene comminate appaiano manifestamente sproporzionate rispetto alla gravità del fatto previsto quale reato, si profila un contrasto con gli artt. 3 e 27 Cost., giacché una pena non proporzionata alla gravità del fatto si risolve in un ostacolo alla sua funzione rieducativa. I principi di cui agli artt. 3 e 27 Cost. esigono di contenere la privazione della libertà e la sofferenza inflitta alla persona umana nella misura minima necessaria e sempre allo scopo di favorirne il cammino in recupero, riparazione, riconciliazione e reinserimento sociale in vista del progressivo reinserimento armonico della persona nella società che costituisce l’essenza della finalità rieducativa della pena. Al raggiungimento di tale impegnativo obiettivo posto dai principi costituzionali è di ostacolo l’espiazione di una pena oggettivamente non proporzionata alla gravità del fatto, quindi, soggettivamente percepita come ingiusta e inutilmente vessatoria e, dunque, destinata a non realizzare lo scopo rieducativo verso cui obbligatoriamente deve tendere”.
Sulla base di queste premesse la Corte Costituzionale ha, quindi, ritenuto di poter e dover accogliere la questione posta dal Giudice rimettente – nel caso di specie – dalla Corte d’Appello Penale di Trieste nei termini formulati proprio da detto Giudice e, quindi, ha ritenuto di dover dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’articolo 73, comma 1, DPR 309/1990 nella parte in cui prevede un minimo edittale di otto anni anziché di sei anni di reclusione nel presupposto che la pena così individuata “pur non costituzionalmente obbligata, non è tuttavia arbitraria poiché ricavabile da previsioni già rinvenibili nell’ordinamento, specificatamene nel settore della disciplina sanzionatoria dei reati in materia di stupefacenti, e si colloca in tale ambito in modo coerente alla logica perseguita dal legislatore”.
La Corte Costituzionale ha, comunque, chiarito che “la misura sanzionatoria indicata, non costituendo una opzione costituzionalmente obbligata, resta soggetta ad un diverso apprezzamento da parte del legislatore sempre nel rispetto di proporzionalità”.
In sostanza, il legislatore, qualora volesse intervenire nuovamente sul punto, dovrà tenere conto di tale indicazione in quanto con la sentenza n. 40/2019, qui in commento, la stessa Corte ha avuto modo di affermare che la pronuncia di incostituzionalità si è resa necessaria vista la “divaricazione di ben quattro anni tra il minimo edittale di pena previsto dal comma 1 dell’articolo 73 DPR 309/1990 ed il massimo edittale della pena comminata dal comma 5 dello stesso articolo che ha raggiunto, nel corso del tempo, un’ampiezza tale da determinare un’anomalia sanzionatoria”; anomalia che la Corte ha ritenuto, nel silenzio del legislatore più volte stimolato ad intervenire su tale aspetto, di dover risolvere al fine di dare soddisfazione ai diritti fondamentali dell’individuo che non tollerano ulteriori compromissioni nonché in considerazione dell’elevato numero dei giudizi, pendenti e definiti, aventi ad oggetto reati in materia di stupefacenti.
********
Dunque, alla luce di tale decisione non vi è dubbio che la previsione di anni sei di reclusione di cui all’articolo 73, comma 1, DPR 309/1990, per il momento ( e cioè fino ad un eventuale nuovo intervento del legislatore che non potrà però discostarsi di molto rispetto quanto indicato dalla Corte Costituzionale se non a pena di subire una nuova pronuncia di illegittimità costituzionale), sostituisce la previsione previgente della sanzione minima edittale nella misura di anni otto di reclusione.
Le conseguenze
Quanto alle conseguenze della pronuncia qui in esame, può evidenziarsi che:
- Per i fatti futuri che rientreranno nella previsione astratta dell’articolo 73, comma 1, DPR 209/1990, la pena minima edittale che il Giudice dovrà tenere in considerazione – ovviamente – non potrà che essere la misura di anni sei di reclusione;
- Per i fatti già commessi ed ancora da giudicare, che rientrano nella previsione della suddetta norma incriminatrice, deve valere lo stesso principio;
- Per i giudizi pendenti in secondo grado (sempre in relazione all’ipotesi di cui all’articolo 73 , comma 1, DPR 309/1990), la Corte d’Appello dovrà tenere conto della nuova misura minima edittale e ridurre congruamente la pena ove ritenesse di dover applicare il minimo edittale di anni sei di reclusione in luogo degli anni otto di reclusione originariamente previsti o , comunque, ove ritenesse di dover partire, per la determinazione della pena, da una sanzione inferiore agli anni otto di reclusione;
- Per i giudizi pendenti dinanzi alla Suprema Corte di Cassazione, la stessa Suprema Corte dovrà annullare con rinvio la sentenza gravata e rimettere la decisione – sulla determinazione della pena – al Giudice del secondo grado il quale dovrà valutare, a propria discrezione, se ridurre la pena comminata seguendo il principio di cui sopra;
- Per i giudizi già definiti con sentenza passata in giudicato, ma la cui pena non è stata in tutto o in parte ancora eseguita, si dovrà chiedere, con lo strumento dell’incidente di esecuzione, la rimodulazione della pena alla luce della dichiarazione di illegittimità costituzionale di cui alla sentenza n. 40/2019 sopra indicata; resta nella discrezionalità del Giudice ridurre la pena qualora ritenesse che nel caso concreto si sarebbe dovuti partire, nella determinazione della pena da comminare, dalla sanzione minima edittale o, comunque, da pena inferiore ad anni otto di reclusione;
- Nulla da fare, invece, per le pene già eseguite poiché ovviamente la sentenza della Corte Costituzionale non può incidere sulle pene già interamente scontate;
- La sentenza della Corte Costituzionale non incide, invece, sulla sanzione pecuniaria della multa la cui previsione resta identica a quella indicata nell’articolo 73, comma 1, DPR 309/1990.
Avv. Maria Raffaella Talotta
Consulta, sproporzionata la pena minima per reati non lievi in materia di droghe
Con la sentenza n. 40/2019 depositata in data 08.03.2019 la Corte Costituzionale ha dichiarato “l’illegittimità costituzionale dell’articolo 73 comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990 n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), nella parte in cui prevede la pena minima edittale della reclusione nella misura di otto anni anziché di sei anni“.
La Corte Costituzionale ha riconosciuto che la sanzione minima edittale prevista dall’articolo 73, comma 1, DPR 309/1990 sostanzialmente non è conforme al principio costituzionale di eguaglianza di cui all’articolo 3 Cost. ed al principio costituzionale della funzione rieducativa della pena di cui all’articolo 27 Cost. poiché la Corte ha precisato che “allorché le pene comminate appaiano manifestamente sproporzionate rispetto alla gravità del fatto previsto quale reato, si profila un contrasto con gli artt. 3 e 27 Cost., giacché una pena non proporzionata alla gravità del fatto si risolve in un ostacolo alla sua funzione rieducativa. I principi di cui agli artt. 3 e 27 Cost. esigono di contenere la privazione della libertà e la sofferenza inflitta alla persona umana nella misura minima necessaria e sempre allo scopo di favorirne il cammino in recupero, riparazione, riconciliazione e reinserimento sociale in vista del progressivo reinserimento armonico della persona nella società che costituisce l’essenza della finalità rieducativa della pena. Al raggiungimento di tale impegnativo obiettivo posto dai principi costituzionali è di ostacolo l’espiazione di una pena oggettivamente non proporzionata alla gravità del fatto, quindi, soggettivamente percepita come ingiusta e inutilmente vessatoria e, dunque, destinata a non realizzare lo scopo rieducativo verso cui obbligatoriamente deve tendere”.
Sulla base di queste premesse la Corte Costituzionale ha, quindi, ritenuto di poter e dover accogliere la questione posta dal Giudice rimettente – nel caso di specie – dalla Corte d’Appello Penale di Trieste nei termini formulati proprio da detto Giudice e, quindi, ha ritenuto di dover dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’articolo 73, comma 1, DPR 309/1990 nella parte in cui prevede un minimo edittale di otto anni anziché di sei anni di reclusione nel presupposto che la pena così individuata “pur non costituzionalmente obbligata, non è tuttavia arbitraria poiché ricavabile da previsioni già rinvenibili nell’ordinamento, specificatamene nel settore della disciplina sanzionatoria dei reati in materia di stupefacenti, e si colloca in tale ambito in modo coerente alla logica perseguita dal legislatore”.
La Corte Costituzionale ha, comunque, chiarito che “la misura sanzionatoria indicata, non costituendo una opzione costituzionalmente obbligata, resta soggetta ad un diverso apprezzamento da parte del legislatore sempre nel rispetto di proporzionalità”.
In sostanza, il legislatore, qualora volesse intervenire nuovamente sul punto, dovrà tenere conto di tale indicazione in quanto con la sentenza n. 40/2019, qui in commento, la stessa Corte ha avuto modo di affermare che la pronuncia di incostituzionalità si è resa necessaria vista la “divaricazione di ben quattro anni tra il minimo edittale di pena previsto dal comma 1 dell’articolo 73 DPR 309/1990 ed il massimo edittale della pena comminata dal comma 5 dello stesso articolo che ha raggiunto, nel corso del tempo, un’ampiezza tale da determinare un’anomalia sanzionatoria”; anomalia che la Corte ha ritenuto, nel silenzio del legislatore più volte stimolato ad intervenire su tale aspetto, di dover risolvere al fine di dare soddisfazione ai diritti fondamentali dell’individuo che non tollerano ulteriori compromissioni nonché in considerazione dell’elevato numero dei giudizi, pendenti e definiti, aventi ad oggetto reati in materia di stupefacenti.
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Dunque, alla luce di tale decisione non vi è dubbio che la previsione di anni sei di reclusione di cui all’articolo 73, comma 1, DPR 309/1990, per il momento ( e cioè fino ad un eventuale nuovo intervento del legislatore che non potrà però discostarsi di molto rispetto quanto indicato dalla Corte Costituzionale se non a pena di subire una nuova pronuncia di illegittimità costituzionale), sostituisce la previsione previgente della sanzione minima edittale nella misura di anni otto di reclusione.
Le conseguenze
Quanto alle conseguenze della pronuncia qui in esame, può evidenziarsi che:
- Per i fatti futuri che rientreranno nella previsione astratta dell’articolo 73, comma 1, DPR 209/1990, la pena minima edittale che il Giudice dovrà tenere in considerazione – ovviamente – non potrà che essere la misura di anni sei di reclusione;
- Per i fatti già commessi ed ancora da giudicare, che rientrano nella previsione della suddetta norma incriminatrice, deve valere lo stesso principio;
- Per i giudizi pendenti in secondo grado (sempre in relazione all’ipotesi di cui all’articolo 73 , comma 1, DPR 309/1990), la Corte d’Appello dovrà tenere conto della nuova misura minima edittale e ridurre congruamente la pena ove ritenesse di dover applicare il minimo edittale di anni sei di reclusione in luogo degli anni otto di reclusione originariamente previsti o , comunque, ove ritenesse di dover partire, per la determinazione della pena, da una sanzione inferiore agli anni otto di reclusione;
- Per i giudizi pendenti dinanzi alla Suprema Corte di Cassazione, la stessa Suprema Corte dovrà annullare con rinvio la sentenza gravata e rimettere la decisione – sulla determinazione della pena – al Giudice del secondo grado il quale dovrà valutare, a propria discrezione, se ridurre la pena comminata seguendo il principio di cui sopra;
- Per i giudizi già definiti con sentenza passata in giudicato, ma la cui pena non è stata in tutto o in parte ancora eseguita, si dovrà chiedere, con lo strumento dell’incidente di esecuzione, la rimodulazione della pena alla luce della dichiarazione di illegittimità costituzionale di cui alla sentenza n. 40/2019 sopra indicata; resta nella discrezionalità del Giudice ridurre la pena qualora ritenesse che nel caso concreto si sarebbe dovuti partire, nella determinazione della pena da comminare, dalla sanzione minima edittale o, comunque, da pena inferiore ad anni otto di reclusione;
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- La sentenza della Corte Costituzionale non incide, invece, sulla sanzione pecuniaria della multa la cui previsione resta identica a quella indicata nell’articolo 73, comma 1, DPR 309/1990.
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